
Eritrea. Dopo il Natale in carcere, è stato liberato monsignor Hagos

Dopo aver passato il Natale in prigionia, mercoledì è stato liberato in Eritrea monsignor Abune Fikremariam Hagos, vescovo cattolico di Saganeiti. Anche padre Mihretab Stefanos, parroco della chiesa di San Michele della diocesi di Saganeiti, arrestato come il vescovo il 15 ottobre scorso, è stato rilasciato. La terza persona fatta sparire dal regime, padre Abraham, frate cappuccino, è stato arruolato a forza nell’esercito per essere inviato a combattere nel Tigrai.
La liberazione di monsignor Hagos
Proprio come erano ignote le accuse a carico del vescovo cattolico, il primo mai arrestato dal regime di Isaias Afewerki, così non si conoscono le ragioni del suo rilascio. Secondo quanto risulta a Tempi, sarebbe stato fondamentale per la liberazione l’intervento del Vaticano e più precisamente quello dell’arcivescovo Luis Miguel Muñoz Cárdaba, nunzio apostolico presso il Sudan e l’Eritrea.
In un video diffuso da Avvenire, è possibile vedere monsignor Hagos e padre Stefanos finalmente liberi nella cattedrale della capitale Asmara, dove sono stati accolti dai preti e dalle suore della diocesi.
La persecuzione religiosa in Eritrea
La persecuzione religiosa, putroppo, non è una novità in Eritrea anche se questo caso è unico. Come spiegava a Tempi padre Mussie Zerai, sacerdote eritreo, fondatore e presidente dell’agenzia di informazione Habeshia, «ci sono stati casi in passato di sacerdoti fermati, ma c’era sempre una ragione, per quanto distorta, magari collegata al servizio militare. Se guardiamo alle altre confessioni religiose, il patriarca della Chiesa ortodossa, Abune Antonios, deceduto lo scorso 9 febbraio all’età di 94 anni, ha passato gli ultimi 16 anni di vita fino alla morte agli arresti, prima in carcere e poi domiciliari. Diversi preti ortodossi sono ancora in carcere, al pari di leader di altre confessioni religiose, che sono spariti».
È probabile che monsignor Hagos sia stato arrestato per aver denunciato la violazione della libertà religiosa dei cristiani, da parte del governo, in seguito alla chiusura delle cliniche e delle scuole cattoliche iniziata nel 2019. Il presule, inoltre, come spiegato da padre Zerai, «non ha potuto fare a meno nell’ultimo periodo di parlare dei giovani eritrei, inviati come carne da macello in una guerra (quella nella regione del Tigray, in Etiopia – ndr) che non ci riguarda. Il vescovo ha solo richiamato a lavorare per la pace, la giustizia e la dignità delle persone».
Il caso drammatico di padre Abraham
Del tutto particolare anche il caso di padre Abraham. La legge eritrea esenti i consacrati dal terribile servizio di leva che teoricamente dovrebbe durare 18 mesi, mentre per alcuni dura 20 anni o anche di più. Con questa scusa, il regime di Afewerki tiene di fatto in condizione di schiavitù centinaia di migliaia di giovani, che preferiscono rischiare la fuga dal paese e la traversata del Mediterraneo piuttosto che sottoporvisi.
Padre Abraham avrebbe dovuto godere dell’esenzione come gli altri consacrati, ma poiché prima di prendere i voti aveva prestato servizio militare è stato nuovamente arruolato a forza e inviato a combattere nel Tigrai.
«Mai un vescovo aveva passato il Natale in carcere»
Nonostante il sollievo per la liberazione di monsignor Hagos e di padre Stefanos, resta la preoccupazione per un regime che non si fa più remore a usare qualsiasi mezzo pur di mettere a tacere la Chiesa cattolica e i cristiani. «Non era mai accaduto prima che un vescovo cattolico passasse il Natale in carcere», sottolinea padre Zerai lamentando la coltre di silenzio e di indifferenza che ha avvolto il caso fin da ottobre. I cristiani possono gioire per la liberazione del vescovo, ma resta il dramma di un popolo ridotto alla schiavitù da oltre trent’anni dal dittatore Afewerki.
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