Nessun uomo è sterile. Io sono stata ridata alla luce da Chesterton

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A qualcuno verrà un tuffo al cuore, ma vorrei anch’io ricordare il 750esimo anniversario della nascita di Dante parlando di un uomo a cui il nostro poeta fiorentino attribuisce una sua nascita, pur non essendo suo padre; di un uomo che lo ha generato, essendo (anche) omosessuale. E mi riferisco a Virgilio.

Più volte, nel corso della Divina Commedia, Dante si riferisce a Virgilio con l’epiteto di padre, e questo è facile aspettarselo: lo fa tutte le volte in cui il maestro gli porge un insegnamento o gli offre un comportamento esemplare. Ma ci sono anche casi in cui Dante parla di Virgilio usando paragoni materni, e questo è meno scontato aspettarselo. Sono momenti in cui la presenza del maestro è decisiva per la vita di Dante, in cui è in gioco la sua incolumità, ad esempio: «Lo duca mio di sùbito mi prese,/ come la madre ch’al romore è desta/ e vede presso a sé le fiamme accese,/ che prende il figlio e fugge e non s’arresta» (Inferno, XXIII). Non c’è alcuna confusione, ma anzi una chiara distinzione del ruolo dei genitori: il padre educa, la madre è visceralmente legata alla vita. E Virgilio, per Dante, è stato entrambe le cose: da lui ha paternamente appreso insegnamenti di valore, ma grazie a lui è anche maternamente «nato».

Una persona non nasce una volta sola nella vita. Fisicamente sì, ma umanamente no. Una volta venuti al mondo, la vita ci espone a molte prove mortali, in cui la nostra persona può perdersi e spegnersi. Ma sul cammino di tutti s’incontrano poi persone la cui presenza ci fa rinascere. E lo intendo letteralmente, non in senso teorico o metaforico. È una generatività non legata alla procreazione sessuale, ma altrettanto fondamentale. Perché non c’è niente di peggio di un uomo vivo che vive da morto.

Ognuno di noi ha i suoi esempi; scendere nel personale mi aiuta a ribadire che non sto facendo un discorso zuccherosamente astratto. Io sono «nata» grazie al signor Chesterton, che in vita sua non riuscì ad avere figli e condivise questo grande dolore insieme a sua moglie. Lui mi ha proprio ridato alla luce, come una madre; mi ha strappato da un mio triste inabissamento nella depressione.

Nessun uomo è sterile, se si considera ogni persona, così com’è, come presenza fruttuosa nel tempo in cui vive e opera. Ognuno ha un seme fecondo da condividere, che può diventare decisivo – addirittura indispensabile – per la vita di altri. Generare non è solo partorire un figlio. Il dramma del nostro tempo è, invece, la solitudine: si spinge l’individuo a rimanere tale, cioè a chiudersi a riccio, e a trattare individualisticamente perfino i propri desideri. Anziché allargare l’orizzonte al bene che ognuno è per la sua comunità, si riduce la prospettiva e la si esaspera, puntando tutto sul vincere a ogni costo certi limiti naturali.

Mi chiedo se il secolo buio sia quello di Dante, o forse il nostro. È buio il Medioevo in cui un poeta ha parlato della feconda generatività di un maestro, non su base sessuale, ma nell’orizzonte del valore gigante di una persona per la società? È illuminata questa nostra modernità che affonda il coltello nei desideri feriti di alcuni e propone loro una generatività meccanica e consumistica, basata su fecondazione eterologa, uteri in affitto e sottesa a un commercio affaristico?

@AlisaTeggi

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