Arevik, fuggita da Aleppo a Beirut: «Al-Jolani fa paura, e non solo a noi cristiani»

Di Leone Grotti
10 Gennaio 2025
«Abbiamo resistito a guerra, Covid e terremoto. Ma non si può vivere sotto un regime islamico. Meglio perdere tutto e ripartire da zero che diventare schiavi». La prima tappa del viaggio di Tempi in Libano
Siriani stipati su un’auto e diretti in Libano attraverso la frontiera di Al-Masnaa dopo la caduta del regime di Assad per mano dei jihadisti di Al-Jolani, 9 dicembre 2024 (foto Ansa)
Siriani stipati su un’auto e diretti in Libano attraverso la frontiera di Al-Masnaa dopo la caduta di Damasco nelle mani dei jihadisti di Al-Jolani, 9 dicembre 2024 (foto Ansa)

Questo articolo fa parte della settimana di Tempi in Libano per raccontare come il paese sta cercando di rialzarsi dopo la devastante guerra tra Hezbollah e Israele scoppiata in mezzo a una drammatica crisi economica. Puoi aiutarci a sostenere le spese per il reportage attraverso una donazione al Fondo Più Tempi.

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Beirut. «Abbiamo resistito a tutto: 13 anni di guerra, le bombe, il Covid, il terremoto. Ma quando sono arrivati i terroristi islamici di Al-Jolani abbiamo deciso di scappare in Libano». Arevik Sarkisian non si spaventa facilmente: è una cristiana coraggiosa e tenace come il popolo di cui fa parte, quello armeno. Non ha lasciato Aleppo, la capitale economica della Siria, nel 2011 quando una bomba ha sventrato il palazzo dove viveva, appena un mese dopo il suo matrimonio, «e noi ci siamo salvati per miracolo». Non l’ha lasciata durante i lunghi anni di guerra e i feroci scontri tra il regime di Bashar al-Assad e la galassia di terroristi che ora controlla il paese. Non è scappata quando la città è rimasta senza elettricità e riscaldamento, colpita senza pietà dalla miseria e dalle sanzioni internazionali, né quando è stata travolta dalla pandemia di Covid-19. Non se n’è andata neppure dopo il devastante terremoto del febbraio 2023, «che ha lasciato profonde crepe sui muri di casa nostra e ci ha costretti a vivere in automobile per un mese».

Arevik Sarkisian, una dei tanti cristiani siriani sfollati in Libano dopo la conquista di Damasco da parte dei jihadisti di Al-Jolani (foto Tempi)
Arevik Sarkisian, una dei tanti cristiani siriani sfollati in Libano dopo la conquista di Damasco da parte dei jihadisti di Al-Jolani (foto Tempi)

Insegnante di matematica dell’Istituto dei padri mechitaristi di Aleppo, per nulla al mondo Sarkisian avrebbe lasciato la sua città. Ma quando il 29 novembre i miliziani di Hayat Tahrir al-Sham hanno raggiunto la capitale economica della Siria, prima tappa di una rapida ascesa che ha portato al crollo del regime di Assad, la donna di 41 anni non ha esitato neanche per un istante: «Ho pensato ai miei figli di 6 e 7 anni. Non volevo che crescessero sotto un regime islamico: siamo fuggiti di notte, soltanto con i vestiti che avevamo addosso. Chi ha indugiato un giorno di più, è rimasto bloccato ad Aleppo senza possibilità di fuga».

La fuga con «15 persone su ogni auto»

Scappare si è rivelato più complesso del previsto. La famiglia di Sarkisian, insieme a quella del fratello, si è rifugiata a Mashta al-Helu per tre giorni «a casa di un cugino», poi quando Aleppo è definitivamente caduta ha trovato riparo a Homs, dove una chiesa ortodossa ha aperto loro le porte. Quando i jihadisti di Abu Muhammad al-Jolani sono entrati ad Hama, la famiglia cristiana ha capito che Homs non avrebbe resistito a lungo.

Esodo dalla Siria verso il Libano in seguito alla resa di Bashar al-Assad davanti ai ribelli ex Isis, 9 dicembre 2024 (foto Ansa)
Esodo dalla Siria verso il Libano in seguito alla resa di Bashar al-Assad davanti ai ribelli ex Isis, 9 dicembre 2024 (foto Ansa)

Così, Sarkisian è salita insieme ai familiari su una grossa jeep e ha preso la strada delle montagne per raggiungere insieme ad altri 100 mila siriani il Paese dei cedri. Il tragitto è stato infernale: «Abbiamo cambiato auto quattro volte e abbiamo fatto dei tratti di strada sulle moto», racconta. «Ma in ogni auto entravano fino a 15 persone e quando la pendenza era forte le ruote scivolavano sulle strade rocciose e non asfaltate. Anche la nostra auto non riusciva a salire. A un certo punto l’autista ha perso il controllo del mezzo, ci siamo ribaltati più volte. Mio figlio di sette anni era di fianco alla portiera e il peso delle altre persone l’ha schiacciato, rompendogli l’osso del braccio». In quel momento, «eravamo terrorizzati. È un’esperienza che non dimenticherò mai».

Quando finalmente il 6 dicembre la famiglia è riuscita a superare il confine tra Siria e Libano, si è ritrovata in mezzo a migliaia di persone: quasi tutti musulmani. «Non siamo solo noi cristiani ad avere paura di Al-Jolani. Nessuno sa che cosa sarà della Siria, ma una cosa è certa: diventerà un regime islamico».

«Sappiamo come ragionano Al-Jolani e i suoi»

Oggi Sarkisian vive a Beirut in una piccola casa affittata grazie alla vendita dell’oro di famiglia. Nella capitale libanese si sente al sicuro, ma deve ripartire da zero: «In una settimana la nostra vita è cambiata completamente. Siamo ancora tutti sotto shock: in Siria avevamo una casa, una macchina, un lavoro. Qui non abbiamo più niente, dobbiamo ricominciare da capo. Ma sono felice perché siamo al sicuro».

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La famiglia cristiana non ce l’avrebbe fatta senza l’aiuto della comunità armena libanese, soprattutto dei mechitaristi che hanno accolto i suoi figli gratuitamente nella scuola dei padri mechitaristi, che sorge a Jdeideh, sobborgo della capitale nel governatorato del Monte Libano.

Ritornare in Siria, al momento, non è un’opzione. «Al-Jolani può dire quello che vuole sul fatto che vuole costruire un paese libero e democratico, ma non basta tagliarsi la barba per cancellare il proprio passato», continua la donna senza esitazioni. «Lui ha preso il potere radunando una galassia di una quarantina di gruppi jihadisti. Loro ci considerano infedeli, sappiamo come ragionano. Non si può vivere con loro».

«Cosa ci si può aspettare da ex Isis?»

Dai parenti e dagli amici che ancora vivono ad Aleppo ha già sentito molte storie inquietanti. «Assad era un dittatore, ma l’esercito non era un gruppo di fanatici. Una mia amica mi ha raccontato di essere uscita a comprare il pane: una donna musulmana, vedendola senza velo, le ha detto di coprirsi. E quando la mia amica le ha risposto che non aveva nessuna intenzione di farlo, quella l’ha colpita in faccia con una pietra. Prima queste cose non accadevano».

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Un gruppo di miliziani, continua Sarkisian, «ha anche iniziato a girare i quartieri cristiani con una macchina dotata di altoparlante per dire che le donne non possono uscire di casa senza velo. Poi sono stati rimproverati, ma nessuno può fidarsi di loro. Facevano parte dell’Isis, che cosa ci si può aspettare di diverso?».

Ora Sarkisian sta cercando di ottenere tutti i documenti per vivere legalmente in Libano. Ha nostalgia di Aleppo, ma non ha rimpianti: «Devo pensare ai miei figli, al loro futuro. La Siria mi manca, ma è meglio vivere da sfollati che da schiavi».

@LeoneGrotti

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