La riforma della sanità e la necessità di una ri-costruzione della fiducia

Di Marco Botturi
27 Maggio 2024
La Medicina negli ultimi ha fatto notevoli passi avanti, ma oggi si nota una certa stanchezza e una certa arrendevolezza. Una riflessione
Un medico assiste un paziente malato di Covid ricoverato in terapia intensiva

Un medico assiste un paziente malato di Covid ricoverato in terapia intensiva

Nello stretto ambito della pratica di Medicina penso che il tempo attuale possa essere indicato come post-moderno e post-scientifico. Una sua caratteristica è la dis-connessione tra il soggetto che agisce e gli strumenti che gli sono disponibili, di più la fluidità della distinzione tra l’uno e gli altri.

Nei paesi occidentali i decenni della storia post-bellica sono stati occupati dall’intenzione della ricostruzione, della ricerca di ri-appropriazione del controllo sulla natura, della liberazione del conoscere e dello sperimentare, dell’impegno per il rischio e lo sviluppo imprenditoriale. Un impeto diffuso teso a raggiungere reddito e benessere, la supremazia del conoscere e del fare, il dominio di manipolare lavoro ed utile, influenza e privilegio.
In questo processo ricco di entusiasmo, di voglia di prevalere e di successo molti hanno trovato soddisfazione e collocazione. Altri no, ma sono rimasti agganciati supponendo di ricevere assistenza da un cammino sociale che non ha mutato né direzione né modalità.

La Medicina ha vissuto in pieno quanto è avvenuto. Si è mossa con straordinario impegno per ricercare, conoscere, per intervenire e soccorrere, per trovare opportunità e procurare qualificazione e riconoscimenti. L’intenzione di progredire si è affiancata alla analisi dei diversi stati di vita e ciò ha portato ad un gran numero di acquisizioni, di tecniche e di comportamenti, di mezzi per operare e comunicare. Gruppi economici hanno investito capitali enormi e reso disponibili dispositivi e farmaci di grande efficacia che hanno avuto diffusione.

In questo periodo di tempo fare Medicina ha prodotto un numero di conoscenze enorme, di tale misura da non essere neppure tutte utilizzate. La capacità professionale è cresciuta come mai nel passato e ha prolungato la vita di molti fino a trasformare le malattie e l’essere malato.

Così con il pensiero e l’opera di tanti ha preso forma un imponente sistema sanitario di applicazione tecnologica, mai presente nel passato, che ha accresciuto e dispensato le tecniche per misurare e per intervenire sulla vita umana, in modo così convincente da essere in grado di suggerire bisogni di assistenza e di far percepire schemi di benessere come esigenze essenziali. La Medicina ha conosciuto il tempo di esercitarsi ampiamente, di stimolare sempre più diffusamente la richiesta di sé stessa, e di imporre la persuasione della sua irrinunciabile necessità.

Pazienti e professionisti

Da qualche tempo tuttavia si è entrati in un complesso di circostanze nuove e differenti. L’entusiasmo della spinta a fare di più si è trasformato nella preoccupazione di conservare ciò che si è raggiunto, nella considerazione di mantenere quanto si è prodotto, ma dedicando meno impegno, meno coinvolgimento personale e minore responsabilità. Di più, si è affermata l’evidenza che fare più Medicina è un percorso che può svolgersi a lato del sistema pubblico, approfittando di quest’ultimo in recessione. Si è mostrato che questa via può determinare potere d’influenza e molta ricchezza.

Oggi esiste un sistema misto istituzionale e imprenditoriale di straordinaria ampiezza e complessità che impegna capitali economici di provenienza extranazionale. In questa dinamica nuova si è affermato un processo con caratteristiche che non si erano conosciute nel passato.

Le risorse, le capacità, la strumentazione per fare sono risultate così ingenti e perfezionate, in tal modo legate al mercato e allo sviluppo dell’industria tecnologica, da rendere indifferente, del tutto trascurabile, la loro natura di strumento, di mezzo per un servizio. Esse sono diventate piuttosto entità sempre più autonome, in grado di fissare modi e tempi di utilizzo, sempre più legate alla convenienza economica, provviste di una loro inattaccabile razionalità, indipendenti da altri, ma garantite e giustificate da sé stesse, dalla loro efficienza.

D’altra parte l’umano nella sua concretezza, sia del versante dei professionisti che di quello dei pazienti, vive di un impoverimento deluso di sé, della sua inattualità di essere soggetto del lavoro per la vita e la salute. Esso ha perso la titolarità di una razionalità propria che sa porre finalità e significato e ha ridotto, in misura sensibile, la propria abilità nel pensare e nel manipolare strumenti e mezzi.

Ancor di più pazienti e professionisti hanno smarrito la percezione della identificazione che li unisce in un percorso comune di scambio e si sono trovati separati in categorie che reclamano diritti. Ambedue vivono nella impossibilità di una relazione continuativa e si trovano a pretendere garanzie e beni di consumo.

Così si può supporre che il soggetto non sappia più di esserlo, e si riduca a non desiderare nemmeno di esserlo, e lo strumento, nella tensione a offrire prestazioni anche redditizie, finisca in pratica per credere di esserlo e a comportarsi come se lo fosse. Una dis-connessione grave, uno scambio di ruoli e un cambiamento di posizioni che sembrano immobilizzare tutti.

Una riforma?

In questa situazione anche solamente pensare di conservare ciò che c’è non appare più attuale e ci si incammina in modo deciso a ridurre le prospettive e le azioni per tutti. Il sistema sanitario tende ad auto-giustificare i suoi prodotti al di là dei risultati e della loro fruibilità, tende a ridurre la libera distribuzione, limitandosi a quelli più soddisfacenti per la propria organizzazione. Si pensa in fondo che in qualche maniera la maggior parte dei cittadini potrà sempre comprare quel poco di salute che serve.

Si diffonde l’opinione della necessità di una riforma. La questione è complessa, molti ne sarebbero coinvolti, i tempi sarebbero lunghi ed i conflitti prevedibili tanti. Rimangono indeterminati i princìpi e sfuggono le vie per realizzarla, prevale la considerazione della mancanza di risorse economiche e ci si convince che è consigliabile rimandare. Ciò che rimane è la convinzione che il servizio sanitario non è più adatto ai nuovi tempi.

Uno degli elementi propri della circostanza attuale è senza alcun dubbio la estraneità vicendevole degli attori del sistema. Ruoli diversi e finalità particolari sembrano spesso dover condurre a contrapposizioni e a difficoltà di comunicazione.

Riordino dei ruoli e delle responsabilità

Così si potrebbe cominciare ad affrontare questo fattore particolare. Si potrebbe iniziare a esplorare la strada della reciproca conoscenza, della narrazione aperta e veritiera delle situazioni e delle dinamiche che in ambiti differenti si consumano. Questa prospettiva avrebbe almeno due conseguenze. Da una parte prendere atto della verità delle esistenze e dei lavori, più a fondo oltre schemi e preconcetti, alzare lo sguardo al di là di convenienze e reddito, guardare una casistica virtuosa e imitabile. Dall’altra parte dar animo alla presenza di comunità di intenzione, intermedie, adatte a creare opinione, pensiero e prossimità.

Non si tratta ovviamente di una promozione della compliance rispetto all’esistente, ma piuttosto di un lavoro comune di ri-costruzione della fiducia e della operatività, un muoversi con… raccontandosi. E così riscoprire la possibilità di una stima reciproca.

Si può ritenere che l’urgenza maggiore non sia procedere a un articolato comprensivo di una legge di riforma sanitaria. La questione più attuale si situa forse prima di giungere alla elencazione dei dispositivi di regolamenti e della loro copertura economica. L’esigenza più acuta è ristabilire un clima di ragionevole affidamento tra gli attori del sistema. Così avviarsi a un progresso della coscienza personale e di prassi positiva riguardo all’impiego delle risorse sanitarie disponibili. Questo processo corrisponde a una capacità di riconoscere le vicende e rispettare la libertà di ciascuno. Su questa direzione è il ri-ordino dei ruoli e delle responsabilità. La cura dei bisogni richiede che le soluzioni pratiche siano continuamente adattate alla misura della persona interessata e non solo frutto di una cieca applicazione delle regole.

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