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Nel Venezuela senza benzina gli asini sono l’Eldorado dei poveri

Nel paese con più petrolio al mondo ma col prezzo del carburante alle stelle e stipendi da 10 euro, torna in auge il burrero, il “conduttore” del ciuccio

Paolo Manzo
07/12/2021 - 6:23
Esteri
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Come può il paese che ha le riserve di petrolio più grandi al mondo, il Venezuela, con quasi 300 miliardi di barili (certificate nel 2012 da British Petroleum), tanto per capirci più dell’Arabia Saudita, non avere più benzina nei distributori da vendere a chi possiede un’automobile o una motocicletta?

Il burrero guadagna più di un accademico

«Dove finisce la logica inizia il Venezuela», lo spiega così, con un sorriso amaro Giancarlo, italiano che, dopo 40 anni di lavoro nel paese sudamericano, dal 2018 è tornato a vivere nella natia Terracina. Di fatto la causa principale è il disastro di oltre un ventennio di politiche industriali del chavismo che hanno distrutto tutte le raffinerie che operavano nel paese. Il risultato è che adesso, la poca benzina che circola in Venezuela, arriva dal regime iraniano, nonostante le sanzioni statunitensi e, dunque, fare il pieno a Maracaibo, un tempo la città più moderna e petrolifera del Venezuela “saudita”(lo chiamavano tutti così all’epoca del boom degli anni Sessanta e Settanta), è impresa titanica.

Per questo, da un paio di anni a questa parte, una frazione crescente del trasporto merci venezuelano viene assicurato dai nobilissimi asini e quella del burrero, il “conduttore” del ciuccio, è oramai una professione invidiata da molti in un paese dove lo stipendio massimo mensile di un professore universitario è pari a 10 euro. Il 30enne Tony Monsalvo, ad esempio, è un burrero felice, che lavora con il suo asino ed annesso carretto proprio a Maracaibo, la capitale dello stato petrolifero del Zulia, distrutto dal chavismo perché tradizionalmente molto anti-chavista, come il Tachira. Felice perché guadagna ogni giorno tra i 10 ed i 15 dollari al giorno, (lui come tutti in Venezuela paga e si fa pagare in dollari), «50 volte più di un professore universitario», spiega orgoglioso, «sufficiente per mantenere tre famiglie».

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Con l’asino «mantengo tre famiglie»

«La benzina non è disponibile in questo momento», spiega Tony a Tempi. «Ho dovuto vendere la mia auto per questo motivo. La mia famiglia stava quasi morendo di fame perché avevo l’auto parcheggiata lì e non stava facendo nulla. Così mi sono detto: “La venderò e comprerò un asino”», una decisione vincente per tornare a lavorare e guadagnare bene per gli standard venezuelani. L’asino «mi è costato 200 dollari, con carrello e tutto», racconta accarezzando l’animale fedele che gli sta a fianco, trasformatosi nel prezioso supporto per portare a casa qualche dollaro ogni giorno usandolo per «raccogliere la plastica, riciclare, portare l’acqua per la comunità quando non arriva alle tubature delle case», un problema quotidiano a Maracaibo, come molte altre zone del paese, dove ogni giorno manca anche l’energia elettrica.

Tony ha scelto questo tipo di lavoro poco più di un anno fa, quando si è reso conto di non avere altre alternative e, oggi, si occupa del suo asino come di se stesso perché è essenziale che stia bene per continuare a provvedere alle famiglie che dipendono da lui. «Con quello che mi danno, circa 10, 15 dollari al giorno, compro un po’ per ognuno di loro, un chilo di riso, delle uova per mia madre e mia zia, riesco a mantenere tre famiglie», ripete. Ovviamente, parte dei guadagni li usa per nutrire l’asino con paglia, che gli dà la mattina, e mais il pomeriggio. Poi la domenica, quando Monsalvo e il suo asino si riposano, gli fa il bagno, come fosse un figlio.

Follie di un sistema fallito, quello chavista

Con una popolazione residente in Venezuela pari a 26 milioni di abitanti (sei milioni sono fuggiti dal paese per fame negli ultimi 5 anni) e un prezzo al barile medio di 70 dollari – il greggio dell’Orinoco essendo più bituminoso vale sempre qualche dollaro in meno della quotazione Opec – significa che ogni venezuelano possiede una “ricchezza alla nascita” pari a circa 12mila barili di petrolio che, tradotto in dollari, fa quasi un milione di dollari. Come riuscire a essere poveri – il 94,5 per cento della popolazione è povera e il 75 vive in miseria – con queste premesse, che non includono il gas naturale di cui il paese possiede riserve certificate che superano i 5,5 bilioni di metri cubi, rappresenta un vero e proprio “case study” perché, in realtà, tutti i venezuelani dovrebbero essere milionari per il semplice fatto di essere venezuelani. E, invece, oggi non hanno neanche la benzina, che tra l’altro non costerebbe quasi nulla perché il suo prezzo è sussidiato dal regime. Follie di un sistema fallito, quello chavista, dove oggi possedere un asino è sinonimo di “ricchezza” per sfamare la famiglia.

Ovviamente, in uno stato dittatoriale e caotico come il Venezuela, le autorità tengono molto d’occhio i burreros, che devono rispettare determinati orari di lavoro, senza superare il tempo stabilito, e avere tutta la documentazione dell’animale in regola, vaccinazioni incluse, secondo le esigenze delle istituzioni sanitarie. «Ho tutti i documenti, compresa la vaccinazione, ho tutto», precisa Tony Monsalvo, aggiungendo che lavora anche meno ore di quelle consentite dal regolamento statale. «Le autorità mi hanno detto che potevo lavorare dalle 7 alle 11 del mattino, ma io stacco alle 10. E nel pomeriggio, mi hanno detto che potevo uscire alle 3, ma io esco alle 4 o alle 4 e mezzo, perché il mio asino non si può stancare troppo». Secondo le proiezioni del FMI, il paese con le maggiori riserve petrolifere del mondo, chiuderà il 2021 senza benzina e con il reddito pro capite più basso dell’America latina e dei Caraibi: la miseria di 1.627 dollari, dietro ad Haiti. Anche per questo, in Venezuela gli asini sono il nuovo Eldorado dei poveri.

Foto Ansa

Tags: venezuela
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