Dopo aver vietato la consueta veglia per commemorare le vittime della strage di Piazza Tienanmen, lo scorso 1 luglio, la polizia di Hong Kong ha negato al Fronte per i diritti umani e civili il permesso di organizzare la storica marcia pro democrazia dell’1 ottobre, giorno in cui la Cina celebra la nascita della Repubblica popolare.
LA SCUSA DELLA PANDEMIA
Secondo la polizia, da una parte la manifestazione rischia di aumentare la diffusione del Covid 19, dall’altra in passato la marcia si era tramutata in protesta con annesse violenze. Ci sarebbe dunque il rischio di «danneggiare la salute pubblica» e di deteriorare una «atmosfera sociale ancora instabile». L’anno scorso, durante alcuni disordini in Tsuen Wan un poliziotto sparò al petto di un manifestante di 18 anni. Il Fronte ha già annunciato che farà ricorso contro la decisione, precisando che gli obiettivi della marcia sono «ricordare tutti i manifestanti oppressi dalla polizia, reiterare le cinque richieste e richiedere il rilascio dei 12 cittadini [che avevano cercato di lasciare Hong Kong su una barca] detenuti in Cina».
Da quando è entrata in vigore la legge sulla sicurezza nazionale, che sancisce di fatto il dominio assoluto di Pechino a Hong Kong, in spregio al trattato internazionale firmato con il Regno Unito, il governo della città ha anche rinviato di un anno le elezioni parlamentari che dovevano tenersi a settembre. Il voto avrebbe probabilmente sancito una vittoria schiacciante del fronte pandemocratico, nonostante molti candidati fossero stati preventivamente squalificati, ma le code ai seggi secondo il governo avrebbero rischiato di diffondere la pandemia.
Il continuo riferimento al Covid 19 da parte delle autorità sembra del tutto pretestuoso, guardando i numeri del contagio a Hong Kong: da febbraio, infatti, ci sono stati in totale appena 5.000 casi (300 mila in Italia) e 104 morti (quasi 36 mila nel nostro paese). I nuovi contagi sono inoltre completamente sotto controllo, essendocene meno di 10 al giorno.
ADDIO LIBERTÀ DI STAMPA
La lenta ma costante erosione delle libertà civili spaventa la popolazione. Il 22 settembre la polizia ha diffuso nuove linee guida per quanto riguarda i giornalisti: i media che non otterranno l’approvazione del governo, e di conseguenza l’inserimento in un apposito registro, non potranno più inviare giornalisti alle conferenze stampa della polizia, né potranno dare copertura di manifestazioni pubbliche o scontri con la polizia, pena l’arresto. L’obiettivo è quello di contrastare i cosiddetti «fake media» e di impedire che vengano riprese e diffuse in tutto il mondo le immagini delle violenze inaudite della polizia.
La governatrice di Hong Kong, Carrie Lam, aveva dichiarato solo pochi mesi fa, a ottobre, che non avrebbe mai richiesto ai giornalisti una registrazione ufficiale. Ora ha cambiato idea, come su molti altri argomenti. Intanto, a causa della nuova legge imposta alla ex città autonoma da Pechino, si moltiplicano gli arresti e ai processi ai danni di attivisti per i diritti umani. Joshua Wong è solo l’ultimo di una lunga serie.