
Hillary no. Ma Donald? La difficile scelta dei cattolici americani

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Mai nella storia degli Stati Uniti i cattolici sono stati così in difficoltà davanti a un’elezione presidenziale. Dando per scontato che pochissimi voteranno il libertario Gary Johnson, meglio conosciuto come “mister What Is Aleppo?” (la gaffe clamorosa si può vedere su Youtube), o la verde Jill Stein, chi scegliere tra i due principali candidati? Donald Trump o Hillary Clinton? Il repubblicano o la democratica? L’uomo impresentabile che litiga con tutti, anche con papa Francesco, o la donna presentabilissima ma poco amata dagli americani? Il miliardario che fa alle donne quello che vuole, anche «prenderle per la f…», e che non risparmia apprezzamenti sessuali sulla figlia, o l’ex first lady sostenuta da Planned Parenthood, il colosso abortivo più grande d’America? Il bullo che prova ammirazione per il presidente russo, Vladimir Putin, e che non disdegna la costruzione di muri o la diplomatica tutta ponti che si fa finanziare la campagna elettorale dall’Arabia Saudita, maggiore esportatore del terrorismo di matrice islamica nel mondo? L’isolazionista accusato di avere evaso le tasse, seppur legalmente, o l’obamiana interventista che da segretario di Stato ha ridotto la Libia a una polveriera jihadista, non ha impedito l’assassinio dell’ambasciatore americano a Bengasi nel 2012 e ha violato la legge cancellando di nascosto circa 33 mila email, pur scampando la galera? Infine, l’uomo accusato di essere sessista e razzista ma che liscia il pelo ai cristiani o la donna paladina dei diritti arcobaleno e fiera avversaria della Chiesa e della libertà religiosa? Davanti ad alternative così poco attraenti, non c’è da stupirsi se anche un importante arcivescovo cattolico come Charles Chaput, primate di Philadelphia, è arrivato ad ammettere che per i fedeli sarà dura: «Credo che entrambi i candidati siano una brutta notizia per il nostro paese, sebbene in modi diversi. Donald Trump, a detta di molti, è un demagogo belligerante con problemi di autocontrollo. Hillary Clinton, sempre nell’opinione di tanti, è una criminale menzognera, la cui unica ricchezza sono idee stantie e priorità errate». Verso chi si orienterà allora il voto cattolico, che potrebbe decidere le sorti di un’elezione che è più in bilico di quanto i sondaggi lascino credere?
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Innanzitutto bisogna sgomberare il campo da un equivoco e affinare la domanda perché «non esiste davvero qualcosa come il “voto cattolico”», puntualizza a Tempi George Weigel, uno dei massimi teologi conservatori cattolici degli Stati Uniti. «Qui ci sono persone che si ritengono cattoliche, che vanno regolarmente a Messa e che tendono a votare per i repubblicani. Poi ci sono persone che si ritengono cattoliche, che raramente entrano in una chiesa e che tendono a votare per i democratici. Se il trend di questi ultimi si confermerà anche in questa tornata elettorale, io ho qualche dubbio sui primi». È difficile sottolineare «questa distinzione senza sembrare un po’ snob», ammette a Tempi Siobhan Nash-Marshall, cattolica, docente di filosofia presso il Manhattanville College e specializzata in metafisica. «Ma è troppo importante farlo. Molti cattolici in America non ritengono che seguire il magistero e le dottrine sociali sia necessario. Per queste persone non sussiste alcun tipo di problema o dilemma: voteranno felicemente per Hillary Clinton, nonostante il suo candidato alla vicepresidenza, il cattolico Tim Kaine, abbia detto chiaramente pochi giorni fa in televisione che non difenderà i diritti dei non nati». Quelli che in Italia vengono definiti “cattolici adulti”, secondo la definizione di prodiana memoria, lei li chiama «cattolici da caffetteria». Ma il significato è lo stesso. La vera domanda allora è un’altra: «Che cosa voteranno i cattolici che cercano di seguire nella loro vita il magistero nella sua interezza, cioè i cosiddetti conservatori?».
Le poche certezze rimaste
Tra tanti dubbi, è meglio partire dalle certezze: la figlioccia di Barack Obama appare «impossibile da votare». «Hillary è un candidato pessimo e fallisce il test dei quattro princìpi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa», ragiona Weigel, autore di una biografia monumentale di Giovanni Paolo II. «Lei non crede nella dignità della persona umana in tutti i suoi stadi e a prescindere dalle condizioni di vita. La sua posizione sul principio del bene comune e su quello della sussidiarietà è davvero incerta, vista la sua adesione entusiasta alle politiche sull’identità (gender, razza, eccetera) e al principio di un Big Government progressista, che lascia poco spazio ai privati. Non ha alcun concetto di solidarietà e stigmatizza sempre chi non la pensa come lei con termini dispregiativi come “intollerabile” o “incorreggibile”». Non solo, aggiunge Siobhan, «il problema è più vasto di un singolo esempio, come può essere il sostegno dato all’aborto, e riguarda la visione del potere interna al partito democratico. Clinton è una persona che si considera al di sopra della Costituzione e della legge. Questo è veramente pericoloso». L’episodio delle email cancellate, che in qualità di segretario di Stato doveva rendere pubbliche secondo il Freedom of Information Act (Foia), parla da sé e «un cattolico conservatore guarda con orrore a questa situazione. Se ha questo atteggiamento verso una legge come il Foia sulle email, figuriamoci cosa potrà accadere in futuro». Il problema è ancora più vasto, perché Hillary Clinton non è solo una candidata con un programma indigesto, è anche la rappresentante perfetta di un partito che negli anni si è trasfigurato, voltando le spalle a temi come famiglia, lavoro e quartiere, per diventare paladino delle nuove élite culturali e morali.
La spaccatura che ha diviso il paese tra laureati e non laureati, progressisti e retrogradi, anti-liberali e liberali, buoni e cattivi, in estrema sintesi, è profonda ed è fondamentale per capire perché Donald Trump ha vinto con ampio margine le primarie all’interno del partito repubblicano. Lo sa bene Michael Novak, filosofo cattolico, autore del famoso Spirito del capitalismo democratico, pensatore di riferimento dei conservatori americani, che ha studiato a fondo il problema. «La questione principale in queste elezioni è la divisione tra chi è stato educato al college e chi non l’ha frequentato», dichiara a Tempi. «I primi hanno in mano il paese: controllano televisioni, giornali, radio, università, tutta la grande cultura. Alcuni sostengono che hanno formato una nuova classe sociale, egemonizzata e controllata dal partito democratico. Si abbeverano a un magistero laico che trae i suoi contenuti dagli editoriali del New York Times e che è seguito anche da tanti cattolici». Non è un caso se tra gli americani va molto di moda una facezia: «Nelle scuole ormai ci sono tre bagni: quello per i maschi, quello per le femmine e quello per i democratici», ride Novak. La battuta coglie la portata di questo stravolgimento sociale: «Oggi i laureati hanno una moralità diversa, sono più secolarizzati, atei, approvano omosessualità e aborto, vedono la Chiesa cattolica come il fumo negli occhi e la considerano un nemico obsoleto». I cattolici «sono guardati con sospetto nelle università, perché la nuova classe politicamente corretta guarda dall’alto in basso tutti coloro che non la pensano come lei, accusandoli di sessimo e razzismo. Se la gente comune è ancora realista e vive con i piedi piantati per terra, le élite ben rappresentate dai democratici sono fuori dal mondo: hanno abbandonato il senso comune, modificato la definizione di uomo e donna, sostengono il gender, pensano che la gente dovrebbe avere pochi figli. Invece agli americani comuni piace ancora avere tanti bambini. Insomma, hanno il controllo di tutta la cultura, ma non dei quartieri, non della strada». È anche per questo che Hillary è definita invotabile dai principali pensatori cattolici. «È una donna che ha mentito, ha violato le leggi nazionali e chiunque altro per queste cose sarebbe finito in prigione», continua Novak. «Per quanto mi riguarda, non posso votare una candidata così favorevole all’aborto, all’agenda secolarista in campo morale e così ferocemente avversaria della libertà religiosa».
La lettera riparatoria
La scelta non sarebbe dunque così difficile, se solo dall’altra parte non ci fosse “The Donald”. Insieme ad oltre 30 professori e pensatori cattolici, Weigel ha firmato a marzo un appello contro Trump. Nel testo si ricordava che «il partito repubblicano è stato negli ultimi decenni il veicolo per promuovere le cause sociali che più stanno a cuore ai cattolici americani», come la difesa dei non nati, della libertà religiosa, del matrimonio tra uomo e donna. Ma questa possibilità è ora in pericolo perché «Donald Trump è manifestamente inadeguato a diventare presidente degli Stati Uniti» a causa della sua campagna elettorale infarcita di «volgarità», per non parlare «degli appelli alle paure e pregiudizi etnici e razziali che urtano ogni genuina sensibilità cattolica». Pur riconoscendo che la campagna di Trump piace a molti cattolici perché «parla di preoccupazioni legittime e genuine», si ricorda che non c’è niente «nel suo passato» e nel suo presente che dimostri sensibilità ai temi cari alla Chiesa. Ecco perché, spiega Weigel a Tempi, il candidato repubblicano «è pessimo. È un uomo immorale sia nella sua vita pubblica sia in quella privata. E poi non è credibile nella gestione del potere. Come mi è impossibile votare per Clinton, così non voterò mai per lui». Forse intuendo lo scarso appeal di cui gode tra i fedeli, il 5 ottobre Trump ha cercato di recuperare firmando una lettera ai leader cattolici, promettendo di battersi contro l’aborto e difendere la libertà religiosa. Ma la docente Nash-Marshall è scettica: «Il suo problema è che non ci dà motivi per fidarci di lui. Dichiara che vuole sostenere i cattolici, e siamo contenti di questo, ma non dice mai in che cosa consisterebbe questo suo essere conservatore». Il candidato repubblicano, in realtà, due punti importanti li ha messi a segno: «Il prossimo presidente degli Stati Uniti nominerà anche il giudice della Corte suprema che andrà a sostituire il conservatore deceduto Scalia». Questo è un punto non indifferente, visto che sono stati i nove giudici a decidere alcuni degli stravolgimenti sociali più significativi degli ultimi 40 anni, approvando ad esempio l’aborto e imponendo a tutti gli Stati Uniti il matrimonio gay. La nomina di un conservatore o un progressista potrebbe cambiare il futuro del paese e «Trump ha detto che sceglierà un conservatore come Scalia. Questo annuncio è stato tanto inaspettato, quanto fondamentale per noi. In secondo luogo, ha scelto come candidato alla vicepresidenza Mike Pence, che è molto stimato dalla Chiesa. Non so però se questo basterà a vincere il voto cruciale cattolico-evangelico».
Un presidente, non un santo
C’è anche chi, come Novak, ritiene che il problema esista ma non sia così drastico: «È chiaro che Trump non è esattamente il candidato da cui un cattolico vorrebbe essere rappresentato. Ma in politica si elegge un presidente, non un santo, né un vescovo, né il Papa». A proposito, il repubblicano è riuscito a litigare persino con Francesco sul muro da erigere al confine con il Messico. «Questo è un problema che interessa a voi italiani», taglia corto il filosofo. «Qui nessuno ci presta la minima attenzione e quello degli immigrati irregolari è un problema reale, molto sentito dagli americani, che vogliono far rispettare la legge. Voi europei non capite queste elezioni: la verità è che se vince Clinton rischiamo di perdere la nostra libertà, perché i democratici sono sempre più illiberali con chi non la pensa come loro». Tutti i giornali, americani ed europei, presentano Trump come un mostro e i suoi elettori come persone immorali.
Ma la verità è che gli Stati Uniti non hanno improvvisamente perso il senno e se un miliardario impresentabile, che dice in modo sguaiato tutto quello che non si può dire, rischia di diventare presidente degli Stati Uniti un motivo c’è. «Trump è molto bravo a parlare alla pancia del paese e ripete sempre lo stesso concetto agli americani: vi hanno tradito, è ora di cambiare», osserva la filosofa. «Ma se ha successo è perché dice in modo semplice una grande verità. Tutti gli americani sanno benissimo di essere stati traditi. Ma questo tradimento non è avvenuto in un giorno, è cominciato 60 anni fa». Lentamente, «abbiamo cominciato a dividere valori e vita, valori e legge, attraverso tanti piccoli compromessi. E i cattolici hanno una grande responsabilità in questo. L’educazione ha fallito, perché le università sono passate tutte in mano alla sinistra e abbiamo tirato su un’intera generazione, i cosiddetti millennials, in un vuoto valoriale e di significato. Quando penso che questo dovrebbe essere il tema principale in queste elezioni e che nessuno ne parla, mi vengono i brividi».
La profezia di Francis George
Per Nash-Marshall il vuoto di senso che alimenta l’affermazione del dogma individualista e progressista «dovrebbe essere il tema più dibattuto. Se io trovassi un candidato che dicesse: abbiamo sbagliato, abbiamo tutti bevuto un tè allucinogeno, ora torniamo alla realtà concreta. Ecco, io lo voterei subito. Ma il dramma è che non c’è. E non c’è perché non abbiamo insegnato ai politici a pensare, ma solo a ripetere frasi fatte. La colpa è nostra e dei nostri padri». Ancora una volta, c’è un solo motivo per cui la candidatura di Trump è importante: «Lui è l’espressione della pancia dell’America che, in modo confuso, grida: smettetela, torniamo indietro. Speriamo solo che il popolo non venga tradito di nuovo».
Chi voteranno allora i cattolici? Weigel assicura che «non assegnerò il mio voto né a Clinton, né a Trump ma solo a una persona degna della presidenza». Non si sa chi sia, ma aggiunge: «In ogni caso è fondamentale scegliere il partito repubblicano al Congresso». Siobhan è convinta che «alla fine i cattolici voteranno Trump. Non per merito suo, però, ma grazie a Pence, un uomo che ha la fibra morale per mettere i soldi al posto della bocca. Cioè per fare quello che dice». Per Novak, invece, «il conflitto che dimora nella coscienza di ogni cattolico si risolverà solo all’ultimo momento. Anche per questo non ci si deve fidare adesso dei sondaggi pubblicati».
Restano quindi i dubbi, anche se una certezza c’è: «Se vince Hillary Clinton», conclude l’intellettuale conservatore, «potrebbe realizzarsi la profezia fatta dall’arcivescovo di Chicago, Francis George, prima di andarsene: “Mi aspetto di morire nel mio letto, il mio successore invece morirà in prigione e il suo successore morirà martire in piazza”». C’è però anche una parte finale del ragionamento di George che spesso non viene citata: «Ma il suo successore raccoglierà le macerie di una società in rovina e lentamente aiuterà a ricostruire la civiltà, come la Chiesa ha fatto così spesso lungo la sua storia».
Foto Ansa
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