A Tel Aviv dopo l’annuncio della tregua. «L’incubo non è finito, ma s’è accesa una luce»

Di Giancarlo Giojelli
17 Gennaio 2025
Speranze e timori dei parenti degli ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas. Il cessate il fuoco e lo scambio di prigionieri «si devono fare, ma ora si dovrà risolvere la questione della Striscia»
Le foto degli israeliani ancora nelle mani di Hamas esposte nella piazza degli Ostaggi a Tel Aviv (foto Giancarlo Giojelli)
Le foto degli israeliani ancora nelle mani di Hamas esposte nella piazza degli Ostaggi a Tel Aviv (foto Giancarlo Giojelli)

Oscillano mossi vento della sera di Tel Aviv i cartelli con le foto che ritraggono i volti dei 98 ostaggi, appesi a un albero come 2.600 anni fa le arpe degli ebrei esiliati a Babilonia. Su tutti i cartelli è segnata l’età del prigioniero al momento del rapimento, ma è stata cancellata da un tratto di penna e un anno è stato aggiunto. Per ognuno è il ricordo di un compleanno non festeggiato. Un piano suona e la musica fa eco nella piazza dove si riuniscono i parenti dei prigionieri di Hamas. Un tunnel di cemento e visori virtuali riproducono la realtà, tutt’altro che virtuale, che vivono da 468 giorni gli ostaggi.

Gli schermi dei televisori nella piazza rilanciano le notizie: l’annuncio della tregua, il calendario fissato per la progressiva liberazione dei primi 33 prigionieri, il rilascio di oltre mille palestinesi detenuti per terrorismo, alcuni dei quali hanno partecipato al massacro del 7 ottobre 2023. Il termine fissato per il cessate il fuoco e l’impegno al progressivo ritiro dei soldati israeliani da Gaza. Ogni dettaglio viene discusso, commentato, c’è chi spera, chi teme. La tregua stessa è sempre in discussione: già ieri il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è tornato ad accusare Hamas di avere rinnegato parte degli accordi, mentre Hamas smentisce e le trattative restano aperte.

«Non è il migliore degli accordi, ma è quello che abbiamo»

Il padre di Tamir Nimrodi, uno dei soldati prigionieri, scuote la testa: «Mio figlio è un militare, potrebbe essere uno degli ultimi a venir liberato. Aveva 19 anni il 7 ottobre del 2023, ora ne ha 20», e si interrompe, il pensiero traspare dal volto fermo come una pietra. «Vent’anni, se è ancora vivo».

Foto di israeliani in mano ad Hamas nella piazza degli Ostaggi di Tel Aviv (foto Giancarlo Giojelli)
Su tutti i cartelli è segnata l’età del prigioniero al momento del rapimento, ma è stata cancellata da un tratto di penna e un anno è stato aggiunto (foto Giancarlo Giojelli)

«Portateli a casa tutti», dicono alcuni ragazzi in lacrime dopo aver percorso il macabro tunnel. “Tutti”, ma l’accordo non parla di tutti, e nessuno sa dire quanti torneranno vivi o di quanti saranno restituiti solo i corpi. Daniel parla vicino al ritratto del nonno, Oded Lifshitz, il più anziano degli ostaggi, 83 anni il 7 ottobre, 84 ora. La moglie di Oded, Yocheved, rapita con lui da Hamas, 86 anni, era stata rilasciata dopo un mese: «Pensavano che sarei morta», ricorda a Tempi, «e sono stata la prima ad essere liberata. Ora vivo nella speranza di rivedere Oded, e per consegnare ai nostri nipoti la memoria di quanto è successo, nessuno deve dimenticare».

Il nipote Daniel non dimentica. «L’annuncio della tregua apre una speranza», dice. «Quando l’ho sentito è stato come se il cuore mi uscisse dal petto. Da 14 mesi le notti sono un incubo buio, quante ore ho passato a guardare gli orari dei voli tra Washington, Il Cairo, Doha, pensando che su quegli aerei potevano viaggiare i mediatori della tregua. L’incubo non è finito, ma qualcosa si è acceso in quel buio». Cosa la sostiene?, gli domandiamo. «Non sono solo. Con le famiglie degli altri ostaggi è nato un rapporto. Una amicizia. E sentiamo tanti nel mondo che ci sono vicini. Il prossimo presidente americano Trump ogni giorno parla di noi. Non è il migliore degli accordi, lo so bene, ma è quello che abbiamo. E su questo possiamo andare avanti. Dal momento del cessate il fuoco non moriranno più soldati israeliani, non moriranno più civili palestinesi, non moriranno più bambini. Ma non verserò una lacrima per i terroristi. Per loro no».

A Gaza grida di vittoria

A Gaza l’annuncio del cessate il fuoco è accolto con più gioia. «Torniamo a casa», dicono gli sfollati alle tv arabe. L’inviato di Al Jazeera durante la diretta si toglie l’elmetto e il giubbotto antiproiettile. Esulta agitando il microfono. «Abbiamo vinto!», dicono in molti. La tregua è vissuta come una vittoria anche da quanti non hanno più una casa dove tornare. Sperano nella ricostruzione. Non si domandano chi avrà il potere sulla Striscia, dopo la prima fase della tregua. È palese che Hamas cercherà di riorganizzarsi ed è altrettanto chiaro che Israele farà di tutto per impedirlo. La tregua su questo punto non dice nulla, il futuro di Gaza verrà discusso nella seconda fase delle trattative. Donald Trump sarà insediato e potrà dire con pieno potere la sua. Si delinea una forza di pace a guida araba, e l’Italia, attraverso il ministro degli Esteri Antonio Tajani, si è detta disposta a partecipare.

L’ingresso del tunnel di Hamas ricostruito nella piazza degli Ostaggi a Tel Aviv (foto Giancarlo Giojelli)
L’ingresso del tunnel di Hamas ricostruito nella piazza degli Ostaggi a Tel Aviv (foto Giancarlo Giojelli)

«Non potrà essere Mohammad Sinwar, il fratello di Yahya, ideatore del 7 ottobre ucciso dagli incursori israeliani, a comandare a Gaza, vorrebbe dire che il 7 ottobre ha vinto Hamas e che la tregua ha segnato il trionfo degli assassini. La leadership dei terroristi è stata decapitata, ma l’ideologia è viva», ci dice un ufficiale della intelligence israeliana. «La tregua si doveva fare, ma ora si dovrà risolvere la questione della Striscia».

Israele non lascerà la Striscia

Per l’Autorità nazionale palestinese c’è una sola soluzione: il controllo di Gaza affidato alle forze che governano la Cisgiordania, sia pure in accordo con Israele, sostenute da una coalizione internazionale. Ma Israele non si fida. Il controllo del corridoio che attraversa la Striscia non sarà abbandonato così rapidamente. Il ritiro totale dei soldati non avverrà. Nemmeno quando l’ultimo ostaggio sarà liberato.

Sui grattacieli avveniristici di Tel Aviv campeggia il numero dei giorni trascorsi dal 7 ottobre del 2023 e un fiocco giallo, il simbolo dei prigionieri. La data del 7 ottobre non sarà cancellata dalla storia di Israele da una tregua. Le macerie di Gaza forse saranno ricostruite ma resteranno tali nel cuore. Non basterà una generazione a cancellare l’orrore.

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