Quando nel 2012 partecipò all’incontro organizzato da Tempi “Aspettando giustizia”, Ottaviano Del Turco raccontò un gustoso aneddoto a proposito delle commissioni parlamentari d’inchiesta. Da presidente dell’Antimafia aveva ottenuto che fosse tolto il segreto sui documenti custoditi proprio dall’Antimafia a proposito della strage di Portella della Ginestra. L’evento fu preceduto dalle fanfare dei giornali che preannunciavano grandi rivelazioni a proposito di un episodio su cui molto si fantasticava. Quando fu il momento di aprire il famoso cassetto, raccontò Del Turco, «vi trovammo dentro i ritagli degli articoli dell’Unità del tempo». Eccolo lì il «segreto».
L’episodio mi è tornato in mente in questi giorni, dopo i numerosi articoli pubblicati su vari quotidiani a proposito della deposizione in aula di don Antonello Mennini, «il prete di Moro». Per come ce la presentavano, il sacerdote, che aveva «ottenuto da papa Francesco l’autorizzazione a parlare», avrebbe dovuto rivelare di essere stato nel covo delle Br e di aver confessato Moro prima dell’esecuzione. Roba grossa. Mennini, che oggi è nunzio in Gran Bretagna, è sceso a Roma, sua città natale, e ha fatto presente che quella era la settima volta che parlava e che, come le sei precedenti, ribadiva di non essere mai stato nell’appartamento delle Br né di aver mai confessato Moro. E che tutta la leggenda nasceva da una battuta di quel mattacchione di Francesco Cossiga. «Ma tanto lo so che nun me credete. Che ve devo di’?».
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