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L’eredità di Trump? Ai giudici supremi l’ardua sentenza

Paolo Carozza, collega e amico di Amy Barrett, spiega perché, comunque vadano le elezioni, questo presidente può essere più decisivo nei tribunali che alla Casa Bianca

Caterina Giojelli
15/10/2020 - 16:52
Magazine
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Amy Coney Barrett

Articolo tratto dal numero di ottobre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Questa volta lo sconquasso elettorale si chiama Amy Coney Barrett, giudice della Corte d’appello del settimo circuito di Chicago, professore di diritto all’Università di Notre Dame, Indiana, e pupilla di Antonin Scalia, tra gli interpreti più conservatori della Costituzione statunitense. «Me la tengo per Ginsburg», avrebbe detto Donald Trump nel 2018 quando fu presa in considerazione per sostituire Anthony Kennedy alla Corte suprema. Nessuna sorpresa vederla scelta oggi per rimpiazzare la sodale liberal Ruth Bader Ginsburg.

Terza nomina in poco meno di quattro anni e alla vigilia delle presidenziali: se la donna dovesse essere confermata, Trump avrà nominato il maggior numero di giudici in un solo mandato dai tempi di Richard Nixon, e Barrett, la preparatissima cattolica Barrett (o “fondamentalista cattolica”, come piace a un certo giornalismo babbeo bollare la donna, ex assistente legale di Scalia, originaria della Louisiana e poi trasferita in Indiana, madre di sette figli di cui due adottati di Haiti), a soli 48 anni, diventerà il più giovane alto magistrato nel supremo organismo giudiziario e costituzionale americano.

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Una Corte che, con i suoi esponenti a vita, ha deciso e deciderà questioni cruciali del vivere civile (dalla discriminazione razziale alla riforma sanitaria, dalla vita alla regolamentazione del matrimonio, dalla libertà religiosa ai finanziamenti delle campagne elettorali) e che può decidere anche elezioni presidenziali quando finiscono in dispute legali, come accadde nel 2000, quando consegnò a George W. Bush la vittoria su Al Gore. Una Corte che con una maggioranza conservatrice di 6 a 3 promette di porre più di una sfida alla leadership del giudice capo John Roberts, «almeno questa è la semplificazione dei media, la Corte suprema non vive di questioni di principio. I giudici nominati rappresentano però indubbiamente la più grande eredità di Trump», spiega a Tempi Paolo Carozza, professore alla Law School dell’Università di Notre Dame, Indiana, dove è direttore del Kellogg Institute for International Studies, amico e collega di Amy Coney Barrett da oltre vent’anni.

Paolo Carozza

È questa l’eredità di Trump, definire il volto futuro della giustizia americana con le nomine di Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett – se verrà ratificata – alla Corte suprema?

Non solo le nomine alla Corte suprema, ricordiamo che Trump ha nominato e confermato oltre trecento giudici in tutte le corti federali. Un’eredità importante per due motivi. Il primo, molto pragmatico, è che i giudici federali hanno mandato a vita e quelli nominati da Trump, inclusa Barrett, sono molto giovani: ciascuna nomina avrà pertanto conseguenze profonde e durature sul sistema giudiziario. Il secondo è che la qualità dei giudici nominati è alta. Se in altri ambiti della politica nazionale e internazionale l’amministrazione non ha dato sempre prova di coerenza, in merito alle corti Trump è stato consigliato da persone che lo hanno aiutato a identificare giudici di grande capacità.

Si tratta della Corte più conservatrice dagli anni Trenta, da quella che cercò di smantellare il New Deal di Franklin Delano Roosevelt. Nei fatti cosa comporta?

Ogni Corte è imprevedibile, al subentrare di una toga conservatrice, non fa eccezione la cattolica Barrett, la stampa torna ad agitare il fantasma dell’abolizione della Roe vs Wade, ma la verità è che nessuno può sapere come voterà sull’aborto piuttosto che sui finanziamenti ai partiti. I giudici sono indipendenti, non possono intestarsi una campagna politica in toga, non c’è contraddizione tra giudizio emanato e il loro approccio alla Costituzione che pertanto può portare a risultati diversi da quelli attesi, pur all’interno di un comune orientamento morale e politico. Solo per fare due esempi recenti: a giugno la progressista Elena Kagan ha votato con i conservatori per esentare i datori di lavoro con obiezioni religiose dal “mandato di contraccezione” voluto da Obama. Lo stesso mese Neil Gorsuch, di nomina trumpiana, ha guidato la squadra liberal e scritto la sentenza che certifica che gay e transgender non possono essere licenziati a causa dell’orientamento o dell’identità sessuale. Libertà religiosa e diritti civili: in entrambi i casi le aspettative “partisan” sono state tradite. Se però è facile esagerare la polarizzazione della Corte e parlare di attivismo giudiziario considerando solo pochi temi scottanti, la maggioranza delle sentenze non restituisce alcuna spaccatura su linee ideologiche; al contrario raccoglie consenso tra giudici di diverse scuole interpretative. In questo senso possiamo dire che John Roberts abbia saputo mantenere la solidità istituzionale della Corte, forse l’unica istituzione del governo a godere di un livello di fiducia altissimo da parte del popolo americano.

Però Barrett si trova a rimpiazzare la più importante giudice liberal degli ultimi decenni. Tutti sono a caccia di precedenti per contestarne l’imparzialità, alimentare la narrazione del giudice “fondamentalista” della destra religiosa. Cosa non si perdona a Barrett, che per storia personale dovrebbe essere inattaccabile?

Per la sinistra il problema di Barrett non è che sia una persona di fede o che abbia un credo religioso. La tradizione ebraica ha forgiato la vita di Ruth Bader Ginsburg, le sue radici hanno influenzato la sua visione del mondo e della giustizia. Quello che non si perdona a Barrett è il suo essere cattolica di stampo tradizionale, fedele al magistero della Chiesa. Barrett inoltre rappresenta una sfida a un assetto consolidato: viene da una parte degli States e si è formata in istituzioni che non sono state rappresentate alla Corte suprema da decenni e in generale poco considerate dalle élite culturali del paese. In qualche modo rappresenta un’America messa da parte, ignorata quando non cancellata dalle élite.

Ma può fare la differenza come temono i liberal e sperano i conservatori?

Certo che potrebbe, Barrett avrà la piena libertà di emanare giudizi, e questo significa che non sarà in nessun modo influenzata da opinioni controculturali o meno. Siamo amici e colleghi da più di vent’anni, e non conosco nessuno più capace di rigore giuridico e fedeltà ai testi, capace di non farsi influenzare da nessuna posizione o opinione in dissenso a ciò che ritiene giusto. È stata formata alla scuola originalista del giudice Antonin Scalia, applica la legge alla luce di un testo costituzionale letto come era stato effettivamente scritto e tramandato, in antitesi spesso all’ala liberal e progressista che ritiene la Costituzione un “documento vivo” e che la sua interpretazione evolva col tempo. Non tollera le invasioni di campo dei togati perché non è ruolo del giudice imporre una visione né dimostrare una propria convinzione. Questa filosofia sarà decisiva quando si presenteranno sentenze a tema aborto. Barrett è contro l’aborto ma Barrett è un giudice di scuola testualista: applicherà la legge come Costituzione comanda. L’anno scorso criticò una norma federale che, interpretando il secondo emendamento, proibiva il possesso di armi a persone che avevano scontato una pena per crimini non violenti: Barrett scrisse in dissenso ai colleghi che applicare ad altri casi restrizioni previste specificatamente per chi si era macchiato di atti violenti sarebbe stato incostituzionale.

Subito dopo il voto di novembre, la Corte dovrebbe ascoltare gli argomenti dell’amministrazione Trump per invalidare l’Affordable Care Act (Obamacare). Cosa potrebbe accadere?

Molti giuristi, anche di stampo conservatore, concordano nel ritenere il caso debole. Probabilmente la Corte lo giudicherà inammissibile, ma quando anche decidesse di giudicarlo, c’è una sentenza scritta proprio da Kavanaugh che stabilisce che non è possibile rigettare un intero statuto solo perché una parte di questo è incostituzionale. È difficile dire su cosa dovrà misurarsi poi la Corte, sicuramente chiamata a dirimere questioni di diritti individuali: facilmente quelli recentemente riconosciuti alle minoranze sessuali si troveranno in conflitto con altri, come il diritto all’associazione o alla libertà religiosa. Ma la preoccupazione più grande, nell’immediato, è che il 3 novembre finisca come nel 2000, col voto elettorale contestato e portato davanti ai giudici.

Foto Amy Coney Barrett: Ansa

Tags: Abortoamy coney barrettantonin scaliaBrett Kavanaughcorte supremacorte suprema usaelezioni usa 2020neil gorsuchobamacareRoe vs Waderuth bader ginsburgtempi ottobre 2020USAusa 2020
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