
Bachelet, il Commissario per i diritti umani che non difende i diritti umani

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, la già due volte presidente socialista cilena Michelle Bachelet, ha annunciato questa settimana che non si candiderà per un nuovo mandato, adducendo imprecisati “motivi familiari”. Un’anomalia essendo prassi il rinnovo in sede onusiana, basti pensare al bis all’Oms persino del discusso Tedros Adhanom Ghebreyesus, uno che non ha mai esercitato la professione di medico nonché un ex membro del marxista Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, organizzazione politico-paramilitare etiope.
La disastrosa visita a Pechino di Bachelet
Il mandato di Bachelet scadrà il prossimo 31 agosto, ma più dei “motivi familiari”, alla base della sua rinuncia a bissare c’è la sua disastrosa visita in Cina di un mese fa. Obiettivo del suo viaggio a Pechino doveva essere verificare le accuse di repressione e abusi contro la minoranza musulmana uigura nella provincia nord-occidentale dello Xinjiang da parte della dittatura, ma le sue conclusioni sono state non solo omertose ma un vero e proprio assist al Dragone.
Di fatto «Bachelet ha fatto propaganda a Pechino», ha scritto lunedì scorso la sempre bene informata Mary Anastasia O’Grady sul Wall Street Journal. La cosa non deve sorprendere visto che l’Alto Commissario Onu per i diritti umani durante la Guerra Fredda era dalla parte dei sovietici, ha scelto di vivere in Germania Est dal 1975 al 1979 descrivendola come una «bellissima esperienza» ed elogiando Erich Honecker ed è sempre stata un’ammiratrice sfegatata della dittatura cubana e del vietnamita Ho Chi Minh.
Bachelet non parla delle detenzioni di massa in Cina
Secondo Axios, la settantenne Bachelet «ha usato i punti di vista del governo cinese per fare le sue osservazioni» sulla situazione nello Xinjiang, dove oggi il regime mantiene in carcere circa un milione di uiguri. Bachelet ha descritto le politiche cinesi «come una forma di controterrorismo» volta a combattere «atti violenti di estremismo». Ha anche fatto riferimento alle strutture di detenzione di massa definendole «centri di formazione professionale ed educativa», l’eufemismo della dittatura cinese per definire i suoi campi di concentramento.
«Il viaggio non sarebbe potuto andare meglio per il governo cinese nel suo sforzo di coprire le detenzioni di massa e gli abusi nello Xinjiang», ha denunciato il direttore di Human Rights Watch, Keneth Roth, che ha descritto la visita come «un completo disastro». La Cina ha naturalmente usato le parole della Bachelet a suo vantaggio, diffondendo la narrativa che Pechino è stata «non solo vendicata, ma giustificata» dalla visita delle Nazioni Unite.
Il debole di Bachelet per i totalitarismi
Non è la prima volta che la Bachelet si schiera con i totalitarismi. Nel 2009 si era recata in pellegrinaggio a Cuba per prostrarsi ai piedi dell’anziano tiranno Fidel Castro. Da direttrice di UN Women, l’ente onusiano che dovrebbe favorire il processo di crescita e sviluppo della condizione delle donne e della loro partecipazione pubblica, nel 2013 elogiò Chávez – la cui eredità in Venezuela è stata la fame di massa, i leader dell’opposizione incarcerati, 6 milioni di rifugiati e uno stato fallito – per «il suo amore profondissimo per il suo popolo e per avere accettato la sfida latinoamericana di sradicare la povertà e generare una vita migliore per tutti».
«In ciascuno dei suoi due mandati come presidente del Cile», ammoniva Yoani Sánchez nel 2018, poco prima dell’insediamento come Alto Commissario, prevedendone il disastro, «Bachelet ha evitato di mostrare simpatia per la causa dei dissidenti cubani e ha rifiutato qualsiasi contatto con gli innumerevoli attivisti dell’isola che hanno visitato il suo paese negli ultimi anni». Nel 2016, alla morte di Fidel, Bachelet lo descriveva come «un leader per la dignità e la giustizia sociale a Cuba e in America Latina».
È sempre colpa degli Stati Uniti
Ovvio che in quattro anni di incarico al vertice delle Nazioni Unite per i diritti umani, il suo silenzio contro le violazioni reiterate dei diritti umani da parte del regime cubano è stata una costante. Basti pensare alla sua dichiarazione rilasciata dopo la rivolta dell’11 luglio 2021 quando Internet pullulava di video di civili disarmati picchiati e fucilati sull’isola dai paramilitari del regime. Bachelet definì quelle azioni della dittatura come un «presunto uso eccessivo della forza». Migliaia da allora finirono in carcere mentre amici e familiari li cercavano freneticamente. Bachelet tacque, suggerendo un “dialogo” tra la dittatura e la popolazione impotente.
Non bastasse, ha addossato la responsabilità dei «problemi» dell’isola alle sanzioni statunitensi, la stessa linea del regime, senza mai menzionare il blocco interno di Cuba nei confronti del suo stesso popolo. Per lei la dittatura cubana è un simbolo del successo antiamericano perché è sopravvissuta a decenni di opposizione Usa e, agli occhi della sinistra internazionale, questo la rende eroica e richiede che venga protetta a tutti i costi.
Per fortuna si è fatta da parte da sola
«I coraggiosi anticonformisti della società civile cubana, che il regime è determinato a estirpare, sono solo danni collaterali in una più ampia guerra contro i valori dell’Occidente» analizza con acume O’Grady, per poi aggiungere: «È difficile evitare la conclusione che le simpatie dell’Alto commissario siano per gli oppressori, sia a Cuba che in Cina. Se le Nazioni Unite cercano credibilità, Michelle Bachelet dovrebbe andarsene essendo evidente che all’Alto Commissario per i diritti umani, i diritti interessano poco o nulla».
Per fortuna Bachelet si è fatta da parte da sola e, forse, la prossima o il prossimo Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani sarà scelto con un po’ più di acume o, almeno, guardando al suo curriculum. Il condizionale è però d’obbligo visto che da ieri la Corea del Nord è a capo dell’Unoda, ovvero l’Ufficio per il disarmo del Palazzo di Vetro. E non è una barzelletta.
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