Allah e tacchetti. L’islamismo in Francia si prende anche il calcio

Di Mauro Zanon
24 Gennaio 2024
Un libro di un ex funzionario al ministero dello Sport racconta come il proselitismo islamista abbia messo radici anche nello sport. Con conseguenze terribili. Le società "separatiste" sono già oltre 120
Calcio Francia Islamismo

Parigi. In un video pubblicato su TikTok lo scorso 6 gennaio, Adel, calciatore francese di confessione musulmana, ha spiegato ai suoi 780mila abbonati le regole rigoriste a cui dovrà piegarsi la sua futura moglie, sia all’interno delle mura domestiche, sia all’esterno. Adel è soltanto uno degli 11mila sportivi che si allenano nelle centoventidue società sportive “separatiste” recensite da Médéric Chapitaux nel suo ultimo libro, Quand l’islamisme pénètre le sport, Quando l’islamismo penetra nello sport (Puf).

Ex gendarme e funzionario al ministero dello Sport francese, specializzato negli sport di combattimento, Chapitaux per anni ha parlato con numerosi presidenti, educatori e professionisti e ha potuto consultare alcuni documenti confidenziali dell’intelligence francese che mostrano fino a che punto il proselitismo islamista abbia messo radici anche nello sport, a partire dal calcio. Dentro le porte degli spogliatoi, tra preghiere prima della partita e nudità vietate, e nelle palestre, dove alcol e carne sono proibiti: un fenomeno preoccupante e difficile da quantificare.

L’islamismo penetra nel calcio in Francia

«L’islamismo ha iniziato a penetrare nel calcio dilettantistico perché è un luogo meno controllato, meno visibile e quindi più facile da raggiungere per l’ideologia islamista. Coloro che rivendicano questo entrismo nello sport professionistico sono personaggi consapevoli che la loro notorietà provocherà entusiasmo da parte di alcuni e ostilità da parte di altri – anche le polemiche aiutano a veicolare questa ideologia estremista. Tuttavia, il pericolo è soprattutto nel calcio dilettantistico, dove l’individuo può agire nella più completa impunità, anche se ci sono funzionari del ministero dello Sport incaricati di monitorare la radicalizzazione», ha spiegato al Figaro Médéric Chapitaux.

Quello di Karim Benzema, ex attaccante del Real Madrid e della Nazionale francese, accusato persino dal ministro dell’Interno Gérald Darmanin di complicità ideologica con i Fratelli musulmani, è il caso più emblematico di giocatore famoso che sfrutta la propria celebrità per far passare messaggi ambigui, contrari ai valori della République. Senza dimenticare il recente affaire Atal, dal nome del terzino algerino e del Ogc Nizza Youcef Atal che, cinque giorni dopo gli attacchi di Hamas contro Israele, ha pubblicato un video del predicatore islamista palestinese Mahmoud al-Hasanatm, in cui quest’ultimo invitava Allah a far passare «una giornata nera agli ebrei» e ad «accompagnare la mano» degli abitanti di Gaza se «scagliano la pietra».

Così l’islamismo entra nello sport dilettantistico

Ma la situazione nello sport dilettantistico è ancora più preoccupante. «Nel mio libro individuo cinque fasi: permissivismo, ritiro dalla comunità, separatismo, radicalizzazione e, infine, l’atto terroristico. Nel caso del calcio dilettantistico, l’ideologia islamista può essere veicolata da persone influenti, che lanciano frecciatine qua e là e poi misurano l’approvazione che generano. Ad esempio, in un club giovanile, i membri reciteranno automaticamente la preghiera nello spogliatoio o in campo, o saranno costretti a fare la doccia con i vestiti addosso in nome del pudore e della religiosità. Alcool, carne di maiale, ecc. sono vietati», spiega l’ex funzionario del ministero dello Sport.

«Non appena i membri del club non hanno più la possibilità di scegliere, entriamo in una logica separatista», continua Chapitaux. «I membri devono adattarsi al club, alla religione invece che alle regole della République». Dal 2016, l’articolo 1 dello statuto della Federazione francese di calcio impone il principio di neutralità. Ma non è semplice farlo rispettare, soprattuto in quelle zone dove la pressione dell’islam politico è molto forte. «Talvolta sono i dirigenti o gli educatori che contribuiscono a questa ideologia comunitarista nella pratica sportiva», sottolinea Chapitaux.

Il legame tra sport di combattimento e terrorismo

Accanto al calcio, è nelle palestre e nelle sale dove si praticano sport di combattimento, boxe, lotta libera, che il radicalismo islamista fa sempre più proseliti. Abdoullakh Anzorov, il giovane jihadista ceceno che ha assassinato il professore di storia e geografia Samuel Paty, si allenava in un club di lotta libera a Tolosa, cosi come i terroristi di Madrid del 2004. «Secondo un responsabile dei servizi segreti, gran parte degli autori degli attacchi terroristici in Francia e in Europa negli ultimi anni sono passati dai club di sport e di combattimento», dice Chapitaux. Il suo è un invito al sussulto, a contrastare un fenomeno che rischia di diventare incontrollabile, allargando la legge del 2004 che vieta l’esibizione di simboli religiosi a scuola anche allo sport: «Non si può trascurare un tale denominatore comune».

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