Per quelli della generazione degli anni 90 che in questi giorni sentono parlare dell'”assedio di Sarajevo”, il film La vita è un miracolo di Emir Kusturica può essere utile per iniziare a conoscere qualcosa della guerra che vent’anni fa ha sconvolto le popolazioni dei territori della ex Jugoslavia. Come per certi quadri di Marc Chagall, per la pellicola di Kusturica il significato ultimo di un mondo sottosopra (squassato da bombardamenti, cecchini, carriarmati, stragi animalesche) non appartiene al regno della malvagità. Molti critici nel 2004, anno di produzione del film, scrissero che si trattava di un flop, di un lavoro che, benché fosse opera di un grande maestro, non era all’altezza dei capolavori acclamati a Cannes. In realtà i critici non capirono quello che era successo al grande regista. Gli era accaduto qualcosa che avrebbe cambiato per sempre non la sua maestria nel dirigere l’obiettivo (infatti nessuno ha osato scrivere che non si trattasse di un’opera d’arte), ma direttamente i suoi occhi.
Nato in una famiglia islamica e vissuto nel multiculturalismo tipico di un’Europa alla ricerca di se stessa e di una Jugoslavia che rimpiangeva Tito, negli anni della guerra Kusturica maturò la conversione al cristianesimo. Nel 2005 il regista si battezza nella Chiesa ortodossa serba, ma già la sua pellicola del 2004 aveva segnato uno spartiacque dal precedente modo di vivere, di pensare, di guardare. Tant’è il Kusturica di La vita è un miracolo è sempre il grande cineasta di Il tempo dei gitani e di Underground ma, allo stesso tempo, non è più l’artista zingaro, geniale ma disperato, paragonabile al Picasso di Guernica. Con La vita è un miracolo Kusturica è diventato un altro. Un po’ come Chagall, è diventato ironico e, al tempo stesso, pieno di una speranza. Non a caso, sorprendentemente rimasto senza premi a Cannes, il film è stato diffuso in tutte le scuole della Serbia. I critici hanno considerato una caduta di stile il suo non eccessivo accanimento nei confronti dell’esercito di MIlosevic. Mentre hanno apprezzato il lato romantico, multiculturalista, pacifista del film (la storia d’amore del protagonista con la bellissima ragazza bosniaca e musulmana). Nulla di più lontano dalle intenzioni del film.
Kusturica non si accanisce contro l’esercito serbo solo perché è convinto (a ragione) che non si possa essere unilaterali nell’attribuzione delle responsabilità del conflitto. Anzi, il modo in cui dipinge gli ufficiali dell’esercito e il modo in cui parla della “gestione” del rapimento del figlio del protagonista (soldato serbo rapito dai bosniaci) è eloquente: ci possono essere uomini che anche in guerra decidono di rimanere tali, ed altri che si immergono nell’istinto animale abbruttendosi e perdendo ogni senso di pietà. Kusturica, infine, si toglie anche un sassolino, facendo ruttare davanti alle telecamere della Cnn il figlio del protagonista che non sopporta la retorica della giornalista occidentale.