Il Mondiale di Weghorst, l’attaccante olandese che non doveva fare l’attaccante

Di Andrea Romano
25 Novembre 2022
Scoordinato, con poca tecnica, troppo riservato per piacere. Storia di un ragazzo testardo che è riuscito a fare quello che tutti gli dicevano non sarebbe mai riuscito a fare
Weghorst Paesi Bassi Mondiale Qatar
Wout Weghorst festeggia con i compagni la vittoria in Nations League contro il Galles lo scorso 8 giugno (foto Ansa)

Wout Weghorst si è reso conto molto presto che la Natura non gli aveva regalato il talento che desiderava. Lui che sognava un paio di piedi morbidi come il velluto, si è ritrovato invece con un’ostinazione più inscalfibile della pietra. La presa di coscienza è stata sconfortante. Ma col tempo ha capito che avrebbe potuto raggiungere il suo obiettivo anche in un altro modo. Perché in quegli interminabili pomeriggi passati a Borne, cittadina da ventimila abitanti a due passi dal confine con la Germania, il ragazzo non fa altro che ripetere che sarebbe diventato un calciatore professionista. Solo che a chi gli sta vicino basta uno sguardo per convincersi immediatamente del contrario.

Sempre rifiutato dalle scuole calcio

Wout è scoordinato e non ha una tecnica di base. E quel fisico alto e allampanato gli conferisce un aspetto ancora più goffo e sgraziato. I suoi provini con le scuole calcio olandesi vanno a finire tutti nello stesso modo, con un rifiuto. Il ragazzo non rientra nei parametri del metodo Tips, adottato un po’ ovunque nel Paese. Le valutazioni sono spietate. Secondo i criteri di valutazione Tips, Weghorst possiede una tecnica da 4, una visione e una velocità da 5, e una personalità da 10. La media è da sufficienza, ma non basta certo per emergere. Wout viene considerato quasi un freak, un attaccante inconciliabile con l’idea di calcio totale.

Col tempo i suoi genitori iniziano a preoccuparsi. Gli ripetono di mettere la testa a posto, di lasciar perdere quei suoi vagheggiamenti. I suoi fratelli hanno occupazioni vere, lavori remunerativi. Uno è diventato pilota, l’altro architetto, il terzo presta servizio nell’impresa di famiglia, una piccola catena di stazioni di servizio. E lui avrebbe dovuto fare altrettanto. Tutta quell’insistenza lo fa innervosire. Perché lui ha finalmente trovato spazio nella squadra locale, il Neo. È un club amatoriale, ma Wout vive quell’avventura come un professionista. Non festeggia le vittorie, non esce la sera prima della partita, si allena ogni santo giorno. Sotto la neve gelida, sotto il sole pallido dell’Olanda.

Un Ibrahimovic senza il talento di Ibrahimovic

La storia cambia a 19 anni, quando Wout trova un ingaggio nel DETO Twenterand, quarta serie del calcio olandese. Non è molto, ma è pur sempre un passo in avanti. Nella prima stagione arriva in doppia cifra, così l’Heracles di Peter Bosz gli offre un provino. Il passo si rivela troppo lungo. Anche per una punta alta 197 centimetri. Gli altri giocatori si muovono troppo velocemente per lui, i ritmi sono troppo alti. Così lo hanno ringraziato e lo hanno salutato. Di nuovo. Il suo sogno riparte dall’Emmen, in seconda divisione, proprio quando lui è quasi rassegnato ad ascoltare tutte quelle persone che gli ripetono di smettere. Gli studi diventano il suo paracadute. Va avanti sui libri, prima di economia aziendale, poi di giornalismo. Anche se quando va in campo continua a sudare e lottare. La fissazione per le sue prestazioni lo porta a litigare con tutti: compagni, avversari, allenatori, arbitri. Chi non ha la sua determinazione diventa automaticamente suo nemico.

Così in poco tempo Wout si trasforma in un Ibrahimovic senza il talento di Ibrahimovic. La svolta arriva nel 2014. L’Heracles Almelo, che lo aveva scartato, lo riprende. Subito dopo la firma Weghorst alza il telefono e mette sotto contratto un nutrizionista, un maestro di yoga, uno psicologo e un personal trainer. L’aspirante calciatore si era fatto impresa. In poco tempo mette su 7 chili di muscoli. E tutto inizia a cambiare. In due anni l’Heracles segna 22 reti, trascinando la squadra in Europa. Poi passa all’AZ Alkmaar, dove in due stagioni va in rete addirittura 35 volte. Chi lo ved da fuori lo considera algido, quasi anaffettivo.

La casa di cura e il Wolfsburg

In verità Wout è semplicemente riservato. Un giorno vede un programma che racconta la solitudine delle persone anziane, così si presenta in una casa di cura e chiede se poteva dare una mano in qualche modo. Torna tutte le settimane, per passeggiare un paio d’ore con un anziano. Va avanti così per mesi, fino a quando il suo amico non si spegne lasciandolo nello sconforto. La vita di Wout sarebbe cambiata poco dopo. Nel 2018 si trasferisce a Wolfsburg. Solo che i tifosi non sono esattamente entusiasti. Ma per ricredersi non ci mettono molto. Weghorst inizia a segnare un gol dietro l’altro.

Nella sua prima stagione arriva a 17, praticamente uno ogni due partite. «Io sono estremamente ambizioso – dice al sito della Bundesliga – qui mi rispettano molto, mentre in Olanda non è stato sempre così. Non è stato facile perché c’era sempre qualcuno che dubitava di me e parlava a sproposito». Nelle due stagioni successive segna rispettivamente 16 e 20 gol, alternando reti importanti a errori grotteschi, come i due rigori sbagliati scivolando al momento del tiro (contro il Lipsia in Coppa di Germania e contro lo Shakhtar Dontesk in Europa League). Lo scorso gennaio finisce al Burnley, in Premier Legaue. Qualche tempo prima The Athletic lo aveva definito la risposta più alta e fisica a Jamie Vardy. Solo che il due hanno un fiuto del gol molto diverso.

Il Besiktas e la convocazione di Van Gaal

All’inizio Sean Dyche, l’allenatore del club, è entusiasta. «Ha grandi qualità – dice – apprezzo il modo in cui gioca e il modo in cui fa giocare gli altri. Ha una vera etica di squadra». Le prime prestazioni sono incoraggianti, la gara conto lo United addirittura impressionante. Poi qualcosa si rompe. Wout segna appena due gol, nelle ultime partite parte sempre dalla panchina. Quando il club retrocede lui afferma chiaramente che non giocherà neanche un minuto in Championship. Così saluta e vola in Turchia, al Besiktas. Ora Van Gaal lo ha portato al Mondiale, ma senza puntarci troppo. Contro il Senegal è rimasto a guardare i compagni dalla panchina. Ma già solo il fatto di esserci è un successo per un ragazzo che per tutti non avrebbe mai fatto l’attaccante.

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