Hong Kong. «Tre anni di carcere per chi invita a votare scheda bianca»
È sempre più feroce la repressione dei diritti civili a Hong Kong. E più si fa feroce, più rischia di sfociare nel grottesco. Ieri, durante la presentazione della modifica della legge elettorale imposta all’isola dalla Cina, la governatrice Carrie Lam ha annunciato che «incitare apertamente a votare scheda bianca sarà un reato» passibile di tre anni di carcere.
Il regime a Hong Kong è grottesco
La revisione della legge elettorale, imposta dal Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo di Pechino, prevede l’azzeramento di fatto della democrazia nell’ex città autonoma. Soltanto 20 seggi del Consiglio legislativo di Hong Kong saranno eletti dal popolo e una commissione controllata da Pechino potrà mettere il veto ai candidati non “patriottici”, cioè a tutti coloro che si battono per la democrazia nell’isola e si oppongono al regime comunista.
Dopo aver impedito ogni candidatura scomoda, per impedire qualsiasi manifestazione di dissenso elettorale, ora il governo vieta di invitare pubblicamente a votare scheda bianca o di «prevenire altre persone dal votare». I nuovi reati saranno introdotti per evitare che qualcuno possa «danneggiare la credibilità delle elezioni», già trasformate in una farsa dalla revisione imposta dalla Cina.
Le nuove regole varranno per le elezioni parlamentari, ulteriormente spostate al 19 dicembre (dovevano tenersi nel settembre 2020), per quelle della Commissione elettorale del 19 settembre e per quelle del nuovo governatore del 27 marzo 2022.
La Cina impone l’indottrinamento
La Cina non pensa però solo ad azzerare il movimento democratico nel presente, ma è già proiettata verso il futuro. Giovedì tutte le scuole dovranno festeggiare la Giornata dell’educazione sulla legge della sicurezza nazionale, quella inserita a forza (e in modo incostituzionale) nella Carta di Hong Kong dal regime comunista e che ha portato alla cancellazione anticipata dell’autonomia della città e del modello “Un paese, due sistemi”.
Tutti gli istituti (anche quelli cattolici) dovranno organizzare un evento propagandistico per osannare la nuova legge, oltre che istituire un corso per educare tutti gli studenti di scuola media e dei licei sui contenuti della legge draconiana. Le scuole hanno distribuito lunedì agli alunni dei depliant sulla legge con gli slogan: «Sostenere la sicurezza nazionale, salvaguardare la nostra patria». Nella brochure si legge che la nuova norma non limita i diritti dei cittadini di Hong Kong, che «godono ancora della libertà».
«Pechino impone metodi totalitari»
La realtà è diversa: 53 attivisti e politici democratici si trovano sotto processo con l’accusa di sovversione per aver organizzato le primarie del movimento pandemocratico in vista delle elezioni, poi rimandate. Altri attivisti o importanti figure del mondo dell’informazione, sono già in carcere o sotto processo o in esilio.
«Il regime totalitario ci impone di utilizzare metodi totalitari», spiega un insegnante di Hong Kong a Radio Free Asia sotto l’ombrello dell’anonimato. «Mia nipote, che frequenta una scuola fedele al Partito comunista cinese, già riceve corsi sulla legge. Dice che quando il preside comincia a parlare, tutti dormono sui banchi». Nonostante quest’ultimo dettaglio, ogni scuola deve formare un comitato interno di sicurezza nazionale «per organizzare la Giornata di giovedì e inviare poi un rapporto con i contenuti affrontati al ministero».
Gli attivisti di Hong Kong a processo
Oltre a leggi grottesche e corsi di indottrinamento, Hong Kong continua a usare il pugno duro anche dal punto di vista giudiziario. Ieri Joshua Wong, già condannato a 13,5 mesi di carcere per aver organizzato un’assemblea non autorizzata, cioè una manifestazione pacifica, si è visto aumentare la pena di altri 4 mesi per aver partecipato a un’ulteriore manifestazione di protesta contro il governo nell’ottobre 2019.
Venerdì 16 aprile verrà comunicato il verdetto per accuse simili anche ad altri famosi leader democratici dell’isola: Lee Cheuk-yan, Albert Ho, Jimmy Lai (in carcere da mesi in custodia cautelare per altri processi), Martin Lee e molti altri ancora. Rischiano tutti da pochi mesi a diversi anni di carcere. Proprio il magnate dell’editoria, Jimmy Lai, ha scritto dal carcere una lettera ai giornalisti del principale giornale pro democrazia da lui fondato, l’Apple Daily, nella quale li invita a «essere cauti» e a pensare alla propria «sicurezza» perché «oggi difendere la libertà di espressione è un mestiere pericoloso». Nonostante questo li esorta anche a «mantenere la schiena dritta» e a proseguire il loro lavoro.
Foto Ansa e Radio Free Asia
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