Cina. L’attacco frontale di Xi Jinping il nazionalista agli Usa
Succede raramente che il presidente della Cina, Xi Jinping, abituato al linguaggio felpato e tenebroso del Partito comunista e della diplomazia cinese, si lasci andare a un’invettiva diretta contro il suo principale nemico, gli Stati Uniti. Eppure è quanto accaduto lunedì a Pechino, a margine dell’annuale sessione del Parlamento fantoccio cinese, convocato per “ratificare” le decisioni prese dal Comitato permanente del Partito.
«Gli Usa vogliono reprimere la Cina»
«I paesi occidentali, guidati dagli Stati Uniti, vogliono attuare un contenimento, un accerchiamento e una repressione totale della Cina, che ha portato a sfide gravi e senza precedenti per lo sviluppo del paese», ha attaccato Xi davanti alla Conferenza politica consultiva del popolo cinese.
Le parole del nuovo Mao Zedong sono riecheggiate anche nelle dichiarazioni del nuovo ministro degli Esteri, Qin Gang, in conferenza stampa: «Se gli Stati Uniti non tirano il freno, ma continuano ad accelerare lungo la strada sbagliata, nessun guardrail potrà impedire il deragliamento e ci saranno sicuramente conflitti e scontri dalle conseguenze catastrofiche».
L’economia della Cina rallenta
Xi Jinping mette in atto la tattica più vecchia del mondo: indicare un nemico esterno, incolpandolo di ogni male, per autoassolversi e non fare i conti con i propri fallimenti. L’economia cinese infatti sta rallentando ma la colpa non è certo del “contenimento” americano.
L’anno scorso il Dragone è cresciuto del 3%, seconda peggiore prestazione dal 1976, meno della metà dell’India (7%), a dispetto di una previsione del 5,5%. La spesa pro capite è diminuita dello 0,2% e anche le vendite al dettaglio sono calate. Per la prima volta dal 1962 la Cina ha perso 8,4 milioni di posti di lavoro e secondo gli Stati Uniti, per la prima volta da 25 anni, le aziende americane non includono più Pechino tra le prime tre priorità d’investimento.
Anche per questo, il Parlamento cinese ha previsto per il 2023 una crescita «attorno al 5%»: una stima molto prudente, che riflette la preoccupazione per l’economia in calo.
La disastrosa politica “zero Covid”
Ma il rallentamento del colosso asiatico non è responsabilità degli Stati Uniti. Se migliaia e migliaia di fabbriche hanno chiuso in tutto il paese, soprattutto nella prima metà dell’anno, è principalmente per colpa della draconiana e folle politica zero Covid, che ha paralizzato le attività produttive.
Come inoltre dimostrato dall’improvviso e totale rilassamento di ogni misura di contenimento del virus alla fine dello scorso anno, il Partito comunista non ha trasformato il paese in un carcere a cielo aperto per preservare la salute dei cittadini. Ma per aumentare ai massimi livelli il controllo della società, dell’economia e della politica in vista del XX Congresso del Partito, durante il quale Xi è stato sostanzialmente nominato leader a vita della Cina.
Il pericoloso nazionalismo di Xi Jinping
Se dunque il “presidente di tutto” ha bisogno di incolpare gli Stati Uniti per non infangare la propria immagine di grande statista, il suo inconsueto attacco agli Usa presenta caratteristiche preoccupanti.
Innanzitutto riecheggia la stessa retorica antioccidentale scelta da Vladimir Putin per addossare su altri la responsabilità della fallimentare campagna di guerra in Ucraina.
Inoltre, fare leva sul nazionalismo in un paese già iper-nazionalista potrebbe essere una scelta precisa per preparare la popolazione a un passo sconsiderato, come potrebbe essere l’invasione di Taiwan. Significativo un passaggio della conferenza stampa del ministro degli Esteri Qin: «Perché gli Usa ci chiedono di non inviare armi alla Russia mentre loro le forniscono a Taiwan?».
La guerra economica tra Usa e Cina
Le dure parole di Xi Jinping riflettono anche una preoccupazione reale. A ottobre dell’anno scorso l’amministrazione Biden ha bloccato la vendita alla Cina di semiconduttori realizzati con tecnologia americana ovunque nel mondo.
Washington vuole così impedire a Pechino di sviluppare l’economia e la difesa del futuro. Come dichiarato al Financial Times da Paul Triolo, esperto di tecnologia, «gli Usa hanno sostanzialmente dichiarato guerra alla Cina».
Anche Biden alimenta la tensione
Il clima di tensione sempre più alta, quasi da Guerra Fredda, tra le due superpotenze non è una buona notizia per nessuno. Da un lato la Cina ci ha messo del suo: la vicenda dei palloni spia che hanno sorvolato lo spazio americano hanno portato il segretario di Stato americano, Anthony Blinken, a rinviare l’annunciata visita a Pechino.
Dall’altro però l’insistenza di Biden sulla contrapposizione tra democrazie da una parte e autocrazie dall’altra consolida sempre di più la pericolosa alleanza tra Pechino e Mosca. Come dichiarato a Tempi da Aldo Ferrari, docente all’università Ca’ Foscari di Venezia e responsabile per l’Ispi del programma di ricerca su Russia, Caucaso e Asia Centrale, parlando così «Biden crea una barriera ideologica. Questa impostazione americana è errata perché dobbiamo trovare il modo di convivere tutti in questo mondo».
Foto Ansa
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