Il patriarcato dei Puponi, la sorellanza del cavallo di Troia, i tassisti, i tarocchi, l’investigatore che si fa sgamare, la “moglie del cugino”, l’aforismario da Autogrill. "Unica" è troppo anche per l'utente medio di Netflix
«Roma sapeva». Ilary Blasi fissa la telecamera con gli occhi di Bambi che ha appena visto i fanali della station wagon e messo insieme i pezzi del puzzle: «Roma sapeva». Manca solo la colonna sonora dei Goblin mentre i droni riprendono Roma ad altezza palla sacra del Cupolone e s’innalza la voce dei custodi dell’ortodossia romana: i tassisti al volante. «Tutti in città lo sanno che a Totti je piace mangià i maritozzi con la panna – confermano gravi – e le donne». «Io mi metto anche nei panni delle persone», riflette Ilary socratica: «Chi si mette in mezzo a una famiglia così grande? – pausa a effetto -. E simbolica».
I maritozzi con la panna e le donne! Noi qui vorremmo tanto prendere sul serio non diciamo questo fatto delle corna di Francesco Totti, ma l’eccitazione dei media, Corriere della Sera in primis, in brodo di giuggiole per Ilary e tutte le coraggiosissime cornute come Belen, Victoria Beckham, Shakira, donne che nonostante i “retaggi del patriarcato” hanno sfidato l’omertà e rotto il silenzio facendo «sentire la propria voce». Ma proprio lei, nostra signora della televisione Ilary Blasi, in quella cosmogonia fantaspystory Neflix che è il “docufilm” Unica non ci aiuta per niente. «Il bello è che la sera prima mi cercava», pausa, scrollo di chioma bionda e sorriso raggelante di Wanna Marchi, «sessualmente».
Sessualmente! Capiamo benissimo, signora Blasi, che non c’è serie Netflix né successo senza aforismario da autogrill («A volte si è detto troppo, a volte si è detto poco. A volte si è detto sbagliato», uao!), che dopo i quaranta invece di parlarne in cucina con le amiche si portano le amiche a parlarne in tv («ora vi dico la mia verità»), ma pure a Londra seguite da trolley e telecamere camuffate con gioielli e outfit discretissimi («qui mi scambiano per una russa»), e che nell’era della post verità «a chi credo? Ai giornalisti o a mio marito?» is the new “essere o non essere” («Veda lei», la risposta sconcertata di Aldo Grasso).
Ma, ex signoramia Totti: tramare con Alessia alias «la mia amica che mi pettina» per bere un caffè con un ragazzo “bono” «con la casa vicino a Centrale a Milano»; assumere un investigatore da 75mila euro «su Milano e non su Roma perché non mi fidavo», ma che alla fine «s’è fatto sgamare»; arrampicarsi sui muretti della casa della presunta amante di Totti con «la moglie del cugino di Francesco» che ha raccontato al marito che vedeva Ilary perché «arrivava un tipo a leggerci i tarocchi»; mettere la retro e «prendere un albero» scappando; svegliarsi nel cuore della notte ricordandosi che esiste una intercapedine nel soffitto della casa all’Eur; correre in vestaglia e telecamera a tirare giù una scala, salire e trovarci le borse ostaggio di Totti (il giorno prima aveva scoperto che dietro la zona spa c’era un ripostiglio segreto e chiamato un tuttofare col trapano aveva “liberato” le scarpe); tutto questo, condito da frignatine, risate Durbans, letture di messaggi Whatsapp, svapate, slogan «non solo mignotta, pure ladra», è francamente “troppo Aridatece er cinepanettone” anche per noi, popolo di Netflix.
La verità del clan di Ilary, le Ferragni capitoline
Unica è la storia di come Francesco Totti si sia incazzato per un caffè tra un bono, una parrucchiera e Ilary e nel contempo avesse le idee confuse sulla sua tresca con un clone di Ilary, la carriera di Ilary, le borse di Ilary, insomma della fine di un matrimonio, il tutto ovviamente visto, scoperto e ricostruito da Ilary. Benissimo. E tuttavia. Qualcuno dovrebbe pur dirlo, alla Ilary spiaggiata in tacco a spillo e camicetta bianca da clean girl testimone di mafia, che son vent’anni che oltre il Grande raccordo anulare si magna tranquilli e disinteressati all’avvincentissimo tran tran dei coniugi Puponi tutto sdraio a Sabaudia – partitone a padel – cena a piazza de’ Ricci con paparazzo Barillari d’ordinanza alle costole (lei piagnucola, «lui era il campione e io sempre l’ex letterina», epperò fossero stati un po’ meno degni del binomio da strapaese calciatore-valletta a cui mostrare la t-shirt “6 unica” dopo un gol straordinario, non avrebbero campato di copertine su Chi – nemmeno documentari Netflix – finché divorzio non li avesse separati).
Ma dirlo anche ai giornalisti, relegati a figuranti di Unica, che con il cupolone sullo sfondo sostengono che il New York Times abbia dedicato «decine di articoli» alla fine della storia di Ilary e Totti, i nostri «Carlo e Diana»: ma che davvero?
Contro il patriarcato dei puponi, la sorellanza del cavallo di Troia (sic)
Ilary Blasi, denunciando Totti che in cambio della fedeltà pare le abbia chiesto di “smettere di lavorare, non uscire più da sola con le sue amiche e cancellarsi dai social media”, più che i panni di Ilary indossa quelli dell’Atticus Finch di se stessa, gli stessi che vorrebbe indossassero le sorelle Melory, Silvia, mamma Daniela (è il clan Ferragni versione capitolina), la moglie del cugino e l’amica che la pettina. Il risultato è uno squittire corale di donne che accolgono il fatto delle corna con entusiasmo incredulo: «Se capitava a me una cosa del genere mi ricoveravano in clinica!».
La diagnosi di Vogueè che in un momento in cui «l’omicidio di Giulia Cecchettin ha catalizzato la nazione risvegliando le coscienze dormienti su tematiche come femminicidio e disparità di genere» e «il patriarcato è finalmente sotto accusa», Unica con Ilary, Daniela e Melory, Giorgia e Alessia «che la supportano, la accompagnano in missioni investigative (…) la ascoltano e la capiscono, tra lacrime e aperitivi», ci fa riscoprire «l’importanza della sorellanza, del tenersi la mano, del lottare insieme contro chi ci opprime». Di più – ve lo scriviamo così, col refuso delle grandissime occasioni -: «Se una volta era Francesco Totti, l’imperatore di Roma, ora grazie al canto corale delle donne di Unica, le fedeli alleate, sorelle, madri e amiche, è Ilary a essere diventata imperatrice, insegandoci (sic!) che non avere paura di raccontare e confidarsi è un’arma potente per scardinare il patriarcato, step by step. E il pop, a volte, è il cavallo di Troia di cui non sapevi di avere bisogno».
Le corna, i tassisti, i tarocchi: una serie Netflix
Ma certo, sappiamo bene che pure Checco Zalone ha fatto moltissimo contro lo stigma degli uomini sessuali che «non c’avranno gli assorbenti, ma però c’hanno le ali». Ma fare scuola, signora Ilary Blasi, questo è il principio della fine: l’ha vista Belen a Domenica In con la stessa camicettina bianca, orecchino d’oro delle stesse dimensioni formato Enterprise, asserire che il padre di suo figlio l’ha tradita almeno dodici volte – dodici! – e che lei dopo è finita in clinica a pesare 49 chili (leggi “mica a rubare Rolex e firmare contratti con Netflix”)? E il di lei ex marito (per noi fuori dal Grande raccordo anulare ma pure dalla fascia pomeridiana di Amici di Maria De Filippi nell’anno 2009: si chiama Stefano Di Martino e fa il ballerino, segni particolari, ex fidanzato di Emma Marrone ed ex sposo di Belen, appunto) andare a piagnucolare da Fabio Fazio come Francesco Totti da Aldo Cazzullo?
«Roma sapeva», ma pure noi utenti medi senza fare i tassisti o i sceneggiatori Netflix sapevamo che Ilary, Totti, Belen e l’ex marito di Belen si sarebbero già tutti istantaneamente e instagrammabilmente rifatti una vita, un’anima gemella, un servizio da copertina. Aspettando la seconda stagione in cui il bono, la parrucchiera, la moglie del cugino, il tizio dei tarocchi e le dodici troiane infliggeranno il colpo mortale al patriarcato.
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