Il diavolo consiglia: meglio seppellire nella retorica il cadavere di Nelson Mandela

Di Berlicche
15 Dicembre 2013
L'ex presidente del Sudafrica è troppo pericoloso con la sua idea di promuovere perdono e pacificazione a categorie politiche. Bisogna ridurre il suo ricordo a pura celebrazione emotiva, scrive Berlicche

Mio caro Malacoda, cerca di coprire con la retorica e con il cinismo l’evento della morte di Nelson Mandela. Scatena un po’ di polemiche, come vedo stai già facendo, sulle 3 mogli, i 6 figli, i 17 nipoti, i 12 pronipoti e i 4 figliastri. Fomenta il cicaleccio sulle liti per l’eredità milionaria.

Quanto al versante retorico tutta l’enfasi possibile sia sulla parola libertà, ricorda il combattente per la libertà, istiga paragoni impropri, segnala i nuovi Mandela, i nuovi perseguitati per la libertà. Insomma, fai confusione, costruisci l’icona che può servire a far dimenticare l’apporto unico che Mandela ha dato alla storia del suo popolo e del Novecento. Unico, come unico è l’apporto che ogni singolo uomo dà alla storia. Fa in modo che chi lo celebra veneri un’immagine e non si fermi a riascoltare le sue parole, la sua concezione della politica, la sua idea di popolo. I video siano emozionali, evocativi, nessuno si soffermi su quanto ha detto, che è quello che gli ha permesso di fare quello che ha fatto. Mi hai capito, il ricordo di Mandela resti una celebrazione e non diventi un’esperienza.

Leggi, a riprova dei miei consigli, queste sue parole del 1994, quando divenne presidente del Sudafrica, e dimmi se, dal nostro punto di vista, non c’è da rabbrividire.

«Dall’esperienza di uno straordinario disastro umano durato troppo a lungo deve nascere una società di cui tutta l’umanità possa essere orgogliosa. Le nostre azioni comuni come cittadini sudafricani devono produrre una realtà del Sudafrica che rinnovi la fiducia dell’umanità nella giustizia che rafforzi la convinzione della nobiltà dell’animo umano e sostenga la nostra speranza di una vita gloriosa per tutti. Lo dobbiamo a noi stessi e alle genti del mondo. È giunto il tempo di curare le ferite. Il momento di colmare gli abissi che ci separano è arrivato. Su di noi incombe il tempo di costruire. Finalmente abbiamo conquistato la nostra emancipazione politica. Che ci sia giustizia per tutti. Ci sia pace per tutti. Ci sia lavoro pane, acqua e sale per tutti. Mai, mai, mai più ancora questa bellissima terra dovrà sperimentare di nuovo l’oppressione dell’uno sull’altro e soffrire l’oltraggio di essere la feccia del mondo. Il sole non smetterà mai di illuminare una simile conquista. Che regni la libertà. Dio benedica l’Africa!».

Dopo 27 anni di carcere ritrovi un uomo che è stato libero anche in quei 27 anni. Un uomo che potrebbe essere prigioniero del suo sacrosanto desiderio di vendetta e che invece crede ancora nella “nobiltà dell’animo umano”. Ci crede talmente che pensa possa risorgere anche grazie a uno “straordinario disastro umano”. Ha il coraggio di parlare di una vita “gloriosa”. Propone la giustizia come la capacità di “curare le ferite”, e la politica come la responsabilità del “costruire”. Mentre invoca pace, giustizia e lavoro per tutti è così concreto, così immerso nella vita del suo popolo, che non si dimentica del “sale”. E per non abitare più in un paese giudicato la “feccia del mondo”, ha usato della sua libertà lavorando per la pacificazione e ha promosso il perdono a categoria politica. Non è stato l’unico, senza perdono non si ricostruiscono le nazioni, ma impressiona la magnanimità con cui l’ha fatto.

Vuoi davvero che le nuove generazioni si ricordino di uno così?

Tuo affezionatissimo zio Berlicche

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