Covid. Oggi nessuno ha più voglia di abbracciare un cinese

Di Leone Grotti
29 Dicembre 2022
Repubblica attacca il "governo no vax" della Meloni, dimenticandosi che meno di un anno fa ospitava sulle sue colonne chi elogiava il "modello cinese". È quel modello che ha fatto di nuovo scattare la paura in tutto il mondo. Ora però niente allarmismi
Tamponi Covid obbligatori per chi arriva dalla Cina in Italia in aeroporto

Tamponi Covid obbligatori per chi arriva dalla Cina in Italia in aeroporto

Dopo tre anni di pandemia, a Repubblica, non hanno più voglia di lanciare campagne come quella che proponeva orgogliosamente di “abbracciare un cinese” per sconfiggere il razzismo, quando invece c’era da combattere un virus. E ora che è chiaro a tutti che quello cinese non è affatto un “modello”, il quotidiano di Maurizio Molinari se la prende con il “governo no vax”, pur sapendo che la linea morbida adottata dall’esecutivo Meloni è perfettamente in linea con i dati scientifici – e con quanto avviene nel resto del mondo – e può convivere con la cautela adottata verso i viaggiatori provenienti dalla Cina, che dovranno eseguire un tampone rapido prima di entrare in Italia.

Da “zero Covid” a zero controlli

Il nuovo allarme Covid è stato scatenato dalla politica irresponsabile del regime comunista cinese. Per nascondere le proprie responsabilità nella diffusione della pandemia, e per dimostrare che poteva rispondere all’emergenza meglio dell’Occidente libero, ha dapprima adottato la draconiana politica “zero Covid”, estenuando con infiniti lockdown 1,4 miliardi di persone per due anni e mezzo.

Quando la politica si è dimostrata fallimentare, spinto da manifestazioni di piazza senza precedenti, invece che studiare un’uscita graduale dallo stato di emergenza, ha rimosso nel giro di un mese quasi tutte le restrizioni, lasciando che il virus si diffondesse incontrastato nel paese falcidiando la popolazione.

Come durante le prime fasi della pandemia, nessuno conosce davvero l’entità dei contagi e dei morti in Cina: la Commissione per la salute nazionale cinese ha addirittura smesso di comunicare i dati. Si ritiene che nei primi 20 giorni di dicembre almeno 250 milioni di cinesi, quasi il 20 per cento della popolazione, abbiano contratto il virus e che muoiano circa cinquemila persone al giorno. Gli ospedali al collasso e le code interminabili davanti ai forni crematori sembrano confermare queste ipotesi. Secondo alcuni modelli matematici, la cancellazione improvvisa, e senza un’adeguata campagna vaccinale, delle restrizioni potrebbe costare la vita a un milione di cinesi.

Il regime in Cina vuole solo mantenere il potere

Anche se il comportamento del regime comunista sembra inspiegabile, è perfettamente in linea con quanto avvenuto dal dicembre 2019 a oggi: per non far sfigurare i leader del paese il governo ritardò la comunicazione dell’esistenza di un’epidemia di Covid-19 in Cina e censurò e arrestò tutti coloro che a Wuhan cercarono di avvisare i propri concittadini e il mondo del pericolo che correvano, permettendo al virus di diffondersi indisturbato in tutto il mondo.

Per mantenere intatta l’aura di infallibilità di Xi Jinping, Pechino ha dichiarato guerra al Covid, nella speranza antiscientifica di poterlo debellare, e ha chiuso in casa i suoi abitanti per due anni e mezzo, organizzando un sistema di sorveglianza mai sperimentato prima al mondo e calpestando tutti i più elementari diritti della popolazione.

Quando il sistema è fallito, e il peso economico e sociale della politica “zero Covid” è diventato insostenibile, per restare ancora saldamente al potere il Partito comunista ha stravolto la sua strategia: niente più chiusure, niente più prevenzione, niente più restrizioni. Dopo aver trasformato la Cina in un grande carcere a cielo aperto, il governo ha stabilito di abdicare al suo ruolo e di far pagare alla popolazione la libertà riconquistata e invocata, al prezzo di un numero catastrofico di morti.

Cautela sì, allarmismi no

Davanti a un regime tanto sconsiderato, la cautela adottata dal governo italiano è d’obbligo e il tampone antigenico a chi proviene dalla Cina, con richiesta di isolarsi per sette giorni in caso di positività, bilancia prevenzione e buon senso.

Nonostante questo, bisogna fare attenzione a non esagerare con gli allarmismi. Per quanto ci siano analogie, la situazione è completamente diversa da quella di tre anni fa. Rispetto alle prime fasi della pandemia, infatti, il virus sta già circolando abbondantemente in Italia, dove si registrano 400 mila positivi al Covid a fronte, probabilmente, di circa un milione di contagiati. Se anche arrivassero dalla Cina migliaia di contagiati, la situazione non cambierebbe affatto perché, come sottolineato su Repubblica da Carlo La Vecchia, epidemiologo dell’Università di Milano, «oggi siamo vaccinati e chi non è vaccinato è guarito dal Covid». La variante Omicron, inoltre, è sì molto contagiosa ma meno letale rispetto alle varianti precedenti.

Ecco perché la richiesta di tampone all’ingresso in Italia per chi arriva dalla Cina ha senso solamente se serve a monitorare la situazione e ad assicurarsi che non si sviluppino nuove e temibili varianti. Al momento, però, sono le sottovarianti Omicron 2 e Omicron 5 che stanno mettendo in ginocchio la Cina, nessuna delle quali costituisce un pericolo per la popolazione italiana. Gli esperti, che certo non sono stati impeccabili negli ultimi tre anni, ritengono inoltre che il rischio della comparsa di nuove varianti sia «improbabile», anche perché il virus negli anni è andato sempre indebolendosi.

Quando Repubblica elogiava il “modello cinese”

Cautela sì, dunque, allarmismi no. La situazione attuale andrebbe piuttosto sfruttata per dare un giudizio netto e definitivo sulla disastrosa gestione del Covid da parte di una dittatura come la Cina. Gestione che, non può essere dimenticato, veniva elogiata su Repubblica ancora a inizio anno da epidemiologi come Walter Ricciardi, consulente dell’ex ministro della Salute Roberto Speranza, convinto che la Cina avesse “sconfitto” il virus e che quello comunista fosse un “modello”. E che dunque anche l’Italia «deve fare come la Cina».

Non si sono mai accorti, forse per ideologia, che il virus del regime comunista è sempre stato più pericoloso del Covid. E che senza il primo, probabilmente, non ci sarebbe stato il secondo.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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