Il grande messaggio di Totti non riguarda il pallone

Di Fred Perri
30 Maggio 2017
Sei stato un campione, sei stato fedele a una sola maglia per tutta la vita, hai segnato un botto di gol, però, non ti offendere, ma la tua grandezza sul campo non sta nella prima fascia
Francesco Totti celebrated by his teammates at the end of his last soccer match between AS Roma and Genoa at Olimpico Stadium in Rome, 28 May 2017. ANSA/CLAUDIO PERI
Francesco Totti celebrated by his teammates at the end of his last soccer match between AS Roma and Genoa at Olimpico Stadium in Rome, 28 May 2017. ANSA/CLAUDIO PERI

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Anticipiamo un articolo tratto dal numero di Tempi in edicola da giovedì 1 giugno (vai alla pagina degli abbonamenti) – Caro Francesco, ma chi sono io, vecchio balordo, ultimo tra gli ultimi, anziano pensionato un po’ cinico e baro, dico, chi sono io per aggiungere qualcosa al tuo addio? Nessuno. Appunto. Però, l’avrai capito, questa intro è una cazzata, perché dopo che l’abbiamo scritta dovremmo chiudere, invece andiamo avanti. Voglio dirti due cose.

Sei stato un campione, sei stato fedele a una sola maglia per tutta la vita, hai segnato un botto di gol, però, non ti offendere, ma la tua grandezza sul campo non sta nella prima fascia. Hai un bel parterre di fenomeni, davanti. No, caro Francesco, la tua grandezza è umana. Tu hai compiuto due gesti che quasi mai ho visto fare a un personaggio pubblico seguito da folle osannanti e/o insultato da chi stava su un’altra sponda calcistica/politica/intellettuale/musicale/gastronomica.

1) Tu hai saputo ridere di te stesso. Hai preso per il culo e ti sei fatto prendere per il culo. Una rarità, in un paese di permalosi (quorum ego). E, (2), non hai avuto paura di dire a tutti che hai paura. Senza rete, hai confessato che nella tua vita c’è solo il calcio, quello sul prato verde, quello con l’erba vista sotto un pallone, e che ora che questo finisce, non sai che fare.

Tutti quelli che ti applaudivano non hanno capito, ahimè, che il tuo grande messaggio non riguardava il calcio, riguardava il nostro essere umanamente persi, come nella nebbia in una notte d’inverno, e avere il coraggio di ammetterlo.

Una verità straordinaria evaporata tra ricchi premi e cotillons, lacrime e medaglie. Insomma inghiottita dal solito, immancabile rito della commozione collettiva, l’unica azione in comune che ci è rimasta perché rimuove l’essenziale.

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