Accorrete numerosi a comprare un bambino. La fiera dell’utero in affitto a Milano
La fiera dell’utero in affitto si farà anche a Milano. Nonostante l’orrore e il raccapriccio registrato a destra e a manca a settembre, quando Avvenire ne denunciò l’arrivo nel capoluogo lombardo, il salone “Un sogno chiamato bebè” si terrà 21 e 22 maggio presso lo Spazio Antologico -East End Studios di via Mecenate 84.
A Parigi bambini per tutti i gusti e le tasche
Versione italiana al miele di “Desir d’Enfant” che il 4 e 5 settembre aveva proposto ai parigini pacchetti “bambino in mano” per tutti i gusti e le tasche (ricordate? Per un «bambino geneticamente sano» si andava da 49 mila agli oltre 100 mila euro) “Un sogno chiamato bebè” si presenta come un salone della procreazione medica assistita: nessun accenno esplicito all’utero in affitto e alle otto conferenze tenute nella capitale francese su come violare la legge e comprare bambini, agli stand delle banche dei gameti che offrivano a pagamento spermatozoi e ovociti “di qualità” per permettere ai futuri genitori di selezionare la «razza» preferita del figlio, il colore dei capelli e il sesso, a quelli dei gruppi americani o delle cliniche canadesi e ucraine che promettevano di accompagnare i genitori dalla scelta della madre surrogata fino alla consegna del nascituro.
La fiera dell’utero in affitto a Milano
Tuttavia questo diabolico mercatino dei bambini travestito da fiera sulla procreazione medicalmente assistita si terrà, nonostante in Italia la surrogacy sia espressamente vietata dalla legge 40 che punisce con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro” (art. 12, comma 6) «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità». Nonostante dal Comune di Milano avessero fatto sapere che «l’Amministrazione non ha concesso alcuna autorizzazione o patrocinio o altre forme di sostegno all’iniziativa né, al momento, è nelle condizioni di intervenire per vietarlo». Nonostante le interrogazioni a suo tempo fioccate al ministro Speranza e alle petizioni al sindaco Sala inviate dai dem e dal centrodestra.
Inutile ripetere “l’avevamo detto” o commentare le escamotage semantiche utilizzate dagli organizzatori che in un florilegio di cuoricini sulle pagine social, dormienti fino a pochi giorni fa, annunciano l’arrivo della “fiera della fertilità”: «Da 5 anni organizziamo questo evento a Berlino, da 3 anni organizziamo questo evento a Colonia, da 2 anni a Parigi, lo scorso settembre a Monaco (Germania), per la prima volta saremo anche in Italia e in Olanda». Un piccolo frame di un video che mostra un neonato nudo in braccio a un uomo invita “Vi aspettiamo numerosi”.
Lettere, proteste, petizioni contro il salone
«Dietro a questa fiera, come ampiamente documentato, ci sono enormi interessi economici, grandi aziende senza scrupoli morali per le quali la vita umana non è altro che un business molto redditizio», ha dichiarato Francesco Migliarese, segretario Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli, Presidente Milano per Giovanni Paolo II, ricordando che l’aiuto concreto alle coppie infertili è un’altra cosa, «la vita umana non si manipola, non si compra e non si vende. L’avevamo già chiesto e torniamo a chiederlo: iI sindaco di Milano Sala prenda finalmente una posizione chiara e impedisca lo svolgimento di questa controversa iniziativa commerciale».
Anche la consigliera comunale dell’opposizione Deborah Giovanati (Lega Salvini Premier) ha firmato una interrogazione urgente al sindaco e all’assessore alla Parità del Comune di Milano e dalla Rete per l’inviolabilità del corpo femminile è stata indirizzata una chiarissima lettera aperta a Beppe Sala, giunta e consiglio comunale, sottolineando che nello spazio ancorché privato, si preannuncia «un reato ai sensi della legge 40/2004 che non solo vieta e sanziona la gestazione per altri realizzata in Italia, ma punisce anche la semplice propaganda» e chiedendo all’amministrazione di preallertare le Forze dell’Ordine e intraprendere «qualsivoglia altra iniziativa atta a impedire l’annunciata violazione della legge italiana, che si realizza pubblicizzando una pratica che oltre a fare mercato di creature umane “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni” (Corte Costituzionale, sentenza 272/2017)». All’appello hanno aderito decine di associazioni, gruppi e donne, da Marina Terragni a Paola Tavella, da Sylviane Agacinski a Jennifer Lahl.
Un business incensato da tribunali e giornali
In un paese svezzato da tribunali pronti a invalidare la norma, dai comizi sul palco del Pride per sdoganare la gestazione per altri, dagli articoli sulle famiglie «pazze di gioia» dei Nichi Vendola e Naomi Campbell, dalle gallery al miele sui figli dei vip nati da surrogata e dalle lacrime di coccodrillo per la bambina dal nome di fata abbandonata dai genitori-committenti in Ucraina, “Un sogno chiamato bebè” non desta stupore ma orrore: a tanto è arrivata la grande opera di mistificazione sulla produzione dei bambini e sulla genitorialità ridotta a faccenda da dirimere a colpi di legge. Al rilancio di un business fiaccato dalla pandemia (nel 2019 erano 346 le cliniche in attività in Italia – ricorda Avvenire -, 106 del pubblico, 20 privati convenzionati e ben 220 privati) che invita ad accorrere numerosi a prendersi un bambino.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!