Adesso Roma tratti la Lombardia con più sussidiarietà
Articolo tratto dal numero di aprile 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Quando ci lasceremo alla spalle l’emergenza sanitaria ci ritroveremo in un’altra emergenza, quella economica, che fin da ora sta falcidiando molte imprese e cancellando un gran numero di posti di lavoro.
Non è catastrofismo immaginare che quando sarà finalmente allentata la morsa su di noi ed usciremo di casa il quadro sarà quello di un tessuto produttivo distrutto e di una gioventù allo sbando: senza prospettive. Già adesso il debito pubblico si dirige verso il 150 per cento sul Pil e gli orientamenti prevalenti vorrebbero dilatare ulteriormente la spesa pubblica, coinvolgendo nel disastro dei conti pubblici anche il resto dell’Europa: con bond continentali garantiti dall’Unione Europea.
Pensando soprattutto alla necessità di prendersi cura delle aree più martoriate dal flagello e dal blocco produttivo (la Lombardia, in particolare), bisognerà allora uscire dai vecchi schemi. E quindi si dovrà partire dall’articolo 118 della Costituzione, che ha introdotto quel principio di sussidiarietà che in questa drammatica circostanza assume un significato del tutto nuovo.
Di fronte a tanta sofferenza e a un così deciso impoverimento, è indispensabile che si affermi il primato della società sulle istituzioni. Allo Stato italiano che presto busserà alla nostra porta e a quella di aziende sull’orlo del fallimento bisognerà saper dire, con chiarezza, che non si possono uccidere le nostre comunità e spegnere le nostre speranze soltanto per tenere in piedi il Palazzo. E se dovesse profilarsi la scelta tra salvare il tessuto produttivo oppure lo Stato, bisognerà sacrificare il secondo.
In queste settimane il potere si è presentato a noi come benevolo e tutelare. Nei suoi messaggi alla nazione Giuseppe Conte ha usato queste parole: «A voi tutti dico: lo Stato c’è. Lo Stato è qui». Quando si avvicineranno le scadenze fiscali, però, sarà bene che questa attenzione si esprima nel dimenticarci, lasciarci lavorare, scordarsi di noi.
Chi conosce la Lombardia, ad esempio, sa che non pretende soldi da nessuno: chiede solo di poter piangere i propri morti e tentare di costruirsi un futuro entro un quadro di più ampia libertà. Ci sarà un lavoro immane da fare e di tutto vi è bisogno meno che di essere spogliati di quel poco che resta per salvare Alitalia o finanziare il reddito di cittadinanza.
Il virus ha drasticamente ridimensionato l’economia di una delle aree più floride d’Europa. Ora il nostro senso di responsabilità deve portarci a ridimensionare lo Stato, che deve abbandonare tanti settori (a partire dall’educazione) e ridare dignità a una società che vuole essere attiva, e non oggetto passivo di decreti amministrativi.
Bisogna quindi riscoprire la sussidiarietà detta “orizzontale”, che antepone la concretezza dei rapporti sociali alle logiche della politica, ma anche quella “verticale”, che privilegia il Comune rispetto alla Regione, e la Regione rispetto allo Stato centrale. Nel corso del disastro abbiamo visto che Codogno è Codogno, Bergamo è Bergamo. Lì ci sono i nostri mondi vitali e lì ci sono ferite che verranno rimarginate solo tra molti anni. A questo punto per sperare in una rinascita, pur tra parecchi anni, è necessario affrancarsi dall’arroganza del potere.
In queste settimane abbiamo constatato quanto sia stato assurdo adottare le stesse regole e le stesse misure ovunque. Si è subito trattato l’Abruzzo come se fosse la Lombardia orientale, si è impedito di lavorare a Matera come a Bergamo (anche se le situazioni non erano paragonabili).
L’ottusità di un dominio anonimo che trasforma ogni luogo in una periferia non ha avuto il minimo scrupolo dinanzi a scelte che – lo si sapeva – avrebbero causato danni profondi che dureranno nel tempo. A questo punto nessuno deve esigere aiuti o privilegi. Si deve pretendere solo più libertà.
Foto Ansa
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