È una «culture war», una vera «battaglia culturale», quella che, secondo Antonio Polito, si sta combattendo in vista del referendum di Bologna sugli asili paritari di domenica prossima 26 maggio. E in questa battaglia sono scesi in campo anche due big della sinistra italiana come Stefano Rodotà e Romano Prodi. Su posizioni opposte però.
PRODI VS RODOTÀ. Già, perché, mentre Rodotà, che, come ricorda Polito oggi sul Corriere della Sera, presiede i promotori del referendum, chiede a gran voce di «mettere fine al contributo del Comune che va alle private», dimenticandosi, però, del beneficio economico che quel contributo reca alla collettività; Prodi, invece, si domanda «perché bocciare un accordo che ha funzionato bene per tanti anni e che ha permesso, con un modesto impiego di mezzi, di ampliare almeno un po’ il numero dei bambini ammessi alla scuola dell’infanzia», sollevando un argomento che, precisa Polito, «in un Paese meno avvelenato dalle dispute ideologiche e dai risentimenti (…) taglierebbe la testa al toro».
VALORI AL POSTO DI BAMBINI. Ma Rodotà e i promotori del referendum di Bologna, «dell’argomento di buon senso usato da Prodi», proprio «non sanno che farsene»; come dimostra anche il fatto che, continua Polito, «nella lettera pubblicata ieri dal Corriere (…) Rodotà non usa mai una volta la parola bambini. Preferisce concentrarsi sui principi, sui valori, sui diritti». Dando così adito al sospetto, già «esplicitato dal sindaco di Bologna Virginio Merola», che «questa consultazione sia usata come un grimaldello politico per fare male al Pd», trasformando, oltretutto, gli asili di Bologna in un «laboratorio per sperimentazioni della cosiddetta nuova sinistra, composta da Fiom, Sel e Movimento 5 Stelle».
A CHE PREZZO? L’abolizione dei finanziamenti alle materne dell’infanzia private paritarie sostenuta da Rodotà, però, comporterebbe la rinuncia a quel «modello suggerito da Aldo Moro durante i lavori della Costituente» e realizzato dalla legge Berlinguer del 2000 sulla parità scolastica, per cui «le scuole private sono solo quelle che restano fuori dal regime di applicazione della legge, e le altre sono a tutti gli effetti pubbliche». Secondo quell’idea «aperta» e «inclusiva» del pubblico, fatta propria, almeno in questa circostanza, anche da Prodi, «che accoglie sotto la tenda dell’interesse generale anche attività e iniziative dei privati e del non profit, forse anche in ragione di una concezione cristiana della centralità della persona».
CATTOLICI NO GRAZIE. L’«intransigenza» intrapresa da Rodotà, invece, secondo Polito, è «una via esclusiva, in cui lo Stato rappresenta il pubblico e tutto il resto deve restare fuori dal suo perimetro, più che mai se ha a che fare con la Chiesa», proprio come nel caso di molte delle scuole dell’infanzia convenzionate dal Comune che a Bologna sono gestite da privati e sono di ispirazione cattolica. Una posizione condivisa anche da Corrado Augias su Reubblica e tanti vip come Scamarcio e la Golino.
SCELTA DI LIBERTÀ. Senza contare poi che, in Italia, tutti i cittadini sono obbligati a versare le tasse. E, come ha ricordato oggi Vittorio Feltri su il Giornale, «con i proventi delle tasse si provvede ad alimentare la macchina complessa dello Stato, comprese le rotelle arrugginite dell’istruzione: dalla materna all’università. (…) Domanda rivolta a Stefano Rodotà: se io scelgo di iscrivere i miei figli a un istituto privato, e saldo la retta annuale fino all’ultimo centesimo, di fatto togliendomi dal carrozzone pubblico (statale o comunale), perché oltre a quell’istituto privato devo pagare anche la quota d’imposta relativa al funzionamento del carrozzone su cui ho rifiutato di salire? (…) La libertà d’istruzione non è tale se esercitandola in favore del settore privato sono tenuto a pagare non solo questo, ma anche quello pubblico».