Si dice “malpractice”, si traduce con “abuso, illecito o imperizia nell’ambito sanitario”. Presunta malasanità, insomma, anche se le cose non stanno sempre così. Quando si parla di malpractice sanitaria infatti c’è molta confusione, vengono diffusi spesso dati numerici senza che ci siano reali certezze. L’Associazione per i medici accusati di malpractice ingiustamente (Amami) si occupa dal 2002 di fare chiarezza nel rapporto tra medici e pazienti, che si fa ogni giorno più tormentato. I pazienti arrivano negli studi medici dopo aver digitato su Google i propri sintomi e pretendono simultanee diagnosi, mentre i medici, a loro volta, sono intimoriti dall’esercitare la loro consulenza. Così ne risente il buon funzionamento della sanità, visto che per cercare di tutelarsi i medici prescrivono qualche esame in più, magari non necessario, ma difensivo, nel caso in cui il paziente intentasse una causa. Tempi.it ha intervistato il presidente di Amami, Maurizio Maggiorotti, medico ortopedico.
Quanti sono i casi di malpractice in Italia?
Impossibile da quantificare. Non c’è attualmente nessun organo delegato a contare le presunte cause intentate dai pazienti contro i medici. Sono anni che Amami chiede al Parlamento l’introduzione di una figura, in ogni ospedale, al quale il medico si debba rivolgere per riportare questi fatti. Così potremmo realmente renderci conto della portata del fenomeno. Quindi non capisco la provenienza dei dati sulle presunte malpractice diffusi dai giornali, non c’è certezza in merito. Anni fa circolava la bufala dei «90 morti al giorno per errore medico». Praticamente un’ecatombe quotidiana, assolutamente indimostrabile. Sono queste leggende che contribuiscono a creare un clima di terrore negli ospedali.
Amami ha cercato di approfondire il numero dei casi di malasanità?
Insieme all’università Cattolica abbiamo portato avanti uno studio campione, per dimostrare che gli errori medici sono molto inferiori alla realtà. E ci siamo basati su dati oggettivi, assunti dagli archivi della procura di Roma, utilizzandoli come riferimento. Prendendo in esame un arco temporale di 10 anni, abbiamo scoperto che su 100 medici indagati per malasanità, solo uno era stato ritenuto effettivamente colpevole. Purtroppo ad alimentare lo spauracchio della malpractice ci sono anche le agenzie assicurative, che offrono sempre più pacchetti per tutelarsi preventivamente in caso di errore medico.
Quanto è reale il rischio che i medici prescrivano esami teoricamente inutili pur di tutelarsi?
Io dico sempre che noi medici non facciamo più medicina difensiva, ma medicina giurisprudenziale.
Si spieghi meglio.
Siamo costretti a operare sulla base di quanto è stato stabilito da un giudice, per non rischiare di incorrere in procedimenti disciplinari. Un po’ di tempo fa c’era stato il caso di una paziente che si era recata in pronto soccorso lamentando un forte mal di testa. Il medico, dopo averle fatto alcune domande, le aveva detto di prendere un antidolorifico e l’aveva rimandata a casa. Dopo qualche ora da quella visita, la paziente morì. Quel mal di testa infatti era un sintomo precoce di ictus, il cosiddetto mal di testa sentinella dell’aneurisma cerebrale. Se al medico fosse venuta in mente questa ipotesi, avrebbe dovuto prescrivere come accertamento diagnostico un’angiografia cerebrale alla ricerca di eventuali aneurismi. Un esame che costa alla sanità pubblica 1.500 euro, e che quindi si prescrive quando si è certi di una diagnosi, non quando si hanno dei dubbi lontani. Il medico però è stato condannato in Cassazione e da allora io credo che sia cambiato molto l’approccio di fronte al paziente.
E i medici vogliono cercare di tutelarsi.
Come medici, specialmente in pronto soccorso, ci hanno sempre insegnato di fare indagini probabilistiche. Cioè, una volta fatta l’anamnesi al paziente, bisogna supporre quale sia la diagnosi più probabile. Se uno va in ospedale lamentando mal di pancia, la prima cosa che si vuole sapere è che cibi ha ingerito. Se dice che ha mangiato cozze crude di dubbia provenienza e una vaschetta di gelato, allora si può supporre che la causa del mal di pancia sia l’ingordigia, non certo un’aneurisma dell’aorta addominale. Il problema è che ad oggi il medico che non vuole finire in tribunale deve imparare a pensare anche all’ipotesi più rara. Questo non è lavorare in maniera tranquilla o fare il bene del paziente, sottoponendolo anche a esami dolorosi, pur di tutelarsi.
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