Why not, le motivazioni con cui i giudici bocciano la tesi De Magistris. «Nessuna prova»

Di Chiara Rizzo
24 Gennaio 2013
Depositata ieri la sentenza di primo grado ai 26 imputati che hanno scelto il rito ordinario. Per i giudici: «Non c'è prova di un accordo elettorale» con l'imprenditore Saladino

Ieri pomeriggio sono state depositate le 150 pagine di motivazioni della sentenza di primo grado del caso Why Not, emessa lo scorso 31 luglio a 26 imputati. Il processo nasce dall’inchiesta condotta nel 2007 dall’allora pm di Catanzaro Luigi De Magistris, su una presunta rete di favoritismi locali ad imprenditori locali, tra cui Antonio Saladino, allora  presidente della Cdo Calabria, e agenzie di formazione (Why not era un’agenzia interinale), che coinvolgeva politici di spicco del centrosinistra nazionale, compresi gli allora premier Romano Prodi e il guardasigilli Clemente Mastella: proprio per questi fatti cadde il governo nel 2008.

Ora le motivazioni della sentenza di primo grado, per i 26 imputati che hanno scelto il rito ordinario, demoliscono alcune tesi dell’accusatore De Magistris che, proprio dopo aver lanciato quest’inchiesta, si è avviato alla carriera politica.

NESSUNA PROVA. Secondo l’ipotesi accusatoria, gli imprenditori Saladino e A. G. (attivo nella grande distribuzione, e giudicato con il rito ordinario) avrebbero stipulato un accordo illecito con il Governatore della Calabria Agazio Loiero per le elezioni regionali del 2005: un finanziamento da parte degli imprenditori della campagna elettorale, in cambio di provvedimenti favorevoli ai loro interessi. L’ipotesi non aveva già trovato riscontri per Saladino; mentre per A. G. si ipotizzava che Nicola Adamo avesse preparato un emendamento ad hoc che lo favorisse nella grande distribuzione. Ma i giudici di primo grado (presidente Antonio Battaglia, a latere Adriana Pezzo e Giovanna Mastroianni) hanno, tra le altre cose, contraddetto questa ricostruzione dei pm: «All’esito dell’istruttoria dibattimentale – si legge nelle motivazioni depositate ieri – non è stata raggiunta la prova della penale responsabilità degli imputati [A. G. e Adamo, ndr]».

Ma non mancherebbero solo i riscontri fattuali alle accuse. Secondo i giudici «non è stato acquisito alcun elemento idoneo a ricostruire in coerente e logica successione la concatenazione degli eventi, che, secondo la prospettazione accusatoria, costituiscono i vari passaggi dell’illecita operazione di scambio».

LOIERO E ALADINO. I giudici hanno bacchettato severamente l’intero impianto di Why not, anche per ciò che riguarda Loiero e Saladino: «Non è possibile individuare neppure larvatamente alcun atto o provvedimento emanato personalmente dal soggetto politico o comunque da quello ispirato o determinato o a lui riconducibile volto a favorire gli interessi imprenditoriali del Saladino o di A. G.». Nello specifico, rispetto all’emendamento attribuito ad Adamo e che si presupponeva in favore di A. G., hanno concluso: «L’emendamento normativo indicato in imputazione non è attribuibile all’onorevole Adamo, né può in qualche modo a lui ricondursi, ancora meno può considerarsi il corrispettivo del presunto finanziamento della campagna elettorale di Loiero».

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