La Fondazione Tempi comincia con Lupi, Maroni, Squinzi. E tante idee “per far ripartire l’Italia”

Di Lodovico Festa
25 Novembre 2013
Negli anni Ottanta le imprese del Nord riuscivano a rilanciare lo sviluppo del paese anche prescindendo dallo Stato. Oggi non è più così

Sabato 30 novembre la Fondazione Tempi promuove la sua prima iniziativa, “Far ripartire il Nord per far ripartire l’Italia” con un parterre di relatori di alta qualità: Roberto Maroni, Giorgio Squinzi, Maurizio Lupi e Giuseppe De Lucia Lumeno. Prima di illustrare il senso di questa iniziativa, è bene sottolineare lo sforzo che gli amici del settimanale Tempi, una testata che esce dal 1996, fanno promuovendo un centro di elaborazione culturale come la Fondazione che tra l’altro – nascendo in un ambiente non privo di teste matte – hanno chiesto a me di presiedere.

La Fondazione ha una essenziale motivazione: la cultura (cattolica ma anche laica) “della vita”, quella garantista, liberale, occidentale e popolare che hanno largamente circolato in questo settimanale ormai diciottenne, hanno bisogno di confrontarsi con il mondo e quindi con la politica ma lo vogliono fare costringendo “il mondo” a fare i conti con l’elaborazione culturale delle idee, non solo con slogan o tattiche ministerial-parlamentari. Il nostro percorso, inoltre, si avvia in un clima di crescente disgregazione. Osservando qualsiasi realtà politica o sociale di oggi non si può non notare come prevalgano elementi di frantumazione su quelli di unificazione. Persino certi commissariati da Bruxelles oggi protestano con chi li ha delegati a rappresentarla. Le denunce, poi, di certe autorevoli personalità sulla destabilizzazione in atto in Italia ricordano molto l’antico direttore del Corriere della Sera Mario Missiroli che spiegava che cosa avrebbe voluto fare se avesse avuto un giornale.

Chi mi legge sa che da tempo spiego che se l’Italia non riuscirà a pacificarsi, non potrà fare una riforma dello Stato (a partire dalla giustizia), se non farà questa riforma deperirà la sovranità popolare e si affosserà quella nazionale e perciò i grandi soggetti internazionali saranno spinti inevitabilmente a disgregarci per imporre un minimo di governance a una nazione così politicamente e strategicamente decisiva. Molte di queste idee sono solo mie ma nella Fondazione mi trovo accomunato con chi vuole resistere comunque alla disgregazione e lo fa tentando di dare una base alla politica (di centro, di destra, di sinistra, falca o colomba, yankee o crucca, laica o cattolica) fondata sul rapporto con la cultura.

Questo sarà lo spirito anche del convegno del 30, con il suo titolo dai sapori anni Ottanta di quando le imprese innanzitutto del Nord riuscivano a rilanciare lo sviluppo in certa (talvolta larga) misura prescindendo dallo Stato. Oggi non è più così: egemonia tedesca e rigidità da euro fanno dello Stato fiscale un macigno ineludibile anche per parte decisiva dell’industria settentrionale. Certo vi sono imprese che innovando, saldando strettamente capitale e lavoro, inventandosi ogni giorno nuovi mercati, realizzano miracoli che però non servono più a trascinare dietro tutto il resto. Però è evidente anche come la discussione general-generica condita da questa o quella ideologizzazione non basti più. Per imporre una svolta allo Stato servono soggetti “radicati” che colleghino interessi, visione e progetto non nella chiacchiera ma nella proposta.

Parlando di macroregione settentrionale da integrare in quella più vasta euralpina, delle infrastrutture necessarie a queste macroregioni italiana ed europea, dei centri di eccellenza di ricerca e formazione di questo territorio da mettere in collegamento con le industrie, delle forme per trovare un nuovo rapporto tra credito e produzione, noi non vogliamo parlare solo di idee astratte ma anche di soggetti concreti. Avendo pure in testa una concezione per cui il Nord italiano e l’affine area subalpina europea non sono territori metropolitani, indistinti pascoli di iniziative importate dall’alto, ma sono formati da centinaia di centri di eccellenza di cui vanno contrastate le tendenze municipalistiche (tipo un’università per campanile) ma valorizzate le enormi potenzialità accumulate nella storia.

Questa è la griglia che proponiamo ai relatori: non solo progetti (autostrade, ferrovie, razionalizzazione di aeroporti, porti e interporti; diminuzione dell’Irap per la ricerca; fondi speciali per gli investimenti) ma anche soggetti (a partire dai comuni, dalle società interessate – vedi Fsss Fnm, Atm, Alitalia, Sea – ma anche autotrasportatori, passeggeri organizzati e così via, nonché università e istituti tecnici, banche popolari e cooperative). E poi non solo rete ma anche polarità.

In questo senso il 30 si dovranno confrontare esperienze dell’amministrare o quella del rappresentare le imprese con alcuni quesiti antropologico-culturali che aiutino la definizione di soggetti capaci di aiutare a cambiare in senso innovativo e utile agli interessi local/nazionali. Poi simili soggetti potranno andare dove vogliono: a destra o a sinistra, a Berlino o a Washington. Ma daranno comunque alcune basi per far ripartire l’Italia facendo ripartire il Nord: due processi oggi più integrati che nel passato ma ancora distinguibili.

Per registrarsi all’incontro compilare l’apposito form nel sito della Fondazione

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1 commento

  1. leo aletti

    Il fondamento va riconosciuto nei principi non negoziabili,inoòtre la speranza è ultima a morire essendo essa certa. Tanti auguri Leo Aletti

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