«Dobbiamo fare presto e arrivare al 25 febbraio a Ginevra con le carte migliori. E quale asso è migliore di Aleppo?». A Domenico Quirico, inviato della Stampa tornato nella seconda città più importante della Siria dopo il rapimento del 2013, un colonnello dell’esercito siriano spiega perché la battaglia per la conquista di Aleppo è così importante. A fine mese riprenderanno i colloqui di pace e il governo di Bashar al-Assad vuole arrivarci in posizione di favore.
L’ARRIVO DEI RINFORZI. La provincia di Aleppo, che si estende a nord fino al confine con la Turchia, è da anni in mano a diverse fazioni di ribelli islamisti, eccetto alcune sacche dove ancora comanda il governo. Gli islamisti fino a sei mesi fa potevano contare su 22 mila uomini, un muro che l’esausto esercito di Assad a corto di fanteria non poteva superare. Ma l’arrivo di circa 10 mila uomini, tra Hezbollah libanesi e sciiti iracheni, insieme ai bombardamenti dell’aviazione russa (800 raid in sette giorni), ha cambiato le sorti della battaglia e assedi che durano da tre anni si sono conclusi.
LA TENAGLIA. Sui ribelli premono come una tenaglia che sta per chiudersi i curdi da ovest, l’Isis da est e i lealisti da sud. L’obiettivo dei soldati di Assad è tagliare la linea di rifornimento che arriva dalla Turchia e ormai l’esercito siriano è a pochi chilometri dall’importante città ribelle di Tel Rifat, a soli 20 chilometri dal confine turco. Anche per questo l’Arabia Saudita si è detta disponibile a inviare truppe in Siria, seguita da Qatar e Emirati Arabi Uniti. Queste potrebbero entrare dal confine turco e gli Stati Uniti stanno riflettendo se dare o meno il loro assenso all’operazione, visto il pericolo di allargare il conflitto.
MISSILI E MORTE. Decine di migliaia di persone in tutta la provincia stanno scappando per evitare di rimanere uccisi dalle bombe dell’aviazione russa ma la Turchia per ora non ha aperto il valico di Bab al Salam per far passare i profughi. Mentre tutto il mondo si concentra sui profughi causati dall’avanzata dell’esercito siriano, non si occupa fatto degli abitanti di Aleppo che i ribelli bombardamenti quotidianamente e ai quali hanno tagliato acqua ed elettricità. In questi giorni hanno intensificato la pioggia di missili sulle zone abitate dai cristiani, come testimonia in una lettera al Giornale del popolo il sacerdote francescano Ibrahim al-Sabbagh. «Nella notte tra il 3 e il 4 febbraio, due missili lanciati dagli jihadisti hanno colpito la zona di Soulaymanieh-Ram, dove è collocata la nostra succursale», scrive. «Il risultato dei bombardamenti, incessanti, è sempre lo stesso: morte e distruzione di case. Due cristiani sono rimasti uccisi; diversi feriti e diverse case danneggiate. Siamo scoraggiati, perché avevamo appena finito di riparare i danni dei missili caduti il 12 aprile 2015, quando sono arrivati queste nuove bombe, distruggendo nuovamente quello che abbiamo appena riparato».
STATUA DELLA MADONNA. «La nostra chiesa non è stata per ora danneggiata, ma il tetto delle aule di catechismo è stato colpito e parzialmente distrutto, le pareti sono state danneggiate dalle scosse e dalle esplosioni e così i vetri, che sono andati in frantumi. Il missile che è caduto direttamente sulla succursale ha forato il tetto, colpendo la statua della Madonna, il campanile e alcuni depositi di acqua, nuovamente installati. La statua della Madonna è stata ridotta in mille pezzi e potete immaginare il nostro dolore: il volto della Vergine in frantumi in mezzo alla strada, oltraggiato. Mentre l’altro missile è caduto per la strada, danneggiando l’entrata della succursale e ammazzando due uomini cristiani, senza risparmiare gli edifici che, nel passato, sono stati colpiti da diversi missili e bombe», continua il sacerdote.
MANCA ANCORA L’ACQUA. I lanci di missili da parte dei gruppi jihadisti sono continuati tra il 4 e il 5 febbraio. «Ancora una volta, siamo stati colpiti al cuore. Le esplosioni hanno interessato il quartiere di Midaan, la zona a maggioranza cristiana. La distruzione è stata totale: i poveri abitanti rimasti sono nuovamente senza casa. (…) Rimane il problema grandissimo dell’acqua», che i ribelli che controllano le centrali hanno tagliato alla parte di città nelle mani del governo: «Mentre i missili cadevano, era impressionante vedere la gente aggirarsi cercando l’acqua. Le persone sono disperate e sfidano i missili e la pioggia, pur di attingere acqua dai rubinetti installati lungo la strada, dove ci sono i pozzi. Ormai, è da più di dieci giorni che siamo senza acqua».
«PERCHÉ RIMANIAMO». La domanda che padre Ibrahim non riesce a non farsi è: «Mi torna alla mente il Salmo che dice: “Fino a quando Signore ti scorderai di me?”. La domanda a volte affiora: il Signore ci ha abbandonato? Ma dove è il Signore? È un momento dove la fede viene scossa fortemente dalle sue radici per tutto il “piccolo gregge” che è rimasto ancora ad Aleppo. A Saul, il Risorto l’aveva chiesto: “Perché mi perseguiti?”, lasciando una conferma sicura della Sua unione con le membra del Suo Corpo mistico. Egli è presente; sofferente e appeso sulla croce e non “guarda da lontano mentre i Suoi soffrono”. Egli è presente in mezzo al Suo popolo; lo aiuta e lo assiste attraverso la tenerezza misericordiosa dei suoi pastori; anche se sono molto affaticati e amareggiati al vedere cosa succede al loro gregge. Così è per noi, frati francescani. E per questo rimaniamo qui».
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