
Il dolore di Craxi e la buia profezia di un’Italia sotto scacco delle toghe
«Con ispirito e ragione», scrisse nel 1600 Fra Antonio di Guevara, Vescovo di Mondognedo, ad un signore suo amico «guardatevi da quei giudici giovani, pazzi, arditi, temerari e sanguinolenti, i quali, perché arrivi nella corte la loro fama, e che di là venga affidato loro qualche governo, fanno mille crudeltà nelle vostre terre, di tal maniera che vi sarà più da rimediare per gli spropositi che fanno, che per le colpe che i vassalli commettono» (Bettino Craxi).
Antonio Di Pietro è convinto di poter diventare il sindaco di Milano. Lo ha detto in un’intervista al Corriere della Sera. «Milano non è cambiata dagli anni in cui ero in Procura. E quindi mi candido a fare il sindaco». Povero Tonino. Ormai ai margini della scena politica, cerca di tornare a vestire i panni che gli hanno consentito di calcarla. La corruzione, spiega, è tale quale ad allora, «l’unica differenza è che oggi (le associazioni di imprese, ndr) sono più sofisticate e hanno ingegnerizzato il sistema».
Il sistema, già. Patetico. È questo il sentimento che oggi suscita Di Pietro, uno che deve andare col cappello in mano da Beppe Grillo a mendicare un posto (ma quello, che non è scemo, lo tiene alla larga). Sono lontani gli anni in cui, sull’onda del successo di Mani Pulite si dimetteva dalla magistratura e si candidava al Mugello tra gli osanna della stampa e della magistratura. Piercamillo Davigo lo salutò vergando queste parole: «Tu mancherai alla magistratura, che per tuo merito ha acquisito credibilità e considerazione nella pubblica opinione italiana e internazionale. Oggi la figura di un magistrato è enormemente più prestigiosa, e proprio perché tu l’hai incarnata. Un giorno, Antonio Di Pietro sarà ricordato per le sue benemerenze verso l’Italia e non per essere stato un sostituto procuratore tra i tanti, mentre questa Procura della Repubblica sarà ricordata perché in essa operò Antonio Di Pietro».
E lo stesso Corriere della Sera, che oggi lo intervista beffardo relegandolo nello scantinato di pagina 13, fu lo stesso giornale che in quegli stessi anni stampò nero su bianco giudizi di questo tipo: «Errabondo come Ulisse, infaticabile come Gulliver, riverito come Marco Polo, sentimentale come Laurence Sterne. C’è un viaggiatore in più nella leggenda, Antonio Di Pietro. I suoi spostamenti in giro per il mondo, da un paio di anni a questa parte, sono seguiti nei cinque continenti come le missioni pastorali del Papa». E ancora: «L’uomo che ha disfatto l’Italia del basso Impero ora è il più fervido, patriottico apostolo del suo riscatto. Mentre a casa incide ancora, senza anestesie, le deformità del sistema, all’estero Di Pietro ricostruisce come un chirurgo plastico il volto armonioso e rassicurante della penisola. Dall’Australia ad Hong Kong, via Stoccarda, da New York al Lussemburgo via Madrid, il giudice itinerante traccia la rotta di una nuova reputazione italiana, diffonde ottimismo, semina fiducia, calamita consensi su quel gigantesco cantiere a forma di stivale che si allunga nel Mediterraneo».
Sono citazioni ricordate da Bettino Craxi nel libro, uscito il mese scorso (Io parlo, e continuerò a parlare, Mondadori), che raccoglie suoi pensieri e appunti, alcuni inediti, stesi tra il 1994 e la sua morte, il 19 gennaio 2000. Craxi in esilio ad Hammamet; Di Pietro a far politica con la sinistra, a fondare partiti, a sedere su poltrone ministeriali. Ma per tutto quel periodo gli scritti di Craxi circolarono in Italia in forma quasi semiclandestina su pochi fogli d’ispirazione socialista, per lo più finendo, come egli stesso scrisse, «inesorabilmente nei cestini della carta delle redazioni dei giornali».
Ma rileggere oggi quelle chiose a margine di tanti avvenimenti della storia italiana (ce ne è sul caso Moro, Ustica, processo Sme, Tangentopoli) e sui suoi protagonisti (Andreotti, Napolitano, Prodi, D’Alema, Berlusconi, Fini, Amato, Cossiga, il pool di Mani Pulite) sorprende il lettore per la capacità di analisi e di preveggenza dell’ex leader del Garofano. Soprattutto perché aveva compreso che la sua vicenda personale non era solo una dolorosa vicenda intima, ma la premonizione di ciò che sarebbe accaduto. Prima a lui e poi, come per contagio, a tutti gli altri, divorati essi stessi dal ricatto moralistico su cui è nata la Seconda Repubblica che, eliminati i partiti, ha lasciato che la “cosa pubblica” non finisse in “mani pulite”, ma in quelle di clan senza più ideali né bandiere, perennemente sotto scacco di nuclei della magistratura e dell’informazione.
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3 commenti
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Il compagno Bettino ci ha lasciato molti debiti. Mentre lui e i suoi uomini RUBAVANO i soldi dei contribuenti italiani, anche di quelli poveri o con handicap o precari o che vivevano in baracche o di quelli benestanti onesti che pagano il biglietto di tutto perchè è normale fra persone civili. E RUBAVANO i soldi per far festini con le mignotte, unico modo possibile per far accoppiare quella bastia di De Michelis.
Non so se quanto scrivi sia vero o meno. So però che nello stesso periodo i compagni del PCI rubavano anch’essi e alla grande, prendendo anche soldi da una potenza straniera (l’URSS) che allora era “ostile”. Ma se ne sono usciti alla grande e si hanno rifatto una verginità che nemmeno le educande d’antan. La magistratura amica (ricordate il caso Greganti di allora? si riusci a far credere che un oscuro operaio potesse tranquillamente disporre di 600 milioni di lire e che i soldi non fossero del partito) e la stampa connivente (ci fecero bere la panzana che il PCI si finanziava con le Feste dell’Unità) fecero da velo di piombo.
Caro Giampiero, se racconti la storia, raccontala tutta, non solo la mezza messa.
Il 90% delle leggi di bilancio, durante la tanto voluttuosamente rimpianta I Repubblica, era votato dall’Arco Costituzionale. E Spadolini dichiarò apertamente che, nella composizione dei governi succeduti alla c.d. Unità Nazionale, telefonava a Berlinguer per avere il placet dell'”Incorruttibile.” Chiaro? E Craxi, per essersi messo contro il compromesso storico, per avere sfidato gli equilibri consolidati della Prima Repubblica, i Sindacati e la Magistratura e infine, per avere contrastato lo strapotere degli U.S.A. nel nostro Paese, laddove i comunisti servivano gli interessi di, sì, una “potenza ostile”, è stato sbranato e è dovuto fuggire, mentre coloro che vivevano nel mito della propria “superiorità morale” e nella certezza della propria “intoccabilità giudiziaria”, dopo che era stato Bettino Craxi a farli ammettere nell’Internazionale Socialista, la facevano franca… E oggi, sono ridotti a fare i lacché di eurocrati rottamati da Renzie… Esiliati anche dal proprio Partito, quello che ne rimaneva dopo averlo rottamato vivi e vegeti i Cerquetti, i Tortorella, i Cossutta e gli Ingrao; processati dai propri elettori, quelli che non li hanno abbandonati e rottamati prima di Renzie; in preda agli spasmi e alle convulsioni di un sussulto barricadiero, che non ci sarà… Craxi è morto da uomo libero e con la dignità di non aver rinnegato se stesso, gli altri, l’Italia… Questi, hanno vivacchiato per tirare le cuoia in un sottoscala, in uno scantinato, nello sgabuzzino di una sezione chiusa da tempo, come topi che si mordono le natiche…