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L’abisso di Shanghai

Di Leone Grotti
06 Luglio 2022
Cronache dell’infernale lockdown inflitto «senza un perché» alla (ex) “perla d’Oriente”. Il cuore produttivo della Cina tramutato in galera per 25 milioni di innocenti, ridotti alla fame e alla disperazione
Poliziotto davanti alla skyline di Shanghai
Un poliziotto davanti alla skyline del distretto finanziario di Shanghai (foto Ansa)

Shanghai è anche un verbo. In inglese significa costringere qualcuno a imbarcarsi su una nave come marinaio dopo averlo drogato o ubriacato. E, di conseguenza, vuole anche dire rinchiudere qualcuno con la forza o con le minacce in carcere. Non siamo più nell’Ottocento e al porto di Shanghai, il più importante a livello globale, non c’è più bisogno di rapire gli uomini per obbligarli a lavorare. Nel centro finanziario della Cina, uno dei più esclusivi al mondo, a milioni i migranti dalle remote province dell’Ovest fanno la fila per accaparrarsi un posto, anche sottopagato, in un cantiere. E i giovani laureati sgomitano per essere assunti dai grandi marchi occidentali come Sony, Apple o Tesla. Eppure, a oltre 200 anni di distanza dai fatti per i quali il verbo dispregiativo è stato coniato, anche in Cina la parola Shanghai non è più sinonimo di lusso, ricchezza, potere, sviluppo. Oggi la città non è più associata ai suoi più illustri appellati...

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