Eritrea. «Nessuno sa dove il regime ha rinchiuso monsignor Hagos»

Di Leone Grotti
18 Dicembre 2022
Sono passati due mesi dall'arresto senza precedenti del vescovo cattolico di Saganeiti. «Non ha fatto altro che difendere il popolo e dare voce alla sua gente. L'arresto non ha alcuna base legale». Intervista al sacerdote eritreo Mussie Zerai
Il vescovo di Saganeiti, Abune Fikremariam Hagos

Sono passati due mesi da quando monsignor Abune Fikremariam Hagos, vescovo cattolico di Saganeiti, è stato arrestato in Eritrea all’aeroporto della capitale Asmara «e ancora non si sa nulla: né dove si trovi né quali siano le sue condizioni». Lo dichiara a Tempi padre Mussie Zerai, sacerdote eritreo, fondatore e presidente dell’agenzia di informazione Habeshia. L’Eritrea è tristemente conosciuta per le costanti violazioni della libertà religiosa da parte del regime di Isaias Afewerki, ma il governo non si era mai spinto fino al punto di arrestare un vescovo cattolico. A inizio ottobre, la settimana precedente al fermo del prelato, erano stati arrestati altri due preti cattolici.

È vero, come si dice, che monsignor Hagos è stato rinchiuso nella famigerata prigione di Adi Abeito?
È solo un sentito dire motivato dal fatto che si tratta del carcere più conosciuto e vicino ad Asmara, ma nessuno ha potuto visitato dal giorno dell’arresto e nessuno sa dove sia davvero. Di solito, una personalità del suo calibro non viene rinchiusa con altri prigionieri, ma viene separata da tutti.

Con quali accuse è stato arrestato?
Non esistono accuse formali, il regime non ha comunicato nulla. Questo arresto non ha alcuna base legale.

Che cosa potrebbe aver spinto il regime a tanto?
Monsignor Hagos si è limitato nell’ultimo periodo a chiedere spiegazioni al regime circa la confisca delle scuole e delle cliniche cattoliche da parte del governo. Ha anche protestato per come venivano trattati i fedeli della sua diocesi: quando una persona scappa dall’Eritrea, infatti, il regime perseguita la sua famiglia, sbattendo i parenti fuori di casa o sequestrando loro il bestiame, che è l’unica fonte di sostentamento per i contadini. Il vescovo non ha fatto altro che occuparsi del suo gregge e dare voce alla sua gente, chiedendo pubblicamente spiegazioni.

Perché il governo perseguita la Chiesa cattolica?
È impossibile capire quali siano le ragioni che spingono il governo a comportarsi in questo modo. La chiusura delle cliniche e delle scuole è iniziata nel 2019, ma l’ultimo istituto è stato chiuso a settembre. Anche questa decisione è incomprensibile: i cattolici si prendono cura di tutta la popolazione, perché impedirglielo?

In base a un proclama del 1995 tutti i servizi sociali in Eritrea, inclusi scuole e ospedali, devono essere gestiti dallo Stato. La norma inoltre limita le attività di sviluppo delle istituzioni religiose.
Anche allora la Chiesa aveva protestato, ricordando che la sua predicazione va di pari passo con la carità verso il popolo. È chiaro che la Chiesa non può esimersi dal parlare di diritti e giustizia. Di conseguenza, il vescovo Hagos non ha potuto fare a meno nell’ultimo periodo di parlare dei giovani eritrei, inviati come carne da macello in una guerra (quella nella regione del Tigray, in Etiopia – ndr) che non ci riguarda. Il vescovo ha solo richiamato a lavorare per la pace, la giustizia e la dignità delle persone.

Che cosa si sa, invece, dei due sacerdoti arrestati la settimana prima del vescovo?
Di padre Mihretab Stefanos, parroco della chiesa di San Michele della diocesi di Saganeiti, non si sa niente purtroppo. Padre Abraham, frate cappuccino, dovrebbe invece essere stato arrestato per problemi legati al servizio militare. Lui, in quanto religioso e sacerdote, è esente dall’obbligo. Potrebbero averlo preso, però, per fare pressioni sul fratello, che non ha risposto alla chiamata di leva. Ma questo comportamento è insensato da parte del governo: se un maggiorenne decide di compiere un’azione, perché dovrebbero essere responsabili i suoi familiari? Il governo dovrebbe piuttosto chiedersi perché tanti giovani scappano dal servizio militare.

Qual è la ragione?
Tutti sanno quando inizia il servizio militare, ma nessuno sa quando finisce. Legalmente dovrebbe durare 18 mesi, ma per alcuni dura 20 anni, per altri ancora di più. Dopo l’addestramento si trasforma in servizio nazionale e cosa vuol dire? Che il regime ti assegna un lavoro – agricoltore, muratore, guardia – ma ti paga come un soldato di leva, l’equivalente di 30 o 40 dollari al mese, uno stipendio da fame che non basta a mantenere la propria famiglia. Al di là delle ingiustizie che subiscono, dei diritti personali che non esistono, è per questo che molti giovani non vogliono fare il servizio militare. Purtroppo in Eritrea ciascuna persona è solo un ingranaggio di una grande macchina: l’individuo non conta nulla.

Il Vaticano sta trattando con il governo per ottenere il rilascio del vescovo e dei due sacerdoti?
Penso che la Santa Sede stia facendo del suo meglio per dialogare con il regime, ma non ho elementi per dire se qualcosa è stato fatto. Spero di sì: il Vaticano deve pretendere il rilascio degli arrestati e più libertà di azione per la Chiesa in Eritrea.

Il regime eritreo ha già arrestato importanti esponenti di diverse confessioni religiose. In base alle esperienze passate ci sono speranze di ottenere un rilascio di monsignor Hagos e dei due sacerdoti?
Questo caso è unico, perché mai un vescovo cattolico era stato arrestato. Ci sono stati casi di sacerdoti fermati, ma c’era sempre una ragione, per quanto distorta, magari collegata al servizio militare. Se guardiamo alle altre confessioni religiose, il patriarca della Chiesa ortodossa, Abune Antonios, deceduto lo scorso 9 febbraio all’età di 94 anni, ha passato gli ultimi 16 anni di vita fino alla morte agli arresti, prima in carcere e poi domiciliari. Diversi preti ortodossi sono ancora in carcere, al pari di leader di altre confessioni religiose, che sono spariti.

Il governo italiano dovrebbe fare di più per facilitare il rilascio di monsignor Hagos?
Non solo il governo. Il mondo cattolico è rimasto in silenzio davanti all’arresto e alle sofferenze della Chiesa in Eritrea e questo mi lascia molto perplesso. Questo silenzio non aiuta. L’Italia poi, vista la sua responsabilità storica, morale e politica verso il mio paese dovrebbe fare molto di più per il popolo eritreo. Purtroppo, non è così.

@LeoneGrotti

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