«C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe» (Lc.19/20)
«È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire e educare i figli, anche se fuori dal matrimonio»: l’art. 30 della Costituzione è di una chiarezza estrema, infatti non solo riconosce ai genitori il diritto, ma detta loro anche l’obbligo di attendere compiutamente ai propri figli. Ma questo articolo della Carta Costituzionale non è rispettato. Le famiglie sono discriminate in virtù delle loro scelte scolastiche. La “parabola evangelica” ci aiuta nell’identificazione dello Stato nel “ricco Epulone”, e quella delle “scuole non statali paritarie e delle famiglie ad esse aggregate” in Lazzaro, supplichevoli in attesa delle elemosine di uno Stato inconcludente e in adempiente. Non possiamo fare altro che limitarci ad un consolatorio e amaro “non ci resta che piangere”! Lo Stato quando dà qualche briciola, è anche attento a riprendersela subito dopo, o quanto meno, a farcela andare di traverso.
Siamo chiari: il sistema di istruzione nel nostro Paese è un sistema governativo, costruito a partire dagli interessi e dagli assetti istituzionali e organizzativi della pubblica istruzione, e soltanto a parole dice di attendere ai diritti dell’utenza, dei cittadini singoli e associati. C’è il diritto della persona all’educazione, all’istruzione e allo studio. C’è la responsabilità dei genitori e delle famiglie, a cui compete il dovere e il diritto di mantenere, istruire e educare i figli.
Istruire e educare significa avere la possibilità – o meglio il diritto – di scegliere fini, tempi, strumenti e mezzi, quali modalità concrete per esercitare questa responsabilità; ne consegue la dovuta libertà di scegliere la scuola a cui indirizzare i propri figli; questa libertà, che è alla radice del senso di responsabilità, non è rispettata a causa delle condizioni di ordine culturale ed economico che ne impediscono l’esercizio. Solo mettendo in primo piano persona e famiglia, si può superare il concetto di un sistema educativo/formativo scolastico rigido, ingiustamente ed improduttivamente impostato su un cetralismo istituzionale anacronistico nel contesto sociale attuale.
Cresce il numero dei genitori che intenderebbero esercitare il loro diritto di scegliere una scuola diversa da quella statale. La richiesta di una “parità autentica”, cioè una “concreta pari dignità” e una “doverosa equipollenza economica”, è una questione che toccando la scuola fa riferimento al fondamento stesso della società: la famiglia. Ne consegue che i beneficiari della “pari disgnità” non sono gli Enti Gestori: sono le famiglie. Riconoscerle copiutamente è una questione di giustizia sociale e di rispetto dei diritti di ognuno e di tutti. Il sostegno per coloro che frequantano scuole non statali, cosiddette paritarie, va ritenuto doveroso, derivando, allo Stato, l’onere finanziario per assicurare al cittadino la gratuità dell’obbligo scolastico e del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, dal’innegabile diritto costituzionale che egli ha per il fatto stesso di essere nato e non per il fatto di frequentare o meno una scuola dello Stato. Ma non solo: si tratta dell’assolvimento da parte dello Stato degli obblighi costituzionali derivanti dal combinato disposto dall’art. 34 della Costituzione.
La libertà di educazione e di insegnamento sono ancorati sui seguenti princìpi portanti: la “persona umana” è e deve essere il principio, il soggetto e il fine di tutte e istituzioni: la “famiglia” è, per diritto e dovere naturali, il luogo primario dell’educazione; lo Stato deriva tutto il suo valore, la sua autorità e i suoi limiti, nell’operare per il bene della persona, cioè nell’assicurare a tutti, tutte quelle condizioni sociali che consentano e favoriscano negli esseri umani il loro sviluppo integrale.
La Repubblica italiana riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Ne consegue che la stessa qualificazione legislativa di scuole pubbliche paritarie – cioè con riconoscimento concreto e totale della pari dignità – giustifica la legittima aspettativa non solo di ottenere leggi che assicurino l’esercizio e il rispetto di tale “dignità”, ma anche condizioni economiche che assicurino l’utenza nel suo diritto di scelta.
Spesso, troppo spesso, si dimentica, o meglio, si vuole dimenticare, facendo illecita confusione, che il diritto positivo non è delle scuole ma del cittadino che non solo deve essere considerato “uguale”, ma deve poter usufruire di quella equipollenza economica che lo rende “uguale di fatto” e non soltanto sulla carta. Il cittadno ha diritto alla scuola dell’obbligo gratuita. Ha diritto al prosieguo degli studi con tutte le agevolazioni possibili e necessarie di carattere economico. Ha diritto all’istruzione e all’educazione, nel rispetto delle proprie responsabilità, che per quanto riguarda gli alunni delle scuole materne, primarie e secondarie di secondo grado, ricade sui genitori. E se portatore di handicap, ha diritto all’insegnante di sostegno indipendentemente dalla scelta della scuola. Non è compito dello Stato sindacare sulle scelte educative dei genitori e sulle loro responsabilità. Le ipotesi di limitatissimo sostegno che vengono annunciate nell’ambito del diritto allo studio, restano ipotesi inique. Se l’istruzione è, oltre che diritto individuale, anche “bene pubblico”, è illegittimo limitare tale libertà introducendo ragioni di disparità economiche.
In quest’ottica si pone anche la strumentale denuncia della “presunta” ricchezza di chi va alla scuola non statale. A parte il fatto che sono molte le famiglie che con grandi sacrifici scelgono o sono aiutate nella scelta di questo tipo di scuola, ci si chiede perché non si guarda la gratuità concessa a tutti quei benestanti che scelgono la scuola statale: hanno diritto alla gratuità solo perché scelgono questo tipo di scuola? È evidente che i genitori e le famiglie meno abbienti vengono vergognosamente discriminati, mentre i genitori e le famiglie con grandi mezzi economici vengono indebitamente privilegiati. Che strana democrazia!
Come cittadini cosa chiediamo? Semplice: vogliamo una autentica autonomia della scuola – non un semplice decentramento – in cui si possa operare liberamente in termini culturali, programmatici, didattici, organizzativi: vogliamo una “scuola libera”; vogliamo il riconoscimento della “pari dignità” della scuola non statale con quella statale; vogliamo che quanto lo Stato raccoglie per l’istruzione attraverso le imposizioni fiscali (imposizioni che coinvolgono tutti i cittadini indistintamente) venga egualmente distribuito ai cittadini medesimi con equità e giustizia, rimuovendo per tutti i condizionamenti economici che attualmente determinano disparità e discriminazioni tra membri dello stesso Stato. È questa la “parità” che noi cittadini vogliamo: una pari dignità personale e istituzionale che è sinonimo di libertà e di uguaglianza. Va riconosciuta a genitori e famiglie la loro responsabilità educativa e condizioni di pari dignità e di uguaglianza nella scelta della scuola.
Vogliamo che lo Stato italiano superi l’attuale convinzione illiberale ed antidemocratica dal sapore chiaramente ipocrito, teso a far intendere – come già ebbe a fare il ministero, in occasione del “ricorso” all’Ue da parte dell’Agesc nel 1998 – che nel nostro Paese la libera scelta scolastica è possibile, tuttavia subdolamente tralasciando di dire che detta libertà è profondamente inquinata dal condizionamento economico, che ne rende di fatto impossibile, o comunque fortemente limitato, l’esercizio. Soprattutto vogliamo che abbia a cancellare il “falso ideologico” e la scorretta informazione a livello europeo, secondo la quale nel nostro Paese “le famiglie godono di una libertà completa di scelta in materia di istruzione e sono libere di impartire l’educazione ai propri figli in scuole statali, in scuole private e a domicilio”, e che nonostante “questa totale libertà, la maggioranza delle famiglie sceglie la scuola pubblica statale”.
Non è lecito sostenere la negazione di contributi alle scuole non statali paritarie dicendo che le scuole non hanno alcun diritto di pretendere il sostegno economico, ma che comunque lo Stato se vuole, e solo se vuole, può disporne l’erogazione. La scorrettezza sta nel non dire che il diritto al sostegno economico è indubitabilmente del cittadino, dei genitori e delle famiglie, in un contesto di paritaria considerazione riservata a coloro che scelgono la scuola statale. Quindi la doverosa ricerca di modalità amministrative che consentano il superamento della inadempienza statuale nei loro confronti.
Concludo con una chiarificazione di Luigi Negri: «Al totalitarismo laicista va contrapposta la priorità della persona umana alla società; la priorità della società allo Stato. A quest’ultimo va negata ogni soggettività “etica” e quindi ogni principio di totalizzazione della vita personale e sociale, assegnandogli invece compiti di regolazione e promozione della libertà della società» (Ripensare la modernità, Ed. Cantagalli, Siena).
Giornalista, Socio Fondatore Associazione Genitori Scuole Cattoliche
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