Dopo i magistrati, i giornali. Quand’è che Mieli scriverà “Il Sistema 2”?
C’è fermento sulla giustizia in Italia.
Non solo il caso Palamara, di cui vi abbiamo parlato in lungo e in largo, e di cui la magistratura ha sperato invano di liberarsi espellendone frettolosamente il protagonista dalla corporazione. E però ottenendo l’effetto contrario (che avranno avuto da insabbiare?, si domanda l’italiano medio).
Non solo l’uscita del libro Il Sistema – anche di questo vi abbiamo parlato in lungo e in largo – con cui il medesimo Palamara e il direttore del Giornale Alessandro Sallusti hanno spellato viva la casta in toga, spiattelandone gli intrighi, le trame, soprattutto l’incredibile strapotere. Tutti scandali che flagellano l’Italia da quasi trent’anni e di cui solo i fessi non si sono mai voluti accorgere. Non a caso il libro è primo da settimane nelle classifiche dei best seller di Feltrinelli e anche di Amazon.
Non solo le stesse toghe parlano ormai sempre più apertamente di discredito della categoria. Lo hanno fatto con Tempi, da dentro il Csm, Loredana Miccichè e Paola Braggion. E lunedì 22 febbraio lo hanno fatto altri 67 magistrati chiedendo direttamente a Sergio Mattarella «di intervenire per rimediare alle gravi distorsioni dell’autogoverno della magistratura, disvelate dallo scandalo meglio noto come Magistropoli».
Nella lettera (i cui sottoscrittori aumentano di giorno in giorno) i giudici ricordano che “Il Sistema” è stato tutt’altro che disarticolato con la cacciata di Palamara, anzi è vivo e comanda ancora al Csm, dunque nelle procure; che è intollerabile l’autoassoluzione di tanti magistrati che facevano parte del suddetto “Sistema”, e che dunque ne fanno parte tuttora; che non c’è nulla di più urgente che prendere sul serio le rivelazioni di Palamara e riformare la magistratura a partire dal suo Consiglio superiore.
Certo, è un po’ ingenuo illudersi che il capo dello Stato intenda davvero «intervenire» (“moniti” a parte) in questo vespaio. Ed è parecchio discutibile che la soluzione ideale sia, come dicono i 67, «l’inserimento del sorteggio nella procedura di selezione dei componenti del Csm e la rotazione degli incarichi direttivi e semi-direttivi a elezione». Con i pm che ci ritroviamo, ci sarebbe da avere paura. Comunque ben venga la lettera dei magistrati, quasi tutti outsider delle correnti o attivisti della neonata corrente ribelle Articolo Centouno, se non altro perché “tiene caldo” il tema della grave mancanza di credibilità di Csm e Anm. Dove tra l’altro – precisazione non peregrina – la sinistra della giustizia creativa (e manettara) ha trovato il modo di restare in sella malgrado gli orientamenti dell’elettorato. Sì, anche qui.
Non solo Mario Draghi che giovedì 18 febbraio nel suo discorso alla Camera ha parlato espressamente della necessità di riformare «la giustizia civile e penale» tra gli applausi del centrodestra.
Non solo tutto questo. Adesso, proprio a proposito delle dichiarazioni di Draghi, bisogna prendere nota di una serie di notevoli affermazioni regalate da un certo Paolo Mieli ai microfoni di Radio 24. Ha detto Mieli:
«Non faccio previsioni e non ho notizie inedite da svelare. Mi limito a osservare l’insegnamento della storia recente del paese. Negli ultimi trent’anni non c’è stato governo, soprattutto se aveva una immagine forte, che non abbia avuto problemi con il sistema della giustizia».
Tradotto: attento Draghi, in Italia chi tocca la giustizia muore. Sembra di sentire Palamara. Invece è Mieli. Ancora lui:
«Guardo cosa bolle in pentola, e vedo che un giornale come il Fatto quotidiano è schierato dalla parte degli scissionisti [del M5s], dice tra le righe che Grillo si è rimbecillito e che quelli che hanno votato a favore del governo si sono accomodati. Sarebbe una forma di libera espressione giornalistica se non sapessimo che il Fatto è un giornale molto caro alla magistratura più militante. Aspettiamo e vediamo…».
Adesso è importante non perdere di vista il punto. Come spiegano Palamara e Sallusti, e adesso anche Mieli, il punto è che c’è in Italia un potere fuori controllo che si organizza in modo opaco (eufemismo) e ideologico (altro eufemismo) e che è talmente potente e fuori controllo da riuscire maciullare chiunque si metta in testa di riformarlo. E come funziona “il Sistema”? Ha riassunto Sallusti in una intervista a Chi:
«Il primo elemento necessario è un buon magistrato messo a capo di una importante procura della Repubblica, come Milano, Roma, Napoli, Bari o Palermo. A quello pensava Palamara, ma per mettere un buon magistrato a capo di una procura importante devi avere un collegamento con la politica, perché queste scelte il Csm le compie insieme con dei signori che si chiamano “membri laici del Csm”, che sono nominati dai partiti.
Quindi innanzitutto è importante avere un buon rapporto con la politica. Poi il procuratore nominato deve essere capace di circondarsi di bravi sostituti e soprattutto di investigatori capaci, perché i magistrati non fanno personalmente le indagini, hanno finanzieri, carabinieri o poliziotti, meglio se provenienti o comunque in buoni rapporti con i servizi segreti, che li aiutano.
Poi serve un terzo elemento: almeno un paio di giornalisti di giornali importanti con cui creare un rapporto di reciproco scambio. Se si crea una situazione del genere, quel gruppo, quella procura hanno più potere del Parlamento, del premier e del governo intero. E riescono a condizionare la vita politica del paese come dimostrano i casi Berlusconi, ma anche Renzi e recentemente Salvini».
Proprio così, “il Sistema” ha più potere del governo. Dopo Palamara, lo dice anche Mieli sempre a Radio 24:
«Di fatto ogni tipo di governo ha avuto problemi con magistrati più o meno combattivi. Non c’è stato neppure bisogno di prendere di mira il presidente del Consiglio. Nel 2008 il meccanismo che portò alla caduta di Prodi fu innescato dall’inchiesta contro Clemente Mastella, ministro della Giustizia, e sua moglie».
E dopo Palamara, anche Mieli spiega come funziona “il Sistema” quando qualcuno osa sfidarne il potere, toccarne i privilegi o contraddirne la volontà politica (sottolineiamo politica):
«Prima il potere giudiziario risponde in modo risentito attraverso i suoi organi ufficiali. Poi qualche pm di qualche parte d’Italia parte con un’inchiesta. Non c’è un’organizzazione, non ci sono ordini dall’alto, ci sono però degli automatismi. Quel pm parte perché sa di trovare intorno a sé il consenso della categoria. Come poi vada a finire l’inchiesta, magari dieci anni dopo, è del tutto irrilevante».
Come sanno i nostri lettori, questo giornale non si stancherà mai di ribadire quanto sia essenziale, per far ripartire l’Italia, spezzare la regola del tre illustrata da Sallusti e Palamara. Di certo ne è perfettamente conscio anche il governo Draghi. E infatti, osserva Mieli:
«La ribellione di un nutrito gruppo di 5 Stelle e l’appoggio evidente del Fatto quotidiano sono campane che mandano un suono distinto e che si sente bene. Chi vivrà vedrà. Di sicuro, dalle parti della magistratura militante sta ribollendo qualcosa».
Benissimo. Il «suono distinto» avvertito da Mieli è quello del circo mediatico-giudiziario. È chiamato così, come sa perfettamente l’autorevole firma del Corriere della Sera, perché le due cose suonano insieme, stampa e magistratura. Se la grancassa della stampa non accompagna, il piffero della magistratura perde il ritmo e il Sistema s’incanta da sé. E solo i gonzi credono davvero che i giornali “si limitano a riportare le notizie”. Anche loro, nel circo mediatico-giudiziario, seguono uno spartito ben noto e concordato.
È così fin dall’epoca di Mani pulite, come ha ammesso proprio Mieli in una famosa conversazione con Luigi Amicone, e come ha raccontato in diverse occasioni Piero Sansonetti, già vice di Walter Veltroni all’Unità, facendo nomi e cognomi (compreso quelli di Paolo Mieli). I giornali sono un pezzo fondamentale del Sistema, non c’è solo il Fatto quotidiano, e Mieli lo sa molto meglio di tutti. Glielo hanno rinfacciato in tanti, dopo le sue parole a Radio 24. Glielo ha ricordato per esempio domenica scorsa Marco Travaglio, che del Fatto è direttore, fondatore e anima:
«L’idea che il sottoscritto sia il capo dei pm militanti (più o meno) è affascinante. Ma purtroppo il primo premier della Seconda Repubblica nei guai con la giustizia fu [Berlusconi] col famoso invito a comparire per corruzione (23.11.1994). E la notizia non fu anticipata né dal Fatto (ancora in grembo a Giove) né dal sottoscritto, ma dal Corriere, diretto indovinate da chi? Da Mieli, of course».
Come detto, il Sistema o un pezzo importante del Sistema è anche chiamato, a ragione, circo mediatico-giudiziario. Ecco, il capitolo “giudiziario” del Sistema è stato scritto, e dell’accoglienza che ha avuto abbiamo detto. (Abbiamo anche detto che purtroppo a vuotare il sacco, chissà perché, è sempre un “ex” che non è più in grado di nuocere, ma questa è un’altra storia). Adesso insomma manca il capitolo “mediatico”. E Mieli dovrebbe affrettarsi a scriverlo. Possibilmente prima di diventare un innocuo ex giornalista, grazie.
Sempre lui a Radio 24:
«Che un libro come quello di Palamara e Sallusti sia in cima alle classifiche è un fatto eclatante, era dai tempi della Casta di Rizzo e Stella che non accadeva un fatto editoriale simile, e la dice lunga sul modo in cui il paese guarda alla giustizia. Eppure i nodi non vengono affrontati».
Ecco, è ora di affrontare questi nodi, ognuno per quel che gli compete. Aspettiamo dunque con trepidazione Il Sistema 2 – Potere politica affari: storia segreta del giornalismo italiano, autore Paolo Mieli. Di sicuro scalerebbe tutte le classifiche.
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