Capire (davvero) la crisi/1. Perché il sistema euro ci condanna ad avvitarci nel debito

Di Giovanni Passali
26 Settembre 2015
Ben vengano riforme, spending review, lotta agli sprechi della politica e alla corruzione. Ma è una menzogna che serviranno a farci uscire da questa crisi spaventosa

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Caro direttore, come già accennato in un articolo precedente, per comprendere meglio la crisi attuale non è sufficiente una fotografia dettagliata del presente (tra l’altro in continuo cambiamento) ma invece è essenziale cogliere lo svolgimento di questa crisi, rivedere il film di questa storia. Però prima di partire in questa lettura, occorre prendere atto di alcune certezze, di alcuni punti fermi. Vediamo quelli che io ritengo i tre principali, poiché su questi è particolarmente evidente una campagna mediatica contraria, tesa a impedire la comprensione delle reali cause della crisi.

Primo punto: il debito privato ha causato la crisi
Il primo di questi, contrastato con veemenza da alcuni miei commentatori, è il fatto che la crisi è dovuta ad un eccesso di indebitamento privato. Questa è una semplice verità lampante, affermata ormai da economisti di tutte le tendenze e resa limpida dalla schiacciante sobrietà dei numeri. In alcuni stati, negli otto anni prima del 2007, mentre il debito pubblico calava a doppia cifra, il debito privato aumentava a doppia cifra. Lo ha riconosciuto pure il vicepresidente della Bce Vitor Constancio nel 2013 in un intervento a una conferenza presso la Bank of Greece.

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Lo ha riconosciuto pure il celebre economista Francesco Giavazzi in un articolo recente (disponibile anche in una traduzione italiana). Giavazzi è il campione della tesi secondo cui l’austerità porta alla crescita, per la quale culturalmente ha tutto il mio disprezzo; ma in questo caso le sue considerazioni sono inoppugnabili e documentate.

Conseguenza: il debito pubblico non c’entra
La prima, enorme, conseguenza rispetto alla narrativa oggi dominante sulla crisi è che il debito pubblico non c’entra un bel niente e quindi tutti gli sforzi per migliorare la macchina statale non sortiranno alcun effetto sostanziale rispetto alla dimensione spaventosa della crisi. Quindi anche tutto il tam tam mediatico contro gli sprechi dello Stato e della politica è una menzogna gigantesca.

Cerchiamo di guardare in faccia alla realtà. Abbiamo avuto il governo Berlusconi e il debito è aumentato, poi Prodi (aumentato) poi ancora Berlusconi (aumentato) poi Monti (aumentato) poi Letta (aumentato); ora infine Renzi, e il debito aumenta.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Si vogliono fare riforme per migliorare l’efficienza dello Stato? Bene, chi non è d’accordo? Ma con il debito e l’impagabilità degli interessi le riforme non c’entrano un fico secco. Si vogliono tagliare gli sprechi? Bene. Si vuole dare la caccia ai corrotti e agli evasori? Benissimo. Ma col debito non c’entrano nulla. Questa è la realtà pura e semplice. Se, per esempio, avviene una corruzione, sarà un corrotto a comprarsi la macchina di lusso invece dell’imprenditore onesto. Ma dal punto di vista del Pil, nulla cambia: sempre una macchina di lusso venduta. Quindi facciamo pure la lotta alla corruzione, ma per il debito occorreranno altri strumenti. La lotta alla corruzione è necessaria per la salute della società e la difesa dei più deboli, ma non per il debito.

Non ci vuole molto a capirlo. Il debito segue una regola matematica: dopo tot tempo scattano gli interessi. L’economia reale (famiglie e imprese) può fare tutto (anche lavorare il triplo e non dormire la notte) ma non può per legge stampare moneta. Per quanto si lavori, aumenteranno i prodotti ma non le banconote in circolazione. Oppure sì, possono aumentarle prendendo un prestito: quindi aumentando il debito complessivo.

Le banconote sono entrate in circolazione in cambio di titoli di Stato. Si suppone che sia uno scambio alla pari (tot moneta, tot titoli) ma non è così. I titoli hanno un rendimento e quindi crescono di valore nel tempo. La moneta invece no, resta sempre la stessa. Per quanto possa circolare, non aumenta di valore. Circolando più in fretta, grazie alla tecnologia e all’efficienza del sistema produttivo e al miglioramento della burocrazia, avremo un Pil maggiore. Ma la moneta come quantità non sarà aumentata. Alla scadenza del titolo, questo avrà un valore maggiore, ma la quantità di moneta sarà rimasta la stessa: il titolo è impagabile nel suo nuovo valore, quindi non resta che fare nuovo debito.

Non dipende da Berlusconi o da Renzi o dalla corruzione. Il debito aumenta e basta.

O la moneta o il lavoro
A riprova di quanto detto, basta andare a vedere la crescita del debito degli altri stati, magari quelli considerati efficienti o con minore tasso di corruzione. Si può vedere che la dinamica di crescita del debito è sempre una curva esponenziale. Questo dipende dal semplice fatto che l’interesse composto (cioè l’interesse che non viene pagato e che si somma al debito e sarà soggetto ai nuovi interessi) ha una dinamica di crescita esponenziale. Può darsi che un singolo anno si riesca a pagare gli interessi, ma si tratterà di risorse monetarie sottratte all’economia, che ne verrà immediatamente a soffrire. Risultato: il Pil calerà, mancheranno i soldi e il debito riprenderà a salire. Non c’è nulla da fare, se non si ha la proprietà della moneta.

Per questo e solo per questo ho citato l’Argentina. Non perché quello sia improvvisamente il paradiso terrestre (e non mi interessa nessun processo di beatificazione dell’attuale presidente Christina Kirchner), ma perché, chiunque sia al potere, una spettacolare riduzione del debito pubblico come quello attuato in questi anni, dal 120 per cento del 2004 al 41 per cento del 2012, è possibile solo con la proprietà della moneta.

So benissimo che attualmente il paese ha grossi problemi, ma quei problemi mi pare che diano ancora più peso alla necessità della valuta nazionale. Infatti l’Argentina vive ora nel pieno della tempesta valutaria che sta svalutando la sua moneta e ha come riflesso (non scontato, ma oggettivo in questo caso) l’aumento dell’inflazione. Però l’inflazione ha il merito di contrastare l’accumulo di capitali e favorire chi lavora. Per questo il tasso di disoccupazione, nonostante le difficoltà, è sotto il 7 per cento.

L’alternativa è precisamente quella che abbiamo sotto gli occhi: se non si svaluta la moneta, siccome la moneta serve a pagare il lavoro, la flessibilità richiesta dal libero mercato si sposterà sul lavoro. Quindi si avrà la disoccupazione. Proprio quella che abbiamo noi italiani e che è tanto diffusa in Europa.

Ora io mi domando: cosa è civile e cristiano? Quando un bene indispensabile viene a mancare, è meglio che tutti possano usufruirne, anche se in maniera minore, o piuttosto che diventi un privilegio per alcuni e un miraggio per altri? Non sarebbe meglio “lavorare poco e lavorare tutti” anziché far diventare il lavoro un privilegio di pochi (fortunati o raccomandati)?

Ecco la differenza più importante, da un punto di vista sociale, della sovranità monetaria. Se si stampa la moneta in continuazione e non si procede a una continua, moderata e costante svalutazione, in un sistema in cui la moneta retribuisce il lavoro vuol dire che il valore del lavoro viene considerato più importante del possesso della moneta. Ovviamente occorrerà indicizzare gli stipendi alla svalutazione, ma questo è possibile e consentito e praticabile proprio dalla proprietà della moneta. L’alternativa è quella che abbiamo oggi, cioè un valore sempre maggiore a quei pochi che hanno moneta, mentre gli altri si affanneranno a cercare un lavoro sempre peggio retribuito. Questo è il punto cruciale sulla questione della sovranità monetaria. E tutte le discussioni sugli effetti finanziari e bancari sono semplicemente corollari a dimostrazione di un sistema fallimentare che non può funzionare.

Riassumendo: oltre che contraria alla nostra Costituzione («la sovranità appartiene al popolo»), la perdita della sovranità monetaria (con adozione di una moneta straniera) non funziona perché fa crescere perennemente il debito del sistema; ed è immorale perché scarica i guasti della finanza sul mercato del lavoro.

Prossimamente vedremo gli altri due punti fermi.

Foto euro da Shutterstock

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18 commenti

  1. oikos31

    poi ha voglia di starnazzare che lo sviluppo italiano non sia stato dovuto a politiche keynesiane. Dimentica che lo sviluppo in buona parte è stato dovuto alla espansione delle imprese a partecipazione statale ( vedi ENI) e allo sviluppo infrastrutturale , che certo non è addebitabile ai privati.

    1. Giovanni Passali

      E non dominava il FMI. E Maastricht con tutte le sue rigidità era ancora lontana. E il pareggio di bilancio dello Stato era qualcosa che nessuno nemmeno si sognava.

  2. oikos31

    che la jacob fosse veteroleghista lo immaginavo. Ormai neppure i leghisti sono separatisti…hanno intuito che non converrebbe poi tanto al nord. E poi l’unità d’Italia è partita da nord e questo una sua logica la deve pur avere.

  3. Cristiano

    Caro Passali,
    la ringrazio per i suoi articoli molto chiari. Gia’ in qualche altro commento un suo lettore le citava il prof. Auriti e la sua provocatoria domanda: “L’euro, di chi e’?”. Grazie a tale commento sono venuto alla scoperta di una persona le cui idee mi paiono dirompenti. Cio’ che piu’ mi ha colpito della posizione del prof. Auriti non e’ tanto il fatto che egli porti la discussione da un piano monetaristico a un piano legale, riordinando per cosi’ dire quella implicita subordinazione culturale di tutte le scienze al quella economica. No, cio’ che mi ha piu’ colpito e’ la sua interessantissima esegesi delle tre tentazioni di Satana (cfr. Mt 4, 1-11).
    Immagino che Lei sia cattolico e conosca la figura del prof. Auriti, ben di piu’ di quanto la conosca io. Le faccio una domanda secca: qual’e’ la sua posizione a riguardo delle teorie di Auriti? Mi sembra di vedere notevolissimi punti di contatto ma vorrei sentire un suo commento esplicito in materia.

    PS
    Riguardo al cattolico Einaudi si senta qui cosa ne pensava Auriti (https://www.youtube.com/watch?v=g3QH3XILy3E): e oggi, col senno di poi, come non dargli ragione…

    1. Giovanni Passali

      Auriti?
      Un gigante del suo tempo.
      Io mi vanto di essere andato un pochino oltre. Ma prima sono dovuto salire sulle spalle di un gigante.

      1. Cristiano

        In che direzione e’ andato oltre? Potrebbe esplicitare meglio?

        1. Giovanni Passali

          Aristotele: “La moneta è misura del valore”
          Giacinto Auriti: “La moneta è misura del valore e valore della misura”
          Giovanni Passali: “La moneta è uno strumento temporale di coestensione del valore”
          Ai prossimi articoli, per i dettagli. Oppure http://www.eurocidio.it
          Nel 2002-3, quello che mi sembrava puzza di bruciato, grazie ad Auriti divenne la visione di un incendio.
          Ora stiamo bruciando.

          1. sindar

            Quando proprio tutto sarà andato in vacca e saremo tornati al baratto, forse qualcuno dirà:
            “La moneta è una merce”
            Ma l’ideologia è dura da smontare

          2. Cristiano

            Attendo con impazienza i suoi articoli e grazie per il link al suo libro (che mi procurero’ quanto prima). BTW ha visto che Strache ha vinto la tornata elettorale in Alta Austria? Certo anche grazie al tema dei rifugiati… sicuramente le posizioni anti europeiste prenderanno piede, come aveva scritto Lei. Domanda secca: a che punto siamo? (Dell’incendio, intendo)

  4. Giovanni Passali

    E dove avrei scritto che “non bisogna lavorare”??? Mah…
    “La libertà economica fece decollare l’Italia”, ma dopo una guerra mondiale. Rifacciamo la guerra, per usare un modello che funziona solo in quelle condizioni?
    PS.
    Accetto la proposta, dividiamo l’Italia. Anche se non so se lei ha ben valutato le conseguenze: poi il Nord dovrà dotarsi della sua capitale…

  5. sindar

    “Però l’inflazione ha il merito di contrastare l’accumulo di capitali e favorire chi lavora.”

    Il merito di favorire chi lavora… questa è epocale, me la segno.

    1. Giovanni Passali

      Forse avrei dovuto scrivere più correttamente “chi vuole lavorare”. Ma il concetto è quello.
      In ogni caso la correlazione tra inflazione e disoccupazione si chiama Curva di Philips.
      Se lo può segnare.

      1. sindar

        Avevo il sospetto che lei basasse le sue analisi sugli schemi studiati al secondo anno di università. Ora ne ho la certezza. Grazie

        P.S. si scrive Phillips, con due L.
        Philips al massimo è il televisore…

        1. Giovanni Passali

          Ovviamente su Phillips (con due L) ha ragione!
          Ma non mi interessava dare definizioni accademiche (che nell’articolo non ho usato), piuttosto mi interessa riprendere il buon senso di certi ragionamenti.
          Se col denaro si paga il lavoro, svalutando il denaro si rivaluta il lavoro. Non è una relazione automatica, ma oggettivamente rimane una relazione tendenzialmente inversa.
          Se invece si paragona il denaro con i beni, visto che i beni nel tempo si deteriorano, allora è bene che pure il denaro col tempo si “deteriori”, in modo da rappresentare più correttamente il valore dei beni.

          1. Tommasodaquino

            Questa è magistrale, proprio da appendere sul muro di casa. “Se col denaro si paga il lavoro, svalutando il denaro si rivaluta il lavoro” No dico ma si rende conto di quello che ha scritto?? Proprio perché il lavoro si paga con il denaro, se svaluta il denaro svaluta il mezzo con cui viene pagato IL LAVORO. Svalutando il denaro, svaluta il lavoro. Questa è logica, non economia.

  6. Jens

    C’è solo una cosa da fare: una rivoluzione armata contro il parlamento europeo e le sue lobbies. Quelli hanno interesse a che permanga questa situazione, perché ci guadagnano. Bisognerebbe davvero arrivare a un referendum SI-NO Euro, previa campagna mediatica NO Euro.

    1. Giovanni Passali

      Se facciamo la rivoluzione armata (film già visto) poi al potere ci vanno i violenti.
      Allora facciamo la rivoluzione culturale.
      Non voglio fare il supereroe; preferisco collaborare alla formazione di una generazione di supereroi.

      1. Jens

        Ecco l’eterno dilemma: meglio ricchi senza libertà o poveri con la libertà?
        Di certo, adesso non siamo ricchi e non abbiamo neanche la libertà. Tra i due mali…

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