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Crosetto: «Il voto andrà bene per il centrodestra. È il motivo che mi preoccupa»

L’uomo più ascoltato da Giorgia Meloni ci spiega le ragioni dell’ascesa di Fratelli d’Italia e il flop di Conte. «Il peggio per l’economia deve ancora arrivare»

Pietro Piccinini
16/07/2020 - 13:15
Magazine
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Guido Crosetto e Giorgia Meloni

Articolo tratto dal numero di luglio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

«Ricordo che nel 1992, quando il governo Amato decise di prelevare da tutti i conti correnti degli italiani una cifra, lo fecero in una notte. Con le tecniche e l’informatica del 1992. Sono passati 28 anni, la tecnica qualche passo l’ha fatto, e noi accettiamo che l’Inps, a giugno, possa non avere ancora liquidato la cassa integrazione di marzo a dei poveracci che hanno perso il lavoro e non hanno i soldi neanche per mangiare!». Il gigante gentile della politica italiana sa essere duro quando serve, come dimostrano queste poche battute pronunciate su Rai 3 il 22 giugno. Da un anno Guido Crosetto non siede più in Parlamento, ma dicono che ci sia lui dietro molte scelte di Fratelli d’Italia (di cui resta il coordinatore nazionale), non a caso è definito il Gianni Letta di Giorgia Meloni. Chi meglio di lui può spiegare il segreto dell’inedita sintonia di Fdi con gli elettori registrata da tutti gli osservatori?

Lei nel 2012 ha fondato, con Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia. All’epoca i sondaggisti vi “condannavano” a restare inchiodati tra il 2 e il 3 per cento dei consensi.

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Veramente ci davano tra l’1 e il 2.

Ecco. Oggi siete sopra il 14 per cento, sempre secondo i sondaggi. Meglio di An al culmine dello splendore. Repubblica le ha fatto dire che per lei «il vero obiettivo è il 20». Insomma, i tempi sono cambiati.

Non è cambiato nulla in realtà: fin dall’inizio noi avevamo la presunzione di costruire qualcosa di grande. Un contenitore per il centrodestra italiano, dopo che Berlusconi aveva sostanzialmente fatto capire che il Pdl sarebbe morto con lui.

Nelle vostre intenzioni magari no, ma nell’elettorato qualcosa deve pur essere cambiato. Lo dicono i numeri.

Si è radicata l’idea che Fdi sia un partito serio. Merito della coerenza, del lavoro e della serietà soprattutto di Giorgia Meloni che ne è la fautrice.

Previsioni per le amministrative di settembre?

È presto per farne, ma credo che il centrodestra andrà bene alle urne perché nel frattempo la situazione economica peggiorerà. Motivazione che non mi rende felice, anzi mi preoccupa terribilmente.

In effetti lo ha detto più volte: il peggio deve ancora arrivare. Si riferisce a quando le aziende potranno tornare a licenziare?

Mi riferisco a quando tante aziende capiranno di non riuscire a ripartire. Allora moltissimi lavoratori si accorgeranno che lo stipendio ridotto da 1.500 a 900 euro al mese per la cassa integrazione non è una situazione momentanea, ma destinata a durare. E si scontreranno con quelli che considerano privilegiati, gli statali che continueranno a mantenere il salario inalterato e a riceverlo il 27 di ogni mese pur lavorando magari in smart working.

Lei non nasconde che questo governo è un disastro…

No, guardi, non uso mai parole così nette perché so che qualunque esecutivo in una situazione del genere si troverebbe in grave difficoltà. Al governo Conte io contesto principalmente due cose. La prima è la mancanza di velocità con cui ha affrontato e sta affrontando la situazione sociale di povertà cresente: penso ad esempio alla Cig che per mesi non è stata erogata. La seconda è la mancanza di una scelta. Un governo non può attendere che siano gli eventi a determinare la strada da seguire.

Pensa alla scuola?

La scuola è un altro esempio emblematico, ma lo sono anche gli interventi economici. Non si può non avere un’idea di come salvare la ricchezza del paese. Bisogna soccorrere subito le aziende che possono continuare a produrre il Pil nei prossimi anni, cioè le aziende esportatrici. La metto giù dura: tra un’azienda che ha tecnologie e know how particolari e un’attività di ristorazione, va salvata innanzitutto la prima, se sono costretto a scegliere, perché la seconda si può riaprire. La prima, una volta persa, non la riapri più.

Ma in una fase del genere è giusto lavorare contro il governo, negandosi al confronto?

L’opposizione non ha lavorato contro, a mio avviso, ma si è rifiutata di recitare una parte decisa da altri in uno show chiamato “confronto”. Un premier che dice “ci troviamo tra un mese e vi faccio vedere cosa ho fatto” non è confronto.

È il momento che il governo cada?

I governi cadono quando ce ne sono altri pronti a sostituirli. Non ne vedo adesso. Si potrebbe solo andare a elezioni.

Meglio andare avanti così o andare a votare?

Direi meglio votare, perché la democrazia è voto. Ma lo dico con molta titubanza: una campagna elettorale di un mese e mezzo e un governo delegittimato in questo momento mi farebbero molta paura e io metto l’Italia prima di tutto.

Domani il governo passa al centrodestra. Le prime tre cose che dovrebbe fare?

La prima, banale: unificare 2019 e 2020 in un solo anno fiscale, per evitare che le aziende paghino su utili del 2019 quelle che saranno le perdite drammatiche del 2020. Mi chiedo perché non sia stato ancora fatto. E i soldi previsti da Roma e dall’Europa, a debito o contributi che siano, non vanno promessi, vanno buttati subito, anzi ieri, nell’economia. Vanno sbloccati gli oltre 120 miliardi di euro di investimenti già a bilancio dello Stato ma fermi per qualche cavillo, disarmando per un anno tutta la burocrazia. Vanno aboliti i contratti a termine voluti dai cinquestelle che presto saranno posti di lavoro persi. Almeno si proroghino di un anno, se i cinquestelle si rifiutano di liberarci dalla legge. Bisogna occuparsi dei cassaintegrati perché possano mettere in tavola il pane. Idem per gli stagionali, rimasti senza Cig per un problema burocratico… Mi fermo altrimenti finisco domani mattina.

È vero che è lei l’ispiratore del “no” agli Stati generali partito da Fdi e poi fatto proprio da tutto il centrodestra?

In realtà è un’idea della Meloni. Quando me l’ha anticipata ho solo detto che la condividevo totalmente. Ridurre l’opposizione parlamentare a uno dei tanti attori che potevano accomodarsi sulla stessa sedia su cui si erano seduti economisti, imprenditori o una cantante famosa, significa aver smarrito il senso del valore delle istituzioni e dello Stato. Non perché la Meloni sia più importante di Carlo Bonomi o di Elisa, ma perché la Meloni, al pari di Salvini, Berlusconi, Di Maio e dello stesso presidente del Consiglio, rappresenta qualcosa che va al di là della sua persona e che ha un ruolo costituzionale.

È vero che Fdi, come scrive qualcuno (Dagospia), vuole trasformare il centrodestra in senso liberale «depurandolo dal populismo del Carroccio»?

Non saprei: non mi piace il termine “populismo” e non mi piace il modo con cui noi si classifica la politica oggi. So che Fdi ha le idee chiare: il presidenzialismo, per dirne una che un po’ cambierebbe l’Italia. Un’altra è la flat tax, ma applicata in modo incrementale per valutarne l’impatto sulle casse dello Stato e sulla capacità di fare emergere il nero. Fondamentale, per fare un esempio, anche la battaglia per le scuole paritarie: svolgono un compito insostituibile e spesso sono un benchmark con cui la scuola statale dovrebbe confrontarsi per migliorare. Diciamo così: i nostri sono gli antichi valori della destra dentro una visione moderna della società. Liberale, sì, ma sempre con l’uomo davanti al profitto.

Aspirate a diventare la nuova casa dei moderati?

Anche il termine “moderati” è troppo nebuloso. Fratelli d’Italia è la casa di quelli che ritengono importante difendere la libertà di impresa e insieme difendere uno Stato forte. Vogliamo persone forti, famiglie forti, imprese forti in uno Stato forte.

L’ideale dello Stato forte non rischia di alienarvi il Nord, già in parte deluso dalla svolta “nazionale” della Lega?

Ma lo Stato forte non è uno Stato che rompe le palle, detta come va detta. Non è uno Stato che ha tre volte i dipendenti pubblici che servono, o che consente loro di stare a casa in presunto smart working a non fare niente, magari premiandoli a scapito di chi si prende le responsabilità. In emergenza lo Stato forte aiuta le imprese a non fallire, anche rendendo pubbliche le loro sventure private. In questo momento noi tutti abbiamo necessità di uno Stato che ci aiuti a filtrare i drammi di fronte ai quali la vita ci pone. Sa che negli Stati Uniti chi viene curato per Covid in ospedale può vedersi recapitare un conto da oltre un milione di euro? In Italia invece decine di migliaia di persone sono state curate gratis. Questo intendo per Stato forte.

Però i vostri alleati preferirebbero parlare di Regioni forti, come dimostrano le polemiche di fine giugno tra il governatore Luca Zaia e la Meloni sui candidati in Veneto. Qual è il punto di equilibrio tra Stato forte e autonomie?

Una forte autonomia regionale in uno Stato presidenzialista.

Lei all’epoca, già prima di lasciare il Pdl, fu uno dei pochi a dare regolarmente del filo da torcere al governo Monti in Parlamento. Votò anche contro il Mes che “salvò” la Grecia nel modo che sappiamo e che oggi è proposto ai paesi più flagellati da Covid e lockdown. Che cosa pensa del Recovery Fund e delle altre misure messe in campo da Bruxelles?

Beh, a oggi il Recovery Fund non c’è. Per ora è come parlare di Biancaneve. Quando sapremo, ne parleremo. Il Sure e i finanziamenti della Bei devono essere attivati da garanzie italiane. Quanto al Mes, non capisco perché il governo non l’abbia ancora chiesto, visto tutti sanno che alla fine lo chiederanno, perché altrimenti l’Europa non concederà altro.

Per i grillini c’è un problema di faccia da salvare.

Ma la stessa faccia è stata già persa in molte altre occasioni. Mi sembra chiaro ormai che il tema è solo evitare il voto: per troppi significherebbe lasciare un posto nel quale non tornerebbero più.

Ma cosa pensa dell’atteggiamento dell’Unione Europea?

Guardi, con la stessa sincerità con cui spesso ho criticato l’Europa della Merkel, devo ammettere di essere colpito da quello che è un cambiamento di atteggiamento in Germania. Non da parte del popolo, per carità: nell’opinione pubblica tedesca siamo ancora parassiti. Parlo della classe dirigente: è come se in un’improvvisa illuminazione avesse capito che la Germania, nello scontro con gli Stati Uniti e la Cina, può salvarsi e prosperare solo nell’Europa e con l’Europa. Questa è la mia impressione. A contare comunque saranno i fatti.

Quali fatti? Il Recovery Fund?

Il Recovery Fund, certo. Poi il rapporto con la Bce. Il punto è se nei prossimi mesi l’Unione Europea accetterà di farci da scudo nei confronti delle agenzie di rating. Perché di qui a qualche mese, dopo che il sottostante, cioè l’economia italiana, sarà diminuito del 15 per cento, basterà un battito d’ali di farfalla per ridurre i titoli del nostro debito pubblico a spazzatura.

E come andrebbero spesi i soldi delle misure antiemergenza per rassicurare Germania, Olanda e altri paesi recalcitranti?

La risposta a questa domanda va data non perché la chiede l’Europa, ma perché ne ha necessità l’Italia. I soldi vanno spesi nella costruzione di un paese più efficiente e più competitivo. Se negli ultimi anni abbiamo perso il 25-30 per cento di ricchezza è colpa del peso che ci portiamo dietro: uno Stato che non aiuta la volontà imprenditoriale, anzi la distrugge. Parlo di tassazione, burocrazia, giustizia. Quest’ultima più di tutto il resto.

A proposito, lei è stato uno dei più duri riguardo alle chat in cui alcuni magistrati, anche di altissimo profilo, si passavano la voce per boicottare le decisioni politiche di Salvini, all’epoca ministro dell’Interno. Soddisfatto della cacciata di Luca Palamara dall’Anm? Problema risolto?

Non sono per niente soddisfatto, così come non sono stupito dalle chat. Stupisce se mai che siano emerse. Continuo a considerare i trojan e la pubblicazione di intercettazioni private sui giornali una cosa schifosa, che fa del nostro un paese incivile, ma il caso Palamara dà il quadro della giustizia italiana forse più del contenuto stesso delle intercettazioni. Il fatto che le procure utilizzino strumenti di tale invasività solo per dare notizie non penalmente rilevanti a giornali amici, in un paese civile porterebbe alla cacciata di metà dei magistrati e alla chiusura di quei giornali. Da noi quei giornali invece nominano i presidenti dell’Eni. Decidono le carriere delle toghe. Soprattutto decidono quali politici, imprenditori, servitori dello Stato devono essere rovinati. Ti ricoprono di fango per tre giorni e sei finito per sempre. Lo dico sapendo che qualcuno infastidito dalle mie parole domani potrebbe riservarmi lo stesso trattamento, inventando di sana pianta qualunque accusa. Ciò detto, il caso Palamara scompare se confrontato con ciò che è emerso sulla condanna di Berlusconi. Ora abbiamo la prova che la magistratura ha svolto un ruolo politico utilizzando strumenti costruiti per la giustizia come mezzi per colpire avversari.

Diceva che la giustizia è un problema anche per l’economia. Perché?

In nessun altro paese al mondo un magistrato si sveglia un mattino e chiude l’altoforno dell’Ilva. O arresta Giuseppe Orsi e dopo sei anni questo viene scagionato senza che nessuno gli chieda scusa, e nel frattempo ci siamo quasi giocati Finmeccanica. Solo in Italia si tengono in galera per mesi persone mai processate, quindi innocenti.

Come andrebbe riformata la giustizia?

Innanzitutto rendendo i magistrati responsabili dei propri atti come lo sono gli idraulici, i chirurghi, i camionisti, gli avvocati, i politici. E gli errori devono pesare nella crescita professionale e di stipendio. Se un pm manda in galera 100 persone di cui alla fine 97 risultano innocenti, beh, non può essere messo in condizione di rifare la stessa cosa il mese successivo.

Si candiderà a sindaco di Torino l’anno prossimo, come qualcuno auspica?

Ma no, se avessi avuto il problema di rientrare in politica avrei accettato la proposta di correre per la presidenza del Piemonte. E poi sono di Cuneo.

Vuole spiegare questo suo tira e molla con la politica? Già nel 2014 l’aveva abbandonata, poi è tornato nel 2018, poi si è dimesso di nuovo…

È tutto lineare. Nel 2018 sono tornato solo perché la Meloni mi ha chiesto una mano per le elezioni. Ma l’ho detto subito dal palco del congresso: se vincerò, mi dimetterò. Un mese dopo ho fatto quel che avevo promesso, solo che alla Camera ci hanno messo un anno ad accettare la mia rinuncia: c’è stato il tempo di accorgersi di me, per questo ho fatto scalpore. Ciò detto, la fiamma della passione politica brucia in me immutata. È una sofferenza starne fuori, soprattutto in periodi difficili come questo.

Colpa di misteriosi “motivi personali” che non ha mai rivelato.

Avevo preso impegni familiari che non potevo rinviare. Potevo fare entrambe le cose? Certo che potevo, ma non è il mio stile impegnarmi a metà.

Foto Ansa

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