Ieri il Movimento cinque stelle ha chiesto ai suoi aderenti di votare “sì” sulla piattaforma Rousseau per dire “no” al voto in Emilia Romagna e Calabria. Il risultato è stato che quelli cui è stato chiesto di votare “sì” per dire “no” hanno votato “no” per dire “sì” al voto in Emilia-Romagna e Calabria.
Rileggere.
Rileggere di nuovo.
Non stupirsi.
Mettere al voto il voto
Non bisogna stupirsi perché lo scioglilingua linguistico è perfettamente coerente con la labirintica logica grillina che fa di ogni questione una sciarada enigmistica d’impossibile interpretazione, a meno di avere la corretta chiave. E l’unica chiave d’interpretazione possibile per uscire dal dedalo è questa: il Movimento cinque stelle è una grandiosa truffa. Più dell’esito del voto è infatti interessante analizzare il modo con cui si è arrivati a decidere di “mettere al voto il voto” (perdonate la ridondanza, la colpa è tutta loro).
Pippo a spasso sull’auto blu
È successo infatti che, nel giro di un paio d’anni, quelli del “noi siamo diversi”, da noi “uno vale uno”, il nostro mantra è la trasparenza dello streaming, noi non facciamo alleanze, “mai con la Lega”, “mai col Pd”, “noi abbiamo la regola del doppio mandato”, “abbiamo ideato la piattaforma Rousseau come strumento democratico per far scegliere gli aderenti al movimento”, “noi non rubiamo”, hanno:
Nominato un capo politico, cioè “uno” che vale più di tutti gli altri “uno”.
Abolito lo streaming.
Negato di fare l’alleanza con la Lega e poi fatto l’alleanza con la Lega.
Negato di fare l’alleanza con Pd e poi fatto l’alleanza col Pd.
Ideato il mandato zero.
Usato la piattaforma Rousseau per ratificare decisioni già prese a casa di Beppe Grillo o di Davide Casaleggio (tipo l’alleanza col Pd).
Rubato (rileggere Mattia Feltri qui).
Usato l’auto blu per portare a spasso il cane Pippo.
Dittatura da operetta
Quindi nessuno stupore se, col voto di ieri, s’è raggiunto un nuovo apice di parossismo politico: le premesse per arrivarci c’erano già tutte e sono contenute nel nocciolo del pensiero grillino che è, in buona sostanza, l’opposto della democrazia e ciò che maggiormente si avvicina a una dittatura da operetta in cui, a seconda dei casi, si finge di far decidere a tutti ciò che sta bene a uno solo o si finge di far decidere gli altri perché non si sa che pesci pigliare.
Dal 32 al 5 per cento
Il caso emiliano-romagnolo-calabro fa al caso nostro. Accade questo: il partito che prende il 32 per cento alle ultime elezioni politiche, il più votato dagli italiani, è oggi dato dai sondaggi in Emilia Romagna al 5 per cento. Rileggere: 32 per cento; 5 per cento.
Ieri su Repubblica, Giovanni Favia «ex enfant prodige» dei cinquestelle, la raccontava così:
«Un tempo eravamo pochi eletti, ma sotto di noi c’erano una marea di attivisti. Adesso sono più gli eletti degli attivisti. Quando facevo gli eventi io per dare conto del lavoro in regione dovevo affittare una sala congressi. Oggi al massimo organizzano una pizzata. Al Navile, alla Bolognina, le riunioni dei meet up non si fanno più».
Dal 4 marzo 2018 ad oggi sono successe un po’ di cose, oltre a quelle ricordate sopra, ma qui le riassumiamo in un epigramma: i cinquestelle governano l’Italia come la giunta Raggi governa Roma.
La foto portasfiga
È quindi accaduto che col voto in Umbria s’è ratificata la crisi del partito non partito: 7,4 per cento; 30.953 voti (nel 2018: 27,5 per cento; 140.731 voti). La foto di Narni, emblema dell’alleanza giallorossa, ha portato una sfiga pazzesca, per dirla in termini elegantemente politologici.
Ergo i vertici del partito dove ognuno vale uno sono stati assaliti dal dilemma: meglio presentarsi col rischio concreto di racimolare percentuali lillipuziane e far perdere il Pd o non esserci, evitando la figura di palta, ma sparendo dalle due regioni? Questione di non poco conto ed era chiara, visto le dichiarazioni di Di Maio in questi giorni (tutte favorevoli alla non presenza) sia la formulazione del quesito su Rousseau (che propendeva chiaramente per la non presentazione) come Grillo&Co volessero che andasse a finire. È successo il contrario, ma la questione di fondo rimane.
La questione a monte
Soprattutto in Calabria – dove si rischia di pagare lo scotto emiliano – è scoppiato il pandemonio con deputati locali innervositi dalla decisione di sottoporre il voto al voto.
Insomma è partito il dibattito, con alcune osservazioni anche acute, tipo quella del senatore Gabriele Lanzi:
«Perché un iscritto piemontese o uno pugliese dovrebbe negare la partecipazione al voto regionale in una regione diversa dalla sua?».
O quella del deputato Mattia Fantinati:
«Tra non presentarsi e prendere pochissimi voti, è meglio non presentarsi. Certo, non presentandosi mai, alla fine si finisce per non prenderli mai i voti».
Ma la questione è a monte, come si dice. E a monte ci sta la truffa di far credere che la soluzione alle falle della democrazia sia internet. Ma il M5s non è la soluzione, è solo spam.
Foto Ansa