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Feroce “normalità” è celebrare chi ha la Sindrome di Down oggi per scartarlo domani

Come si fa a difendere i diritti delle persone con la Trisomia 21 e nello stesso mese promuovere il diritto di abortirle e tagliare i costi dei disabili? La manifestazione "Scegliamo la Vita" centra il punto

Caterina Giojelli
21/03/2022 - 6:23
Salute e bioetica
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Oggi è il 21 marzo, 21 come il cromosoma in più di quei bambini la cui vita è agli occhi di molti straordinaria solo il 21 marzo. Cioè quando i dibattiti sull’autodeterminazione lasciano educatamente (e momentaneamente) il passo ai battiti di mani e cuore, interviste, riflessioni, corti a tema inclusione e persone con la trisomia 21, che con intelligenza e ironia spopoleranno sul web, commuoveranno lettori e telespettatori.

Il giorno dopo la giornata della Sindrome di Down

Accade così a ogni Giornata Mondiale della Sindrome di Down: le iniziative abbondano, la copertura mediatica per difendere i diritti all’inclusione delle persone con la trisomia anche. È un bene: oggi tanti uomini e tante donne racconteranno chi sono i loro figli, fratelli, amici, genitori, oggi aziende e società racconteranno progetti importanti e necessari che noialtri applaudiremo, sentendo prezioso e prossimo il bene e il futuro di ciascuno di quei figli, fratelli, di qualunque età e provenienza, con un’anomalia cromosomica, la più frequente. Poi, il 22 marzo, torneremo alla feroce “normalità”, cioè a difendere il nostro diritto a negare loro un destino, il diritto all’aborto motivato da quella stessa anomalia, il nostro diritto di decidere che ciò che ci commuove e sentiamo figlio e fratello il 21 marzo, possiamo decidere di sopprimerlo il giorno prima o il giorno dopo, sentendolo a noi estraneo e diverso.

Celebrare i Down oggi, abortirli domani

Non c’è niente di confessionale a ribadirlo: o la vita di una persona con la sindrome di Down, di qualunque persona con una anomalia cromosomica, vale sempre, tutti i giorni dell’anno, o non vale mai. O vale per tutti o non vale per nessuno. Perché è di una vita umana che si sta parlando, non della razza di un gattino che può piacere o meno e a cui dedicare una coccolosa Giornata Mondiale una tantum. Qui a Tempi non serve un appuntamento consacrato dall’Onu per ribadire che “grazie” all’aborto selettivo motivato da anomalia fetale, il mondo si libera ogni giorno delle persone celebrate il 21 marzo. Si libera di “quel” particolare bambino proprio e solo perché ha la Sindrome di Down.

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Di più: il tema della Giornata di quest’anno è “Inclusion Means”: viene chiesto di diffondere sui social l’hashtag #Inclusionesignifica e dire la propria. È una cosa buona, ma andate a vedere nei paesi del Nord, i più egualitari e inclusivi del mondo, cosa significa e qual è il primo diritto negato alle persone con la trisomia, in altre parole quanti bambini con la Sindrome di Down nei paesi del “controllo qualità” vengono messi al mondo.

Abortire femmine in nome dei diritti delle donne

Andate a rileggere gli articoli sull’ennesima rimozione dei manifesti di Provita. In occasione dell’8 marzo, loro scrivono “Potere alle donne? Facciamole nascere” e l’assessore alle pari opportunità di Roma, Monica Lucarelli grida alla violazione del regolamento sulle affissioni, che vieta l’esposizione pubblicitaria il cui contenuto contenga «stereotipi e disparità di genere, veicoli messaggi sessisti, violenti o rappresenti la mercificazione del corpo femminile e il cui contenuto sia lesivo del rispetto delle libertà individuali e dei diritti civili e politici». Andate ora a vedere come collettivi abortisti hanno imbrattato quindi la sede di Provita e a ripassare quante femmine vengono fatte fuori dall’aborto selettivo in base al genere, cioè fatte fuori in quanto donne e nei paesi più progressivamente aggiornati proprio in nome dei diritti delle donne.

Un aiuto? Quasi cinque milioni di bambine non vedranno la luce: è l’effetto atteso dell’aborto selettivo nei prossimi dieci anni. E saranno 22 milioni entro il 2100. Non lo afferma Provita, ma il British Medical Journal. E non è nemmeno una sorpresa: un recente studio di Lancet ha certificato che in trent’anni l’aborto selettivo ha fatto sparire 22 milioni di bambine: un numero esorbitante, «una delle forme più gravi di discriminazione di genere». Ma guai a parlarne nella Giornata dei diritti della donna.

Vita nascente? No, surrogata e dolce morte

Andate a vedere come ha risposto il consiglio comunale di Milano alla proposta di istituire una giornata speciale dedicata alla vita nascente, il 25 marzo, in linea con altri paesi (sono tra l’altro sei i progetti che chiedono di dedicare il 25 marzo alla natalità in un paese in declino demografico, depositati tra Camera e Senato e in attesa di discussione) portata in aula dal consigliere Fdi Chiara Valcepina: giornata bocciata, si può votare no alla celebrazione della vita nascente, ma non si può dire nulla sulla fiera “Un sogno chiamato bebè” ospitata nella città di Beppe Sala a maggio. E che non si può nemmeno chiamare fiera dell’utero in affitto, anche se a Parigi per un «bambino geneticamente sano» gli stessi organizzatori chiedevano dai 49 mila agli oltre 100 mila euro.

Il fatto è che i numeri ci dicono che questa è probabilmente l’ultima generazione di persone con la sindrome di Down e non si può parlare della Giornata Mondiale della Sindrome di Down senza parlare di aborto, maternità surrogata e nemmeno di eutanasia (testo approvato il 10 marzo scorso alla Camera), perché è in nome dell’autodeterminazione – e non certo dell’inclusione – che ogni giorno si decide chi ha diritto ad avere un posto nel mondo, a quali condizioni e quando deve levare il disturbo. Non a caso il testo unificato sull’eutanasia altro non è che una legge 194 che, invece che al concepito, mira all’ammalato, il disabile, l’anziano non autosufficiente.

E che non prevedendo un centesimo di euro a sostegno della terapia del dolore o dell’aiuto ai pazienti, rende ipocrita l’insieme di belle parole che avvolgono la sostanza: come bene spiegava il Centro Studi Livatino, il focus della legge è che le spese per anziani e disabili sono un costo che il sistema sanitario italiano non intende più sostenere. Chi ha il coraggio di parlare di inclusione in un paese che un giorno celebra le persone con la Sindrome di Down e nello stesso mese celebra il diritto di scartarli e tagliare i costi dei disabili (diritti entrambi inesistenti), che un giorno include e il giorno dopo discrimina?

“Scegliamo la Vita” ogni giorno dell’anno

“Scegliamo la Vita”: si chiama così la manifestazione nazionale convocata da 90 tra enti e associazioni di tutta Italia il 21 maggio a Roma. E che nel marasma quotidiano centra il punto: «In mezzo a difficoltà crescenti nessuno sembra voler più scommettere sulla vita, anzi spesso il “sistema” ti spinge a rinunciarvi, come nel caso di una nuova vita inaspettata o di una vita ferita dalla malattia, da sofferenze o disabilità. Rinunciare alla vita e alle sue potenzialità sembra essere spesso l’opzione preferibile o addirittura l’unica vera possibilità. Con questa manifestazione vogliamo scuotere le coscienze da questa oscura ombra di pessimismo esistenziale, lanciando una sfida al Paese: scegliamo la Vita! In Parlamento, sui media, nell’economia, nella giustizia, nella sanità, nell’istruzione, nei servizi sociali, nel sistema fiscale e nelle scuole», ha spiegato Maria Rachele Ruiu, portavoce dell’evento insieme a Massimo Gandofini presentando la manifestazione la scorsa settimana a Roma.

«Vogliamo ribadire che quello alla vita è il primo diritto fondamentale di ogni essere umano, il cui inviolabile rispetto è la precondizione per una società libera, giusta e in pace, come afferma la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. In particolare la difesa della vita “fragile” – dal concepimento e nello svolgersi fino alla morte naturale – è il cardine della civiltà di un popolo, che conosce il suo punto più basso quando induce anziani, malati e depressi a scegliere il suicidio», ha sottolineato Gandolfini.

Non c’è momento più giusto per ricordare che a questo dovrebbe servire innanzitutto la Giornata Mondiale della Sindrome di Down, ricordarci il cardine della civiltà di un popolo. Strappare le persone e il loro bisogno dalle categorie artificiali che non frenano il passo verso l’atroce utopia di una società “Down free”, le categorie dell’individualismo radicale, della salute come senso della vita, della solidarietà e dell’inclusione come attivismo titanico. E riconoscere finalmente, nel bisogno di ogni persona inciampata in un accidente cromosomico, il nostro stesso eterno e umanissimo bisogno: che la nostra vita sia amata, incondizionatamente, dall’inizio alla fine.

Foto “Pictures of Down Syndrome” di zilverbat licenza CC BY-NC 2.0

Tags: AbortoEutanasiasindrome di down
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