Il tredicesimo apostolo? A confronto il Codice da Vinci è la Bibbia

Di Carlo Candiani
05 Gennaio 2012
La serie tv Mediaset "Il tredicesimo apostolo - Il prescelto" è una delle fiction più sballate nella storia della televisione italiana

Eh sì, in casa Mediaset si devono essere bevuti il cervello per mettere in onda, con tanto di strombazzamento mediatico (in campo anche Tv sorrisi canzoni, con una puntuale copertina), una delle fiction più sballate nella storia della televisione italiana: Il tredicesimo apostolo – Il prescelto Una risposta tutta italiana a X Files? Un ritorno alle atmosfere inquietanti de Il Segno del Comando della Rai d’inizio ’70? Un tributo al thriller pseudo religioso alla Dan Brown? Nulla di tutto ciò. O almeno, se l’obiettivo era questo non è stato raggiunto.

Va bene il fantasy, ci sta il paranormale ma qui di paranormale c’è solo una produzione convinta di avere fatto un prodotto degno di essere visto. Eppure le premesse c’erano tutte: il produttore Pietro Valsecchi, che con la sua Tao Due aveva realizzato, sempre per Mediaset, l’interessante Ris, e la regia nervosa e ritmata di Alexis Sweet. La tensione invece è ridotta ai minimi termini, l’unico fantasma è il ritmo, non c’è uno straccio di stupore nei volti dei protagonisti, che si trovano davanti a situazioni che dovrebbero testimoniare il mondo sconosciuto di fenomeni extrasensoriali, accompagnati da spiegazioni pseudo scientifiche bofonchiate a mezza voce, attraverso l’audio in presa diretta, giusto per non far capire allo spettatore l’assurdità della situazione.

Claudio Gioè e Claudia Pandolfi sono una specie di prete, “Indiana Jones dell’occulto”, belloccio quanto basta per fare innamorare una psicologa agnostica, che lo segue già dalle prime sequenze come ipnotizzata. I due si trovano a sbrogliare, con sprezzo del pericolo (e anche del ridicolo), morti ed efferati delitti, che hanno come premessa veri o presunti fenomeni paranormali, segnalati da una misteriosa Congregazione della Verità, gestita da cardinali e monaci in stile Il nome della Rosa, della quale non si sa se il Vaticano sia a conoscenza. La Congregazione è presieduta da un prelato, lo zio di padre Gabriel (il prete protagonista), il cui segretario è un antipaticissimo sacerdote che passa per un “ortodosso della fede”, mentre il simpaticissimo padre Gabriel, atletico e moderno, non manca mai di mettere in dubbio la propria. Ed è appunto qui che sembra passare uno strano messaggio subliminale: tutti gli efferati delitti si svolgono in ambienti dove il cristiano è raffigurato come incarognito bigotto, o più spesso come una persona lugubre, che non sa cosa significhi sorridere, capace di ogni nefandezza pur di difendere il suo status quo. Lo stesso titolo della serie, Il tredicesimo apostolo – Il prescelto, fa intuire una svolta finale dove, con moderazione, accadrà una svolta decisiva nella vita della Chiesa.

Ora, i responsabili dei palinsesti televisivi dovrebbero capire una volta per tutte che gli spettatori non si bevono qualunque cosa passi il convento, appunto. Consigliamo a Mediaset, ma anche a Rai Uno, di utilizzare con più parsimonia e meno spavalderia la figura del prete. A meno che non si voglia fare risaltare la bravura di Dan Brown perché, a confronto, Il Codice da Vinci rischia di essere un capolavoro.

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