Approvata in Senato la manovra. Ma senza crescita dove andiamo? – RS

Di Redazione
08 Settembre 2011
La quarta versione della manovra è stata approvata con 167 sì e 141 no. Deciso l'aumento dell'Iva, il cui gettito però non verrà usato per ridurre le aliquote che gravano sui produttori. Si sarebbero ottenuti alcuni effetti quasi tutti benefici per la nostra economia

Il governo ottiene la fiducia al Senato: passa con 167 sì e 141 no la quarta versione della manovra, un pacchetto di misure da 54 miliardi, mentre fuori dal Parlamento avvengono proteste e scontri.

“Che cosa funziona e che cosa non funziona nell’ultimo aggiustamento della manovra? Quel che funziona è che grazie alle ultime misure – ma in realtà essenzialmente grazie al gettito di un unico provvedimento, quello dell’aumento dell’Iva – si rafforzano le garanzie che il deficit si azzeri nel 2013, un risultato che fino all’altro ieri appariva assai aleatorio, per non dire del tutto improbabile. Speriamo che i mercati apprezzino questo aspetto della manovra, e che gli interessi che il Tesoro deve pagare sui nostri titoli pubblici comincino a scendere naturaliter, ossia senza il misericordioso intervento della Banca Centrale Europea” (Stampa, p. 29).

“Detto questo, però, c’è la parte che non funziona della manovra. E questa parte, temo, peserà molto sul nostro futuro. Per capire che cosa non va, tuttavia, bisogna fare una premessa: (…) è lo stramaledetto debito al 120% del Pil ciò per cui i mercati ci guardano in cagnesco, e sono sempre pronti a colpirci con una zampata fatale. Quel che i mercati temono non è che l’anno prossimo lo Stato italiano spenda qualcosina in più di quel che incassa (deficit), ma che non riesca a restituire i prestiti che ha contratto, e continui ancora a lungo ad avere sulla gobba del Pil un debito che è più grande dell’intero reddito prodotto dall’Italia in un anno (è questo che significa avere un rapporto debito/Pil maggiore del 100%)” (Stampa, p. 29).

Occorre dunque far crescere il Pil nominale per uscire da questa situazione, ma da che cosa dipende questa crescita? “Essenzialmente, da due parametri: la crescita del prodotto in termini reali e la crescita dei prezzi, che ha l’effetto di svalutare la massa del debito, che non è indicizzata all’inflazione. E’ da questo punto di vista che la manovra rischia. Rischia perché, per il riconoscimento unanime degli esperti, il suo effetto complessivo è di ridurre il tasso di crescita. Una manovra che aumenta le tasse per tutti, consumatori e produttori, riduce la domanda di beni e attenua lo stimolo a investire ed intraprendere” (Stampa, p. 29).

“Con la scelta di aumentare l’Iva per tappare i buchi di una manovra i cui saldi sono apparsi fin da subito troppo ballerini, il governo ha sprecato l’ultima munizione di cui disponeva (…). Usando il gettito dell’aumento dell’Iva per ridurre le aliquote che gravano sui produttori, si sarebbero ottenuti alcuni effetti quasi tutti benefici per la nostra economia. Innanzitutto, una maggiore crescita, grazie agli sgravi fiscali su chi produce. In secondo luogo un moderato effetto inflazionistico, con conseguente miglioramento del rapporto debito/Pil. In terzo luogo un miglioramento della nostra bilancia commerciale, perché l’Iva colpisce i prodotti importati ma non quelli esportati. Il tutto senza gravi effetti redistributivi, non solo perché intervenendo sul’aliquota massima (20%) si colpiscono prevalentemente beni di fascia medio-alta, ma perché maggiore crescita significa più posti di lavoro (se le cose dovessero andare benino), o meno licenziamenti (se le cose dovessero mettersi male)” (Stampa, p. 29).

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