
A Rafah comanda la mafia. «A noi sfollati non resta nulla»

Controllo e distribuzione degli aiuti umanitari, trasferimento del denaro, accaparramento dei posti letto in ospedale, mercato nero di cibo e medicine, tangenti per permessi per uscire dal valico di Rafah, acquisto di passaporti contraffatti non importa di che nazione, meglio se africani: nella striscia di Gaza tutto ora è oggetto di contrabbando.
Le testimonianze che ci arrivano chiedono l’anonimato, parlare di quanto succede e di come si vive (meglio, si sopravvive) e soprattutto di chi ha le chiavi della sopravvivenza è più che pericoloso. Si può morire per molto meno.
«A Rafah comanda la mafia»
Certo è che Hamas, al contrario di quello che per molto tempo si è sostenuto nella narrazione pro o contro i terroristi islamici che dal 2007 sono al potere nella Striscia, deve fare i conti con i clan, i potentati familiari locali. E la località che meno controlla, e dove deve convivere con la mafia locale, è proprio Rafah. La città non è mai stata la roccaforte di Hamas, che è molto più forte a Khan Younus e a Gaza City. A Rafah comanda un gruppo di clan. Una donna dichiara: «C’è una vera e propria mafia che mette le mani praticamente su tutti gli aiuti e alla fine per noi non resta quasi nulla».
Gli aiuti sono rivenduti alla popolazione a prezzi esorbitanti. Prima della guerra un sacco di farina costava 12 dollari, ora duecento. Un padre di tre figli dice: «Non c’è scelta, per mangiare bisogna indebitarsi». Un’altra piaga è quella dell’usura che, benché proibita dalle leggi islamiche e civili dell’Amministrazione palestinese, è diventata la regola.
I favori di Netanyahu ad Hamas
Non per tutti: anni di guerra e isolamento hanno creato a Gaza una classe di nuovi ricchi. Memri, il centro studi che monitora i media arabi e i siti non ufficiali dei vari gruppi islamici, mostra filmati che ancora pubblicizzano locali e ristoranti costosi. Sono nati e cresciuti negli anni scorsi grazie a quella che è stata chiamata “economia della affluenza”, il fiume di denaro che arrivava e continua ad arrivare a Gaza sotto forma di aiuti umanitari, sostegno alla resistenza ma anche veri e propri finanziamenti inviati soprattutto dal Qatar e dall’Iran. Il denaro liquido è trasportato dagli spalloni sotto gli occhi del governo Netanyahu, convinto in questo modo, dicono l’ex agente dello Shin Bet Uri Shana e il direttore di Memri, Yigal Carmon, di «avere un patto segreto con Hamas e i signori della Striscia».
Gli oligarchi di Gaza hanno catturato buona parte dei 2,3 miliardi di dollari (più di mille per abitante) che ogni anno arrivavano nella Striscia. Denaro investito sotto prestanome o società di comodo in Qatar, in Turchia, in Sudan, in Algeria. Non solo: al cartello islamo-mafioso andava, e tutto fa pensare che le cose non siano cambiate, tra il 20 e il 40 per cento del ricavato di import-export e attività degli abitanti della Striscia, anche e soprattutto dei pendolari che dal valico di Erez ogni giorno andavano a lavorare in Israele, negli stessi kibbutz e fattorie teatro del massacro del 7 ottobre.

Il mercato degli sfollati
Ora le mafie più o meno alleate di Hamas non controllano solo gli aiuti, ma hanno messo le mani su quanti cercano di fuggire o trovare un riparo all’interno della zona non ancora raggiunta dai bombardamenti. Anche per questo bisogna pagare.
Un giovane di 25 anni, sfollato a Gaza, racconta di avere cercato invano per tre giorni di cambiare in moneta liquida nei negozi di Rafah il denaro ricevuto in banca con un money transfer da amici che vivono in Egitto. Fin quando ha accettato di pagare una tangente del 12 per cento su ottomila dollari, e quel che resta lo ha versato a chi controlla i documenti per uscire dal valico di Rafah.
I bancomat sono la fortuna degli strozzini
La Bank of Palestine, possiamo testimoniarlo direttamente, non garantisce la consegna dei soldi inviati con bonifici e li restituisce al mittente non senza aver trattenuto una consistente commissione. Un uomo di 45 anni che lavora per una Ong racconta di essere stato minacciato per avere cercato di ritirare i suoi soldi a uno sportello automatico, fin quando è ricorso al mercato nero: e ha dovuto lasciare una tangente del 10 per cento: «Ho dovuto mandare il mio stipendio dal mio conto bancario al proprietario di un negozio che me lo ha consegnato in contanti trattenendo la quota come “commissione”», racconta.
Nel centro di Rafah ci sono solo due bancomat che funzionano poche ore al giorno, quando funzionano. La percentuale al mercato nero dei cambiavalute è salita dal 2 al 12 per cento. L’Autorità monetaria palestinese ha inviato più volte denaro liquido a Gaza in shekel, la moneta israeliana, dollari usa e dollari giordani (non esiste una valuta palestinese), ma i bancomat sono fuori uso, tranne i due di Rafah e pochi altri che raramente vengono caricati: sono la fortuna degli strozzini.
«Scoppiano risse per un po’ di grano»
Un commerciante accusa: «Non ci sono autorità di polizia che limitano le prepotenze dei trafficanti che controllano i prezzi. Appartengono tutti a un gruppo di famiglie che fanno quello che vogliono. Imponendo prezzi che pochi possono permettersi per generi di prima necessità, dal cibo ai farmaci. Spesso scoppiano risse violente anche per un solo pollo, un po’ di grano, olio, zucchero, carne». Anche la già scarsa presenza degli agenti di sicurezza di Hamas è praticamente svanita dopo che il loro comandante è stato ucciso. E non è chiaro in quali circostanze.
La guerra per il controllo dei traffici si è fatta sempre più violenta: i leader dei clan, i Mukhtars, una parola che al tempo dell’Impero ottomano indicava i capi villaggio incaricati di riscuotere tasse e garantire la sicurezza e l’ordine, sono stati oggetti di attacchi e molti sono rimasti uccisi a Rafah, Nusseirat e Gaza city. Le mafie si alleano con le sottofazioni palestinesi in una battaglia quotidiana, parallela alla guerra in corso tra Israele e Hamas. Una battaglia per il controllo del territorio e dei traffici. Anche con questi dovrà fare i conti chi in futuro dovrà governare la sicurezza della Striscia.
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