Altro che “sdraiati”, li avete visti i giovani spalatori in Emilia-Romagna?

Di Fabio Cavallari
22 Maggio 2023
La retorica è nostra, non loro. Noi ci siamo sdraiati per guardarli dal basso verso l’alto, loro si sono rimboccati le maniche e hanno dato una mano agli alluvionati
Volontari arrivati da Bologna aiutano a pulire le strade allagate a Faenza, 19 maggio 2023 (Ansa)
Volontari arrivati da Bologna aiutano a pulire le strade allagate a Faenza, 19 maggio 2023 (Ansa)

Per una volta ben venga la retorica dei mezzi di comunicazione, nel mix di immagini e canti popolari. Sia salva la retorica se essa serve a distruggere quella mistificatoria rappresentazione dei giovani “sdraiati”, imbarcati su un divano con uno smartphone. In questi giorni di alluvioni, di sfollati, di morti e città trasformate, senza fascino, in una Venezia priva di sogni.

Sia benedetta la retorica, del popolo che non si arrende ad un metro e mezzo d’acqua in casa che, intona, mente spala, tra bestemmie sottovoce dei più vecchi, la voce dei giovani che non cantano il trap ma “Romagna mia”.

Con le mani nella melma

Possiamo dire, almeno questa volta, che noi cinquantenni, critici per formazione, non abbiamo capito nulla dei millennial, della generazione x, y, z, o come vogliamo chiamarle. Perché i giovani cha abbiamo visto spalare il fango, sporcarsi non solo le mani ma anche il culo, e ancor più quelli che si son protetti dalle telecamere che operano nella protezione civile, nei gruppi di volontariato spontanei, in quelli delle parrocchie, hanno dato supporto, sollevato letteralmente, anziani, bambini e cani, per porli in salvo, sono gli stessi che noi continuiamo, con una certa supponenza, a guardarli come vecchi padri ottocenteschi, che non praticarono il luddismo ma lo promossero culturalmente.

Benedetta quella retorica e sia maledetta quella dei commentatori che ora si aspettano, dallo loro sguardo deformato, che nulla sarà più come prima. No! È il paradigma che va cambiato.

Perché quei tanti giovani oggi, con le braccia nella melma torneranno alle loro playstation, dentro le chat del loro tempo, proprio come noi negli anni ’70 non facevamo altro che sostare pedissequamente nei bar della piazza. Non abbiamo capito nulla e non capiremo niente, sino a quando non saranno loro, finita la boria di chi, seduto in uno studio televisivo cercherà di spiegare il cambiamento climatico o gli errori della politica, paleseranno, con i loro modi, lo scontro generazionale, se lo riterranno necessario e soprattutto se ne avranno voglia.

La retorica del Sangiovese

Loro non faranno una piega, non si alzeranno, non manifesteranno con Landini e non difenderanno il presidente del Consiglio o le mise della Schlein. Con le mani sporche di melma, hanno sputtanato la nostra pretesa di continuarli a chiamare “sdraiati” e fannulloni. Non perché siano stati provocati dalla nostra dialettica, di cui non gli importa nulla, ma sostanzialmente per due motivi. Hanno guardato in faccia una necessità, hanno visto testimoni più grandi di loro mettersi all’opera, li hanno imitati e sono andati oltre.

La retorica è nostra, non loro. Noi ci siamo sdraiati per guardarli dal basso verso l’alto, credendo che la nostra esperienza e la nostra novecentesca superiorità ci consentisse una supremazia anche da quella posizione. Il primo giorno di sole, saranno al mare. Perché quei bagnini, con un orgoglio che infastidisce l’intellighenzia, saranno capaci davvero di rendere tutto perfetto a pochi giorni dal disastro.

L’orgoglio romagnolo è dialetticamente fastidioso per noi borghesi dal vezzo intellettuale seduti sulle scrivanie, perché antropologicamente non ci appartiene. Noi dobbiamo fare tavoli di programmazione, loro si buttano nel gorgo. Sono così per genesi non per appartenenza politica, sono così perché il mare accoglie e raccoglie. Perché sono capaci, come pochi altri, di contenere ed essere contenuti. Perché la retorica della Ferrari non c’entra niente, ma il Sangiovese sì. I cappelletti non si negano a nessuno, chiunque tu sia, aristocratico, borghese o gran figlio di puttana.

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