Così l’utopia della civilizzazione ci sta preparando un posto nel letamaio della Storia
Dove nascondere una foglia se non in un bosco? In un poco conosciuto racconto di Chesterton ripubblicato anni fa da questo giornale, si narra di un generale che per nascondere un omicidio promuove una guerra. Stiamo celebrando il centenario della Prima Guerra Mondiale. «Inutile strage», come la definì papa Benedetto XV, che provocò 16 milioni di morti. Per il grande storico François Fejtö si trattò allora di nascondere nel bosco di un grande macello l’obiettivo (la foglia) dell’eliminazione dell’impero austro-ungarico. Che da vecchio e acciaccato erede dell’Europa cristiana, resisteva all’utopia massonico-illuminista del “Progresso”.
Ma la vita umana, la vita di un uomo e di 16 milioni di esseri umani, possiede un senso e uno scopo oltre il “Progresso”?
L’utopia del Progresso nega ogni libertà della creatura in rapporto al suo Creatore, l’Eterno, Dio; trasferisce l’eterno nel tempo, ha come idolo la scienza, come strumento la violenza, come fede il futuro. Progresso è anche sinonimo di civilizzazione e l’utopia del califfato mondiale islamico sembra in contrasto con questa visione. In realtà, non soltanto il jihadista si nutre delle stesse piattaforme (digitali, geopolitiche, finanziarie, armi) che fanno da tessuto connettivo a tutte le rivoluzioni postmoderne, ma è un altro aspetto della medesima civilizzazione che genera funzioni e ombre.
Nikolaj Berdjaev, grande filosofo russo di inizio Novecento che cominciò l’attività intellettuale abbracciando il marxismo e finì cacciato in esilio da Lenin perché grazie all’incontro con Solov’ev passò al realismo religioso, ci ha profetizzato fin dal 1922 il nostro destino. «Civilizzazione significa che ogni istante, ogni esperienza, è soltanto un mezzo per accelerare i processi della vita lanciati verso una cattiva infinità, è rivolto all’onnivoro vampiro del futuro, di una futura potenza e una futura felicità. Il “borghesismo” è esattamente il regno civilizzato di questo mondo, la volontà civilizzata di potenza organizzata e di godimento di vita che non ama l’eternità».
Tanti anni fa, in un sobborgo di Gerusalemme, chi scrive si imbatté in una vecchissima suora cattolica che con altre consorelle reggeva un asilo frequentato quasi solo da musulmani. «Da bambina, quando per la prima volta vidi un cadavere, pensai: “Ma se questa è la vita, perché aspettare la morte e non darsi subito a Dio?”. Ed entrai in convento da bambina». Tutto il mondo distratto si lascia civilizzare per finire nel letamaio della “Storia”. Tutte le chiese parlano di Dio con la bonarietà e l’abitudinarietà della dimenticanza. E frustrati come sono dall’utopia civilizzata che li sovrasta, uomini e donne di tutte le chiese sempre più spesso trovano uno scopo alla loro vita (oltre che un onesto mestiere e uno stipendio) nell’assecondare lo spirito borghese. Anch’essi non sono che funzioni e ombre della civilizzazione. Mentre tu capisci che risorge l’uomo reale in chi vede che ogni cosa è intrisa di morte e agisce facendosi sovrastare dalla ricerca di Dio.
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4 commenti
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A proposito del bosco. Marino stava per dimettersi, ed ecco che scatta una inchiesta che pare rafforzarlo. Sento puzza di zolfo.
Molto bello.
Vero
Avevo già letto e apprezzato l’editoriale nell’edizione cartacea. La ringrazio per ogni rigo. Ma perché in tv nessuno va a dire queste cose, a parlare così? Ah, già! Il progresso! E fossero solo i media! “Tutte le chiese parlano di Dio con la bonarietà e l’abitudinarietà della dimenticanza.” E spesso, i preti che vanno nei salotti-tv non fanno di meglio.