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Maledetti i Dante e i Manzoni: ci conoscono meglio di noi

Questi cattolici sanno rappresentare il nostro Inferno come nemmeno noi sappiamo. E possono commuoversi per la fine di un acerrimo nemico. Napoleone, per esempio

Berlicche
16/04/2021 - 2:05
Magazine
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Dante Alighieri, Alessandro Manzoni

Mio caro Malacoda, qui in Italia piove Dante a catinelle ed è per noi un bene, perché quando tutti parlano di una cosa è come se nessuno parlasse di ciò che veramente è. Il grande Alfonso Berardinelli anni fa partorì un aforisma perfetto che spiega l’alighierimania di oggi: «Di qualunque cosa Derrida annunci di parlare, parlerà del modo in cui sta parlando della cosa di cui non parla». Sulla Repubblica, ad esempio, hanno intervistato Dante per farlo parlare delle fake news e dell’assessora lombarda alla Salute. 

Ora, capisco che per un vero estimatore del Poeta è meglio adesso che tutti lo osannano di quando – parlo degli anni Settanta del secolo scorso – gli odierni lautatores lo relegavano nell’oblio accademico: ricordo uno studente dell’Università di Torino, per il cui traviamento a lungo mi adoperai, che per poter sostenere un esame su Dante dovette concordare un piano di studi personalizzato con l’ordinario di Letteratura italiana, perché non esistevano all’epoca corsi a lui dedicati. 

Nel profluvio di lodi si è cercato chi andasse controcorrente. Pareva l’avesse fatto un tedesco, Arno Widmann, che parla di «ego immenso», «fabbrica di versi», «bacchettone presuntuoso» con «il piacere di giudicare e condannare», altro che l’inventore della lingua italiana, un plagiatore sospettato pure di corruzione. Insomma, gli italiani hanno ben poco da festeggiare, di uno così dovrebbero vergognarsi. Poi è arrivato il “contrordine compagni”: Widmann non ha mai scritto quello di cui l’accusano. Chi dovrà chiedere scusa a chi, adesso? Boh.

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Pare accertato, invece, che nel 2012, Dante è stato accusato di essere razzista, antisemita, islamofobo e omofobo. Gherush92, organizzazione di ricercatori e professionisti che gode dello status di consulente speciale con il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, ne propose l’eliminazione dai programmi scolastici.

Stupisce – ma è solo una delle tante schizofrenie del disorientamento generale – che nessun sostenitore della cancel culture abbia ancora chiesto l’abbattimento delle sue statue. Richiesta invece pervenuta per i monumenti di un altro celebrato in questo 2021 di centenari: Napoleone, morto il 5 maggio di duecento anni fa. «Sporco razzista, colonialista e schiavista». Che il Bonaparte non sia stato il capo di una Ong umanitaria credo sia assodato anche fra i bonapartisti, ma – come ho sentito dire da una saggia infermiera africana – «è inutile rifiutare una cosa che è già successa».

Mi ha sempre colpito come ne parlò, in mortem, Alessandro Manzoni. Non proprio uno che la pensasse come lui. Il quale, «vergin di servo encomio e di codardo oltraggio», si stupì sino alla commozione per la sua fine solitaria e, non condividendone la politica ne riconobbe il genio sino a chinar «la fronte dinnanzi al Massimo Fattor, che volle in lui del creator suo spirito più vasta orma stampar». Non si inchina all’intelligenza di Napoleone, abbassa il capo di fronte a Colui che gliel’ha data. E poi fa una cosa molto dantesca, «intuarsi», immedesimarsi con quell’uomo, perché è il «cor indocile» di quell’uomo che gli interessa conoscere. E lo vede solo in riva all’oceano a Sant’Elena a ripensare ai fasti, agli errori, agli orrori. L’immagine – come sa chiunque si sia trovato lontano da riva con il mare grosso – è tremenda: «Come sul capo al naufrago l’onda s’avvolve e pesa, l’onda su cui del misero, alta pur dianzi e tesa, scorrea la vista a scernere prode remote invan; tal su quell’alma il cumulo delle memorie scese!». Cerchi la salvezza all’orizzonte e l’onda dei ricordi te la nasconde e l’allontana; ti prende una stanchezza infinita («cadde la stanca man»). Disperi. C’è una sola possibile speranza: che il Massimo Fattor si ricordi di te, ti si renda nuovamente presente, nonostante la tua vita, come lo è stato alla sua origine. È quello che ipotizza Manzoni anche per Napoleone in punto di morte; perché se la morte fa parte della definizione della vita, anche l’istante della morte ci trova vivi. E la fede è il riconoscimento di un istante: «Tu dalle stanche ceneri sperdi ogni ria parola: il Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola, sulla deserta coltrice accanto a lui posò».

Noi demoni – caro nipote – ci illudiamo per i nostri provvisori trionfi ma siamo perennemente perdenti di fronte alla capacità di questi cattolici di capirci e rappresentarci meglio di quanto noi stessi sapremmo fare – questo è l’Inferno dantesco – e di riconoscere il mistero di un uomo al di là di ogni brutta possibilità della storia. Ma non scoraggiarti.

Tuo affezionatissimo zio
Berlicche

Tags: alessandro manzoniberlicchecristianesimodante alighieriinfernonapoleone bonapartetempi aprile 2021
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