Se l’Italia non investirà 185 miliardi, entro il 2030 ne perderà più di 800
Oltre 807 miliardi di euro: tanto l’Italia ci rimetterà nel periodo 2014-2030 se lo Stato non realizzerà alcune necessarie infrastrutture. Sono i cosiddetti “costi del non fare”, generati da mancati investimenti in opere come ponti, autostrade, ferrovie ma anche termovalorizzatori, depuratori e reti di telecomunicazione. Queste infrastrutture richiederebbero investimenti pari a 185 miliardi di euro. La stima dei “costi del non fare” è contenuta nella nona edizione del rapporto elaborato ogni anno dall’omonimo Osservatorio, che sarà presentata questa mattina a Roma. A illustrarne a tempi.it i contenuti è il direttore dell’Osservatorio Stefano Clerici. L’anno scorso la stima era stata superiore, pari a 893,4 miliardi di euro, e nel solo biennio 2012-2013 il conto che gli italiani hanno effettivamente dovuto pagare per i ritardi infrastrutturali degli anni precedenti è stato pari a 82 miliardi di euro. Se si vogliono evitare in futuro conti così salati, servono importanti investimenti, pubblici o privati che siano, crisi o non crisi.
In realtà non è un dato da leggere in maniera così positiva, come può sembrare. Il calo, infatti, è dovuto anche a un minor fabbisogno infrastrutturale per via del perdurare della crisi nella produzione di beni e servizi. Stiamo parlando, comunque, di oltre 800 miliardi di euro, che non sono pochi.
Chi pagherà un conto così eccezionale?
L’Osservatorio dei costi del non fare stima il costo che la collettività dovrà sostenere da qui al 2030 se non si realizzano per tempo tutte quelle opere, infrastrutture e ammodernamenti che il confronto con le economie degli altri Paesi avanzati ci chiede con urgenza.
Su cosa siamo in ritardo?
Degli oltre 800 miliardi di euro, ben 124 miliardi riguardano i settori dell’energia e dell’ambiente, come la costruzione di termovalorizzatori e acquedotti; 260 miliardi quelli dei trasporti e della logistica ma più della metà del totale, pari a 425 miliardi di euro, è ciò che l’Italia dovrà pagare se perde il passo nel campo delle telecomunicazioni. Specialmente per quanto riguarda la banda ultralarga, un intervento ormai non più procrastinabile.
No, non è questo il punto. Il Paese ha bisogno anche di ammodernare le strade e le ferrovie. Ma il ritardo sulla banda ultralarga in questo particolare momento storico potrebbe rappresentare un grave handicap per le imprese, con importanti ricadute negative in termini occupazionali e di investimenti.
Nonostante la lentezza della giustizia, il costo del lavoro e la burocrazia, c’è ancora chi sogna di investire in Italia?
È proprio questo il punto su cui l’Osservatorio mira a sensibilizzare le istituzioni. In un momento in cui lo Stato non dispone di liquidità sufficiente e le banche non finanziano più le infrastrutture, bisogna trovare nuovi investitori che dall’estero vengano per finanziare queste opere. Ma perché ciò possa accadere, occorre rendere gli investimenti infrastrutturali più appetibili.
Come attrarre investimenti esteri?
All’estero c’è una tipologia di investitori che l’Italia non è ancora stata in grado di attrarre: sono i fondi pensione e le compagnie assicurative, che hanno il problema di dover ripagare i premi ai loro utenti. Si potrebbe, per esempio, detassare i proventi dei fondi pensione derivati da investimenti infrastrutturali. Un’altra ipotesi potrebbe anche essere quella di rilanciare i project bond, che all’estero funzionano e su cui ha iniziato a interrogarsi l’Unione europea con l’idea degli eurobond.
E come si fa?
Se questi canali non decollano, significa che qualche ostacolo ancora ci deve essere. Occorre rimuoverlo, ma sembra che gli ultimi governi su questo punto si siano impegnati. Siamo fiduciosi e staremo a vedere cosa accadrà nei prossimi mesi.
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2 commenti
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Interessante.
1 km mancato di ferrovie tradizionali crea un danno 6 volte tanto di 1 km mancato di TAV. Un’altra ragione a favore della Val di Susa.
I 1300 km di tangenziali e autostrade sono da completamenti e riqualificazioni o nuovo asfalto? se son nuovi è demenziale.
33 inceneritori? e per farne che? ha senso solo se si rinuncia al riciclo. In lombardia già abbiamo più capacità di incenerimento che rifiuti, a riprova del fatto che gli inceneritori sono costruiti per fare profitto e solo secondariamente per gestire i rifiuti.
Siamo il paese dei “no” a prescindere…