
Ustica. La verità sulla strage ve la racconta un dossier di Tempi del 2000
La strage di Ustica avvenne a causa di un missile e non di una esplosione interna al Dc9 Itavia con 81 persone a bordo, e lo Stato deve risarcire i familiari delle vittime per non aver garantito, con sufficienti controlli dei radar civili e militari, la sicurezza dei cieli. Lo sottolinea la Cassazione in sede civile nella prima sentenza definitiva di condanna al risarcimento.
Su Ustica pende anche un altro processo. Nelle 200 pagine della sentenza depositata il 21 settembre scorso in cui si motivano le ragioni della condanna inflitta ai ministeri della Difesa e dei Trasporti italiani a risarcire 100 milioni di euro alle famiglie delle 81 vittime – 77 passeggeri e 4 membri d’equipaggio – della strage di Ustica (il Dc9 che si inabissò il 27 giugno 1980), il giudice palermitano Paola Proto Pisani ha sostenuto di essere pervenuta alla certezza che l’aereo non venne abbattuto da una bomba collocata a bordo dell’aereo, ma da un missile o da una “quasi collisione”.
I responsabili? La sentenza non lo dice. Ma afferma che la tragedia è imputabile a tre aerei militari (due caccia e un altro velivolo) di nazionalità sconosciuta, che quella stessa sera erano impegnati in un’azione di guerra. Si condannano i ministeri della Difesa e Trasporti italiani perché, a detta del giudice Pisani, essi non fecero nulla di quanto fosse in loro potere di fare per evitare il disastro e, anzi, compirono successive azioni di depistaggio.
Curiosamente, la “sentenza Pisani” sembra combaciare alla perfezione con la ricostruzione del caso Ustica che fece Tempi nel settembre del 2000, dunque precedente di ben 11 anni il recente pronunciamento della corte palermitana.
Con una piccola differenza: da oltre dieci anni Tempi crede di conoscere i nomi dei missili, i tracciati e la nazionalità del caccia che hanno abbattuto il Dc9 Itavia la sera del 20 giugno 1980. Informazioni che riproponiamo qui di seguito, tratte dalle conclusioni dell’inchiesta di Paul Marshall per Tempi (Tempi n°36-37 e successivi nel settembre 2000).
Ecco di seguito un estratto dell’inchiesta. Sono le conclusioni cui arrivò Tempi:
27 giugno 1980, ore 20,59
Gli elementi per valutare l’accaduto oramai ci sono tutti: in un perdiodo di grande tensione tra Libia, da una parte, e Malta e Italia, dall’altra, una sera un Dc9 Itavia precipita misteriosamente. Accanto ad esso, poco prima dell’incidente, volava un MiG libico, partito da una base italiana in Sardegna e dotato di un’apparecchiatura aerotrasportata per la guerra elettronica che lo rende di difficile individuazione ai radar militari italiani affacciati sul tirreno. I-Tigi però non doveva essere a quell’ora in quel punto del cielo, doveva essere a terra a Palermo, in quel punto doveva invece trovarsi un velivolo dell’Air Malta, di cui le autorità libiche conoscevano perfettamente la rotta in quanto all’epoca la torre di controllo dell’aeroporto di La Valletta era gestita da personale libico. Sapendo che a quell’ora in quel punto doveva trovarsi l’Air Malta, il MiG, dopo qualche istante di volo parallelo, si porto’ in posizione di attacco e sparo’ una coppia di missili, senza preoccuparsi di procedere al riconoscimento visivo del bersaglio (che avrebbe certamente messo in allarme il personale di volo della Dc9) – probabilmente si trattava di due missili AA2 (codice Nato Atoll), versione a guida radar semiattiva, in dotazione ai Mig del Patto di Varsavia. Il pilota del MiG, all’imbrunire e con il sole alle spalle, vedeva solo il riflesso prodotto dalla struttura dell’aereo, prosegui’ fino ad intersecare la rotta della sua preda, e probabilmente solo a quel punto si rese conto di avere colpito il Dc9 Itavia invece del Boeing Air Malta. Ma era ormai troppo tardi. Il velivolo italiano, senza motori che erano stati messi fuori uso dall’esplosione delle testate di guerra dei missili, con l’ala sinistra devastata, un grosso squarcio nella fusoliera, senza energia elettrica e servocomandi, tentò un ammaraggio, ma il tentativo falli’. Il tutto sotto gli occhi dei radar italiani. Nel frattempo il MiG libico si diresse verso la Sila, dove fece perdere le sue traccie (anche se a questo punto è d’obbligo riportare che nell’inchiesta sul ritrovamento del famoso MiG 23 libico sulla Sila, una serie di testimoni dichiararono che la sera del 27 giugno, subito dopo il tramonto, videro un aereo militare volare a bassissima quota inseguito da altri due caccia che “sputavano fuoco”, cioe’ stavano sparando…).
Un problema di (cattiva) coscienza…
La difesa aerea e gli alleati dell’Italia avevano visto tutto, nel giro di qualche ora riesaminarono i dati radar che erano stati registrati, fecero partire un F104 dal nord per controllare definitivamente il punto in cui era stata rilevata una traccia anomala. Verificato che si trattava dell’aggressore del Dc9 “marcarono il punto”, ovvero crearono una traccia simulata (la KA011) che potesse indicare, ad ogni altro sito radar all’interno della Nato, che l’atto di guerra era stato compiuto dalla traccia che aveva vissuto nello stesso punto, la AJ450.
I militari perciò segnalarono prontamente ciò che avevano visto, “misero” perfino una bandiera, ma il giorno dopo iniziarono i depistaggi, prima con la falsa rivendicazione dei Nar, poi con le ipotesi di cedimento strutturale. Ma perché, ci dobbiamo chiedere, nessuno racconto’ cos’era successo? Se la ricostruzione fatta precedentemente è corretta, significa che l’Italia aveva venduto a stati nemici, per un pugno di dollari, strumenti che permettevano di aggirare la protezione radar, italiana e Nato, che l’Italia aveva concesso l’utilizzo di sue strutture militari ai medesimi paesi nemici, e aveva percio’ permesso che un aereo nemico penetrasse indisturbato in territorio italiano e abbattesse un aereo di linea.
… e di equilibri strategici mondiali
E gli altri, perché hanno taciuto? Di certo non potevano parlare gli americani, impegnati quella sera a trasferire, anche tramite lo spazio aereo italiano, bombardieri nucleari, senza avere alcuna autorizzazione a cioò e modificando sostanzialmente gli equilibri strategici dell’epoca, con il rispiegamento di aerei in Egitto in corso. La questione maltese, inoltre, poneva diversi problemi strategici, in quanto, oltre al petrolio, si discuteva della presenza o meno di un approdo per la flotta sovietica del Mediterraneo. Se poi consideriamo che il Giudice Priore, e non solo lui, ha sempre dichiarato che i MiG libici venivano pilotati da “russi, siriani o palestinesi”, potremmo pure trovare un interesse specifico russo ad impedire il trattato Malta-Italia.
In sostanza, il DC9 Itavia sarebbe stato colpito per errore, mentre la vittima prescelta era il volo Air Malta che lo seguiva di pochi minuti. Ma come si poteva ricostruire tutta la verità senza avvicinarsi ancora di piu’ alla terza guerra mondiale? Forse non si poteva, e allora è stato messo tutto a tacere. Dopo 20 anni, dopo la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Urss, forse è arrivato il momento per scrivere finalmente la parola fine a questa storia.
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