
L’errore di chi abolisce i programmi di diversità e inclusione è averli introdotti

Mark Zuckerberg e Jeff Bezos hanno recentemente deciso di abbandonare i programmi di diversità, equità e inclusione (i famigerati Dei) nelle loro aziende (Meta e Amazon), e gran parte dei media commenta pigramente che è “l’effetto Trump”: la rielezione del presidente repubblicano, infatti, avrebbe spinto molti grandi gruppi americani a rivedere le loro posizioni su temi sensibili al politicamente corretto per evitare ritorsioni politiche e ingraziarsi la nuova amministrazione (sta succedendo sul clima, ad esempio, dove sempre più banche americane lasciano la coalizione per la sostenibilità ambientale, seguite, pochi giorni fa, anche da Black Rock). In realtà l’abbandono delle pratiche aziendali antidiscriminazione woke ha origini antecedenti al 5 novembre scorso.
Una tendenza iniziata ben prima di Zuckerberg
Come ha scritto Mattia Ferraresi proprio su Tempi di quello stesso mese, «non è stata una scoperta improvvisa, ma una tendenza che nel giro di pochi anni si è manifestata nelle grandi aziende e nelle università, i laboratori dove la precettistica sull’essere buoni, non discriminare il prossimo, non offendere la sua sensibilità identitaria e non usare altro pronome al di fuori di quello indicato nella bio hanno dato origine a nuove pratiche aziendali, training obbligatori, scelte strategiche, norme di comportamento».
Toyota, McDonald’s, i grandi magazzini Lowe’s, il produttore di macchinari agricoli John Deere, Bud Light, Harley Davidson, Brown Forman, Ford sono alcune delle grandi aziende ad essersi smarcate dalla corsa a chi è più politicamente corretto e inclusivo, chi riducendo il sostegno alle cause Lgbtq+, chi rivedendo il sistema di quote di assunzioni riservate alle minoranze, chi chiudendo i corsi obbligatori per i dipendenti in cui si insegna che l’uomo bianco è cattivo.
Lo hanno fatto prima della rielezione di Trump, intercettando un sentimento sempre più diffuso tra la gente, proprio quel sentimento che ha portato la maggior parte degli americani a riaffidarsi all’uomo che nel 2016 venne dipinto come una anomalia del sistema e che nel 2020 tutti pensavano di avere rimesso a cuccia. L’uomo che, secondo l’Economist, è semmai stato la causa dell’ascesa dei programmi Dei, usati come arma per combattere razzismo, misoginia, nazionalismo e xenofobia incarnati proprio da Trump.
La fuga delle aziende da diversità, equità e inclusione
Sarebbe ingenuo leggere nella fuga delle aziende dalla devozione alla triade “diversità, equità, inclusione” soltanto i segni di un ravvedimento morale: c’entra il mercato (molte aziende hanno iniziato a perdere clienti quando hanno spinto troppo sulla predicazione dei precetti antidiscriminatori); c’entra l’attivismo della galassia di conservatori che negli anni ha messo a nudo ipocrisie ed eccessi del progressismo inclusivo; c’entra la sentenza della Corte suprema che nel 2023 ha di fatto abolito la “affirmative action”, cioè il criterio di discriminazione “positiva” che permetteva alle minoranze svantaggiate di avere corsie preferenziali nell’accesso alle istituzioni; c’entrano i numerosi fallimenti di chi teorizzava la necessità di implementare i criteri Dei e poi cadeva sull’opacità dei finanziamenti ricevuti, sui “buchi” del proprio curriculum o faceva dichiarazioni discriminatorie.
La mossa di Zuckerberg sui Dei
Ma se è vero che la fuga dai Dei era cominciata da tempo, è innegabile che l’annuncio dell’ex grande alleato di Joe Biden, Mark Zuckerberg, abbia reso la faccenda molto più interessante. I media tradizionalmente a sinistra non avevano ancora finito di digerire l’addio al programma di fact-checking su Facebook e Instagram che ecco arrivare un nuovo scossone a quella che Brendan O’Neill su Spiked chiama «l’ideologia preferita dalle classi dirigenti». Meta non solo taglia i finanziamenti ai programmi Dei, ma osa persino togliere i distributori di assorbenti dai bagni degli uomini, andando a colpire uno dei pilastri del pensiero woke, quello secondo cui non esistono più uomini e donne ma generi fluidi, femmine col pene e “persone con le mestruazioni”.
E se grandi media e intellettuali piangono, esaltando chi “resiste”, come Apple, e paventando un futuro di razzismo e omofobia nelle aziende manco fossimo in una commedia di Lino Banfi degli anni Ottanta, c’è invece chi ride. Scrive O’Brien: «Naturalmente la classe culturale piangerà il regime instabile della Dei. Dopotutto, ne sono stati gli architetti e gli esecutori. Sia la loro influenza sociale che la loro ricchezza personale sono state rafforzate da questa ideologia insidiosa che li ha autorizzati a rieducare i grandi ignoranti nei dettagli più fini del pensiero razziale corretto. Ma sapete chi non lo piangerà? La classe operaia. Per loro, questo dogma velenoso non è mai stato altro che un sistema patrizio di istruzione morale che ha ridotto la loro influenza sul posto di lavoro e li ha divisi dai loro colleghi».
Così i Dei hanno diviso i lavoratori
Già, perché in nome dell’accoglienza delle differenze e della volontà di creare spazi in cui nessuno si senta discriminato i programmi Dei hanno creato divisioni e intolleranze nei confronti di chiunque avesse idee “diverse”, separando tra loro i lavoratori in base alla minoranza d’appartenenza. Il sistema Dei «è uno dei più grandi trucchi che il capitalismo abbia mai giocato ai lavoratori. Nel dare alle élite delle risorse umane il potere di fare la predica ai dipendenti sui loro “privilegi” e sulla loro “supremazia interiorizzata”, ha capovolto completamente la realtà. I salariati sono stati dipinti come i “privilegiati”, mentre l’establishment delle risorse umane è stato reimmaginato come il grande difensore degli “oppressi”».
Tutto questo non ha retto all’urto della democrazia, che infatti nella narrazione dei sostenitori delle pratiche Dei è costantemente “in pericolo” a meno che a governare non ci siano loro. Zuckerberg e gli altri non sono diventati improvvisamente buoni, hanno i loro interessi e i loro tornaconti a cambiare politiche aziendali – esattamente come li avevano prima quando facevano i paladini del woke e della censura. Ma l’inizio della fine di un sistema che, soprattutto in America e Regno Unito, ha diviso le persone tra buoni e cattivi invece di renderle solidali tra loro, non può che essere una buona notizia. L’errore di chi abbandona i programmi di Diversità, equità e inclusione è uno solo: averli introdotti.
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