La preghiera del mattino
Il tramonto nel rancore di Carlo De Benedetti
Su Formiche Carlo Galli dice: «La partita è fra quella che si potrebbe definire élite alto-borghese che propone la permanenza dell’Italia all’interno di circuiti politici internazionali collaudati; e una vasta platea di Italia, diciamo così, piccolo-borghese, portatrice di disagi, malumori, interessi settoriali, meno coinvolta nella dimensione valoriale, illuministica e programmatica, che viene fatta propria dal centrosinistra. Un’Italia più interessata alla difesa del tenore di vita, del proprio piccolo business e a far valere la propria protesta, non sempre immotivata, sia ben chiaro. La destra i voti li prende sulla base del fatto che i problemi sono reali e a quei problemi il centrosinistra non dà (per ora) soluzione».
Pur con qualche semplificazione (propagandistica) di troppo, l’analisi dello studioso di dottrine politiche Carlo Galli è interessante. E di fatto il problema del centrosinistra è legare le élite che gli si sono affidate a settori popolari, mentre per il centrodestra è dare una cultura politica ai settori popolari che lo hanno scelto per difendere i propri interessi: chi ha una “lingua” tende a non avere un popolo, e chi ha un “popolo” tende a non avere una lingua. Sarebbe magnifico se la riflessione politica si concentrasse su simili temi, senza voler invece ricreare un ridicolo clima da 18 aprile 1948.
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Su Dagospia ci si chiede: «Come mai non è stato possibile leggere una riga di Carlo De Benedetti su Scalfari?».
Il tramonto di De Benedetti in un rancore senza limiti che parte dai suoi figli e arriva a tutto il mondo, è veramente impressionante. La sua figura è sempre più simile a quella di Gloria Swanson nel grande film di Billy Wilder: qualsiasi cosa è buona, tipo accusare Giorgia Meloni di essere ripudiata dagli Stati Uniti (ed essere subito smentito direttamente dal Dipartimento di Stato), per ritornare un minuto sulla ribalta. Particolarmente pena fanno gli attacchi a Silvio Berlusconi (sull’onda di Renato Brunetta che accusa il suo vecchio leader di non essere lucido) di essere in mano a delle badanti. Ma magari in questo ultimo caso si tratta solo di invidia.
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Sul sito di Tgcom si scrive: «I leader del centrodestra hanno raggiunto un “pieno accordo” sulla questione premier e anche su come ripartire le candidature nei 221 collegi uninominali, “in base al consenso attribuito ai partiti”».
Che cosa farà adesso il nostro povero giornalista collettivo che aveva puntato tante delle sue carte sull’acerrimo scontro nel centrodestra? Riuscirà a trovare un qualche collaboratore pasticcione di Matteo Salvini che ha parlato con un qualche diplomatico russo? Un seguace deficiente della Meloni che espone un manifesto della X Mas? Un qualche fotografo cretino che denuncia il fascismo di Fratelli d’Italia? Vedrete, il giornalista collettivo non vi deluderà.
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Sugli Stati generali Paolo Natale scrive: «Era una forza politica che racchiudeva tutte le paure, le incertezze, le alterità e il disgusto verso un mondo che pareva allontanarsi sempre di più dai reali bisogni dei cittadini, chiuso in se stesso e incapace di riformarsi dal di dentro. E i 5 stelle parevano la speranza per un futuro nuovo, migliore, più vicino all’elettorato. Sappiamo che non è stato così: la loro permanenza in tutti i governi di questa legislatura l’hanno di certo snaturato, gli hanno fatto perdere tutto l’appeal originario. E l’elettorato, il vecchio elettorato del 2018, così come i suoi eletti, poco alla volta se n’è andato verso altri lidi. Dal 33 per cento sono passati al 17 per cento delle Europee dell’anno successivo, perdendo in soli quindici mesi ben 6 milioni di consensi e oggi, se dovessero essere confermate le ultime stime di voto, che lo vedono attorno al 10 per cento, sarebbero ridotti a poco più di 3 milioni, meno di un terzo del suo precedente elettorato».
All’ottima analisi che sui 5 stelle offre Natale, va affiancata un’adeguata riflessione sulle responsabilità di Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella, che con la volontà di gestire la politica italiana dall’alto (e dal fuori) hanno prodotto quel terribile sconquasso che è stata l’ascesa (peraltro alla fine compensata dalla sua faticosa caduta) di un movimento come quello grillino.
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