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L’inciucio tra i giornali non è una vecchia storia dei tempi di Mani Pulite. C’è anche oggi

Il Fatto riporta uno stralcio del nuovo libro di Piero Sansonetti in cui si spiega come nel 1993 i grandi quotidiani concordassero le uscite per delegittimare i politici. E ora non è molto diverso

Correttore di Bozze
23/01/2013 - 16:53
Interni
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Il Fatto quotidiano la ammorbidisce sotto un titolo quasi generico: “1993, l’inciucio tra i giornali”. Forse sarebbe stato più calzante un “La macchina del fango di Tangentopoli raccontata da uno dei suoi protagonisti”, o eventualmente un accenno al “mezzo golpe mediatico-giudiziario del ’93”. Comunque la sostanza c’è tutta, nell’edizione odierna del giornale diretto da Antonio Padellaro. Ed è tutta ciccia estratta dalle pagine di La sinistra è di destra (Rizzoli), il nuovo libro di Piero Sansonetti, giornalista di sinistra, già direttore di Liberazione, all’epoca dei fatti (1992-1994) vice di Walter Veltroni all’Unità.

Nel brano proposto dal Fatto, Sansonetti spiattella con tanto di nomi, cognomi e testate tutta la verità sulla gioiosa macchina editoriale che contribuì ad abbattere la Prima Repubblica a colpi di titoloni e indiscrezioni giudiziarie. All’epoca, racconta l’ex vicedirettore del quotidiano del Pci, «l’alleanza tra la Stampa, Repubblica, il Corriere della Sera e l’Unità (ai quali si associarono, con un ruolo del tutto ancillare, altre testate, come il Messaggero e, alla fine, anche il Giornale di Montanelli) non era una cosa generica. Era molto concreta: il pomeriggio, verso le sette – sempre! – partiva un giro di telefonate tra i direttori, o i vice, o i capiredattori. Si discuteva su come aprire i giornali, quali notizie mettere in prima pagina, che taglio dare ai commenti e tutto il resto». A guidare l’allegra brigata manettara era, continua Sansonetti, «l’asse di ferro tra Walter Veltroni e Paolo Mieli, allora direttore della Stampa. Diciamo che comandavano loro, e se c’erano dissidi alla fine decidevano loro».

Uno strano plotone di esecuzione mediatica che oggi qualche magistrato fantasioso potrebbe ribattezzare P1, o comunque P qualcosa. E che secondo Sansonetti contava «oggettivamente molto. I partiti erano completamente delegittimati. I giornali assunsero una funzione di supplenza. Non solo erano loro a decidere le carriere politiche, a imporre le dimissioni degli indiziati e via dicendo. Ma avevano diritto di veto anche sulle leggi». E qui, a titolo di esempio, il cronista ricorda il caso del decreto Conso, «varato per depenalizzare il reato di finanziamento illecito ai partiti. Poteva avere effetti clamorosi su Tangentopoli, perché “avrebbe ridotto di molto le aree della punibilità”. Sarebbero rimasti sul tappeto solo i casi di corruzione personale». Ebbene, la mattina del decreto Conso, rivela Sansonetti, «telefonò all’Unità Cesare Salvi, importante deputato del Pds e responsabile giustizia del partito. Salvi propose di scrivere un articolo nel quale appoggiava il decreto Conso. Gli dicemmo di sì». Poi, però, «alle sette del pomeriggio, quel giorno, toccò a me fare il solito giro delle telefonate. Parlai con Mieli, con Mauro, con Polito, e tutti raccontarono del diluvio di fax di protesta che stava inondando tutte le redazioni. Mieli non aveva dubbi: bisognava stroncare il decreto. Era inevitabile. Walter Veltroni non era al giornale. Lo chiamai e gli dissi delle telefonate. Dovevamo cambiare linea, l’articolo di Salvi non andava bene. Lui fu d’accordo e m’incaricò di chiamare Salvi. Lo feci. Anche Salvi fu d’accordo, accettò di cambiare il suo articolo e di farlo diventare una critica feroce al decreto. Il titolo di tutti i giornali fu: ‘Cercano il colpo di spugna!’. Voi non ci crederete, ma era proprio così: concordavamo anche i titoli».

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Ps. Ora, prima di archiviare questa storia edificante nella sezione “Correva l’anno”, sarebbe meglio provare a verificare se davvero della famigerata alleanza tra i giornaloni italiani resti ormai solo questa foto quasi ingiallita sfoderata da Sansonetti, o se piuttosto non sia diventata pura routine, legge non scritta, tradizione italiana. Da ripescare, in questo senso, la curiosa intercettazione  scodellata sempre dal Fatto quotidiano il 5 novembre scorso. L’indagine è quella su Finmeccanica e gli intercettati sono il presidente Giuseppe Orsi e il banchiere Ettore Gotti Tedeschi, è una sera di maggio 2012 e i due sono a cena insieme, parlano della notizia di sei Maserati che secondo il Corriere della Sera sarebbero arrivate allo stesso Orsi in cambio di un elicottero e appalti. Ma a ben vedere tutto ciò è solo incidentale, quel che conta è lo scambio di battute riprodotto qui sotto.

Orsi È uscito l’articolo sul Corriere (…) un articolo cattivissimo!
Gotti Tedeschi. E di chi era?
O. Di Rizzo.
GT. Ah! Sì, me l’ha segnalato Fenu (…), l’importante che tu esci da questa vicenda benissimo.
O. Io sto uscendo abbastanza bene.
GT. No, molto te lo dico (…) ho parlo con tutti ecco, e poi soprattutto, De Bortoli, sappilo! Ha dato… l’ordine, di tutelarti! L’hai notato eh? (…)
O. De Bortoli io mi sono incazzato veramente, l’ho detto a Rizzo: guarda adesso io non chiamo De Bortoli però poi glielo dice, perché, due pagine, quattro colonne in prima pagina, due pagine interne su una telefonata alle dieci di sera! Senza che facciate la verifica! Beh, dico, non si fa neanche ai peggiori nemici, ma che cazzo t’è venuto in mente? Lui m’ha detto: guardi, è molto semplice, alle dieci di sera qualcuno ha fatto uscire quell’informazione lì (…), che lei è indagato, che c’ha la Maserati eccetera, noi abbiamo chiamato Repubblica, Repubblica ha detto: lo pubblico; e noi abbiamo dovuto pubblicare… Se no prendevamo un buco di qualche migliaio di copie.

@Correttoredibox

Tags: antonio politoezio maurofinmeccanicapaolo mielipiero sansonettiwalter veltroni
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