Nessuno avrebbe mai immaginato che tutto sarebbe precipitato così rapidamente. Che il consenso politico si logori con l’esercizio dello stesso è inevitabile e da mettere nel conto. In campagna elettorale si suscitano aspettative, si fanno promesse, si immaginano soluzioni che poi la realtà si occupa di disattendere e sfatare. Sta all’abilità del politico trovare i pertugi per rimodellare gli ostacoli a suo vantaggio, diminuendo il gap tra i desiderata e la realtà; ma se non sai farti concavo e convesso, malleabile e astuto nel tramutare gli inciampi in opportunità, quel che rimane infine sono i frantumi dello scontro fra corpi rigidi.
Ecco, Ignazio Marino è un tipo rigido, legato all’immagine di sé che un po’ s’è dipinto addosso, un po’ gli hanno dipinto addosso gli altri. Non è tutta colpa sua, insomma. Passato un anno e mezzo dalla sua elezione a primo cittadino dell’Urbe, dove stravinse raccogliendo il 63,9 per cento dei voti, i consensi hanno avuto un così abissale crollo che non possono essere spiegati nemmeno da una fisiologica flessione. Oggi meno di un romano su cinque dice di aver fiducia in lui, solo il 23 per cento lo rivoterebbe e alla domanda «cosa funziona bene a Roma?» il 54 per cento dei concittadini risponde con un laconico: «Nulla». Sono i risultati di un sondaggio commissionato dal Pd a ottobre, e il fatto che sia stato il suo partito a ordinare lo studio e a renderlo noto, la dice lunga su come vadano le cose nei pressi del Campidoglio.
Il profilo del Nostro corrisponde perfettamente a un certo imbroglio con cui si è soliti mischiare le carte in questa cosiddetta Seconda Repubblica, dando a credere che si può vincere la mano coi fiori quando la briscola è cuori. Nato a Genova da madre svizzera e padre siciliano, Marino è chirurgo di “chiara fama”, cioè non semplicemente medico, ma appartenente a quella categoria che oggi, assieme ai magistrati, maggiormente s’avvicina nell’immaginario collettivo al sacerdote. Perché sarà anche morto Dio, come diceva Nietzsche, ma ci son rimasti i “preti”, che smessa la tonaca hanno indossato l’ermellino o il camice bianco. Marino è fra questi ottimati, depositario di verità scientifiche inaccessibili ai più. Su questa presunzione ha costruito la sua carriera e, oseremmo dire, la sua ieratica figura di custode di una conoscenza e coscienza immacolata, che i biscazzieri di ogni risma possono al più ammirare, se non onorare. Con altri esiti, infatti solo leggermente lambiti dagli schizzi di fango della realtà, è la stessa immagine che ha fatto la fortuna di Umberto Veronesi. Medico-medicina per i mali del globo, farmaco che monda le lordure degli umani affari, il sacerdote con lo stetoscopio non parla, oracola. Trova in sé la forza interiore e insindacabile per raddrizzare il legno storto. E, nel caso di Marino, paradosso solo apparente, questa introspezione trova la sua energia nelle fede cattolica, su cui poi torneremo. «Prima di ogni intervento – confidò all’Espresso – mi lavo lentamente le mani, i polsi, gli avambracci, i gomiti. Faccio scorrere l’acqua per l’ultima volta sulle mie braccia, dico una preghiera e abbandono il resto del mondo».
Il luminare venuto dagli States
In sé, l’idea di fare di Marino un capo poteva anche funzionare. E infatti funzionò nell’estate 2013. La città era stanca di Gianni Alemanno (“Lupomanno”, come lo chiamavano), il pugliese popolare, figlio della destra sociale, cresciuto macinando chilometri in campagne elettorali, fra gazebi e mercati, riunioni bibliche davanti a migliaia di persone o sul pianerottolo di un condominio a Torpignattara. Alemanno era tutto ciò che Marino non era, e fu intuizione non banale di Goffredo Bettini capirlo al volo. Fu sua l’idea di puntare sul re dei trapianti: prendere l’esperto, il chirurgo che aveva lavorato in Pennsylvania e trapiantarlo a Roma, che sarà anche caput mundi ma anche una città italiana, cioè provincia dell’Impero, con relativo complesso di inferiorità. E cosa c’era di meglio del luminare venuto dagli States, tutto curriculum e trasparenza, merito e competenza, per far intravedere ai romani la redenzione? Basta scandali e raccomandazioni, basta gabole e sotterfugi, basta Er Batman e Lupomanno. Arriva Marino che aveva nel suo slogan già tutto il programma: «Non è politica, è Roma» (più un romanesco «daje», giusto per dare un tocco di vernacolo).
Ma Ignazio aveva soprattutto il look adatto a trasmettere l’idea dell’intellettuale laico moderno: massimi sistemi portati in giro con lo zainetto e la bicicletta. Aveva soprattutto un’importante caratteristica: era (è) cattolico e aveva scritto un libro col cardinale Carlo Maria Martini, che l’aveva onorato di un dialogo pensoso sull’Espresso poi divenuto volume: Credere e conoscere. Non si sottovaluti la cosa. Marino nasce nella fondazione ItalianiEuropei, quella di Massimo D’Alema, e diventa poi senatore nel 2006 nei Ds, poi nel 2008 e ancora nel 2013 col Pd. Avrebbe potuto essere uno dei tanti professori peones parlamentari che, dopo qualche anno, escono di scena lamentando l’impossibilità di agire in politica perché questa non s’adegua ai loro schemi perfetti. Fu il dialogo col cardinale di Milano ad arricchire il cursus honorum del Nostro di quel surplus necessario a innalzarlo sopra i corpi dei comuni mortali.
È grazie a quell’opera che il Nostro smise di essere solo un “cervello” prestato alla politica e divenne icona. Icona di cosa? Dei diritti civili, della salute, della laicità e dell’ambiente. Con tanto di fiocchetto sulla medaglia, e cioè quella professione di fede cattolica che nel suo caso si fa sempre necessaria premessa per prendere le distanze da certe credulonerie medioevali. E così Credere e conoscere è tutto un florilegio di zone grigie e interpretazioni, sofferte riflessioni e indagini sul «campo oscuro, profondo, magmatico, difficilmente definibile» della sessualità. Un viaggio, un’ascesi, un’immersione «in caverne oscure e impenetrabili» dove la «coscientia perplexa» di Marino – pare di vederla – s’arrovella in «sfere spesso difficili da sondare». Che poi, stringi stringi, sono quelle che la sinistra sonda e perlustra da anni, alla ricerca di una giustificazione morale che, avulsa dal magistero petrino, possa dare fondamento etico a fecondazione assistita, omosessualità, eutanasia, uso del profilattico. Il solito brodo, insomma. Ma con certe «perplessità enigmatiche» che da quelle parti sono tutto, signora mia.
Il marziano che ci voleva
Quando nel luglio 2009 si candidò alle primarie per la segreteria nazionale raggiunse un doppio notevole risultato: mise in ombra la sua provenienza dalemiana contendendo la leadership a Pier Luigi Bersani e si presentò come cattolico adulto più adulto del popolare Dario Franceschini. E infatti trovò il sostegno di Stefano Rodotà, Paolo Flores D’Arcais, Emma Bonino e Beppino Englaro.
Quattro anni dopo, alle primarie per Roma, Marino non dovette fare altro che passare all’incasso raccogliendo più del 50 per cento dei consensi contro David Sassoli e Paolo Gentiloni. Lui, creatura diessina, aveva ora l’immagine di uomo di sinistra, ma non del Pd. Lontano da tutte le correnti, era solo un americano a Roma, il marziano che ci voleva. E per qualche settimana l’innesto del presunto corpo estraneo funzionò. Famiglia Cristiana lo immortalò bici-munito davanti ai fori imperiali, i quotidiani gli tennero bordone, lui promise, nella città delle bustarelle, delle magagne e della spartizione politica, di fare tutto on line, in base a merito e competenza.
La lite con la donna delle pulizie
Già, però, poi, come si diceva, la realtà s’è mostrata per quel che è sempre, e cioè difficilmente modificabile solo perché le si fa la predica. Ma come, io ho l’idea giusta, e nessuno s’adegua? Così il sindaco sacerdos s’è rintanato nella sua torre eburnea allibito che il popolo non ubbidisse ai suoi oracoli. Non lo dicono gli avversari politici, ma i suoi, quelli del Pd: «Prima Roma era governata malissimo da Alemanno. Ora però non è proprio governata, e non so cosa sia peggio». In un anno è mezzo è riuscito a litigare con tutti: consiglieri comunali, giunta, presidenti dei municipi, dirigenti dell’amministrazione, vigili, prefetto, commercianti, scuole paritarie, passeggini, Curia, abitanti del centro e delle periferie. Manca qualcuno? Ah sì, «la donna delle pulizie che gli ha spostato una fioriera in ufficio».
Così Marino, visto che la volgare gestione della cosa pubblica proprio non è adatta a essere incisa dalle sue preziose mani di chirurgo, s’è ributtato nel campo a lui più consono e che finora gli aveva garantito un certo successo: le battaglie civili, quelle che strappano sempre un titolo sui giornali. E vai di trascrizioni di nozze gay. Solo che sono fuochi di paglia, che valgon bene una citazione su Repubblica, ma poi il giorno dopo la gente guarda se sotto casa gli hai rattoppato la buca sul selciato. E se non l’hai fatto, non è che te la perdona solo perché sei un prete senza Chiesa. Non c’è più religione, davvero. Nemmeno quella laica.