
Il summit sul clima di Biden è un «successo». Soprattutto per la Cina

Il summit sul clima di Joe Biden è stato un «successo». Lo scrivono tutti i giornali, parlando del vertice in videoconferenza dove i principali leader mondiali hanno fatto nuove promesse sul taglio dei gas serra. Ma c’è un paese che ha beneficiato più di tutti dell’appuntamento green, ed è la Cina. Mentre gli altri Stati, incitati dai discorsi di Greta Thunberg e papa Francesco, facevano a gara a migliorare gli impegni assunti con l’accordo di Parigi, Xi Jinping si è guadagnato il plauso dei media di tutto il mondo,pur senza prendere nessun impegno.
Il «green» vale oro per la Cina
Il «green» è la vera gallinella dalle uova d’oro per Pechino. Criticato a livello internazionale su tutti i fronti possibili, ha capito che è sufficiente fare roboanti discorsi sul clima per ottenere una tregua. Anche se poi, alle parole, non seguono mai i fatti.
Xi ha disperatamente bisogno di migliorare l’immagine della Cina. Ha scatenato una pandemia che ha messo in ginocchio l’economia mondiale. È sotto accusa per il «genocidio» degli uiguri. Ha azzerato le libertà civili di Hong Kong in violazione degli accordi internazionali presi con il Regno Unito. Minaccia costantemente di invadere Taiwan. Protegge la dittatura militare del Myanmar, che sta massacrando il suo stesso popolo, impendendo all’Onu di intervenire. Ruba la tecnologia agli alleati industriali, viola le regole del Wto, invade il mercato con merci a basso costo danneggiando i partner commerciali. Sanziona tutti coloro che osano muovere delle critiche.
Il clima è il cavallo di Troia di Xi
Nessun paese al mondo potrebbe resistere a tante malefatte. Non è dunque sorprendente che la Cina abbia accettato l’invito di Biden a partecipare al summit virtuale sul clima. Pechino ha disperatamente bisogno di promuovere agli occhi del mondo un’immagine più responsabile del regime e ha trovato nel clima il cavallo di Troia che cercava. Il vertice americano ne è stata la riprova. Xi Jinping non ha promesso nulla, eppure ha ricevuto l’elogio di tutto il mondo.
Gli Usa si sono impegnati a tagliare le emissioni di anidride carbonica almeno del 52% entro il 2030; l’Ue le ridurrà del 55% entro il 2030 con l’obiettivo di arrivare a zero emissioni nel 2050. Il Giappone ridimensionerà i gas del 46% entro il 2030, il Regno Unito del 78% entro il 2035. E la Cina? Xi ha vagamente parlato di «investimenti sostenibili», «Via della seta verde», «riduzione del tasso di crescita nei consumi di carbone nei prossimi cinque anni» (riduzione della crescita, non dei consumi). Ha poi ribadito l’impegno degli accordi di Parigi: raggiungere il picco delle sue emissioni di Co2 nel 2030 e la neutralità carbonica nel 2060.
Le emissioni di Co2 crescono in Cina
Solo tra 10 e 40 anni, dunque, si potrà avere la certezza se Pechino fa sul serio oppure no. Nel frattempo, però, si può dare un’occhiata a come la Cina si sta muovendo per raggiungere i suoi mirabolanti obiettivi. Secondo il gruppo di analisi finanziare TransitionZero, la Cina potrebbe risparmiare fino a 1,6 triliardi di dollari se sostituisse il carbone con alternative più pulite. Eppure «al momento non c’è traccia di questa transizione».
Secondo i dati diffusi dalla Cina, il carbone soddisfa il 56,8% del fabbisogno energetico del paese. Pechino resta il principale emettitore di gas serra nel mondo, a livello assoluto, e a breve supererà gli Stati Uniti nella classifica dei paesi per inquinamento pro capite. Nel 2020, le emissioni in Cina sono aumentate dell’1,7%, raggiugendo i 14.400 milioni di tonnellate, pari alle emissioni di 180 paesi del mondo messi insieme.
Oltre 200 nuove centrali a carbone
In Cina, secondo i dati del Global Energy Monitor, sono attive 1.082 centrali a carbone. Per mantenere gli impegni presi, dovrebbe chiuderne nei prossimi dieci anni 588. Invece, 92 nuove centrali sono in costruzione e altre 135 sono in fase di progettazione. Ogni nuova centrale difficilmente verrà spenta «prima di 40 anni» per non generare perdite. Se nel 2020 il mondo ha spento centrali a carbone per un totale di 37,8 gigawatts in meno, la Cina ne ha costruite per un totale di 38,4 gigawatt in più, vanificando quindi gli sforzi del mondo intero. Ancora, se nel 2019 la Cina aveva commissionato il 64% di tutte le nuove centrali a carbone del mondo, nel 2020 il dato è aumentato al 76%. Nel computo, non sono considerate quelle costruite all’estero.
Paradossale, infine, è il fatto che il Dragone domini i settori delle automobili elettriche, dei pannelli solari, delle turbine eoliche e delle batterie. Mentre guadagna dalle promesse green degli altri paesi, quindi, non fa nulla in patria per limitare le emissioni di Co2. Secondo il Climate Action Tracker, l’operato della Cina rispetto agli obiettivi preposti è «altamente insufficiente». È da notare anche che nessun paese fortemente industrializzato guadagna la sufficienza nella classifica. Gli unici paesi definiti “modello” sono al momento Marocco e Gambia.
Xi tradisce le promesse sul clima
Xie Chunping, membro del Grantham Research Institute on Climate Change, ha affermato che se la Cina vuole mantenere le sue promesse deve ridurre le sue emissioni del 66% entro il 2030. Come riuscirà a farlo in soli nove anni, quando ancora oggi le sue emissioni aumentano anno dopo anno, è un mistero. Ma ai summit sul clima come quello americano non si parla di dati. Si fanno solo promesse. Xi Jinping questa volta non ha fatto neanche quelle. Eppure ha ricevuto l’applauso del mondo intero. Il «green» si conferma un affare d’oro per la Cina.
Foto Ansa
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