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Usa. Non potrà tornare a casa la 15enne «rapita dallo Stato» ai genitori per un pasticcio medico

I medici del Boston Children's Hospital sono convinti che la malattia di Justina Pelletier sia psicosomatica. La sua salute peggiora ma il giudice minorile ha deciso di toglierla «permanentemente» alla famiglia

Benedetta Frigerio
28/03/2014 - 3:00
Esteri
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justina pelletierJustina Pelletier resterà «permanentemente» in custodia allo Stato. La sentenza del giudice del tribunale minorile del Massachusetts Joseph Johnston è arrivata martedì 25 marzo a spegnere le speranze dei genitori della 15enne “ostaggio” degli ospedali e dei servizi sociali, la cui storia è ormai diventata un caso nazionale negli Stati Uniti. Ed è un verdetto che sembra confermare le parole del dottor Dean Hokanson, uno degli ex medici della ragazzina del Connecticut, proferite dopo il primo pronunciamento del giudice distrettuale, avvenuto il 21 febbraio, anch’esso sfavorevole a papà Lou e mamma Linda: «È paradossale, sono stati accusati di essere troppo attivi nella cura della figlia», aveva detto Hokanson.

IL “RAPIMENTO”. Justina, secondo il Tufts Medical Center di Boston che l’ha esaminata tre anni fa, soffre di una rara malattia mitocondriale degenerativa che provoca una progressiva debolezza muscolare, e di questo sono convinti anche i suoi genitori che con lei si sono sempre comportati di conseguenza. Il dramma è iniziata l’anno scorso quando la 15enne è stata colpita da una forte influenza, e i coniugi Pelletier hanno deciso di portarla al Boston Children’s Hospital. Qui infatti Justina è stata di fatto tolta alla famiglia perché i medici si sono convinti che il suo disturbo sia in realtà psicosomatico e che dunque i genitori non la stavano curando adeguatamente. È cominciata così la battaglia dei Pelletier contro lo Stato.

OGGETTO DI RICERCA? Una battaglia impari che ha avuto anche qualche risvolto inquietante. La famiglia Pelletier è arrivata perfino a denunciare l’ospedale e il dipartimento dei Bambini e della Famiglia del Massachusetts di agire con altri fini inconfessabili: fare di Justina una specie di cavia. La tesi è stata supportata dal quotidiano online The Blaze, che ha pubblicato il manuale di procedura di ricerca clinica del Boston Children’s Hospital, nel quale si legge che «i bambini sotto tutela dello Stato possono essere inclusi nella ricerca clinica che presenti rischio minimo… o anche superiore al rischio minimo nella prospettiva di un beneficio». Mentre il Boston Globe a dicembre aveva raccontato di almeno altri cinque casi simili registrati nei precedenti 18 mesi nei quali erano coinvolti sempre il Boston Children’s Hospital e il dipartimento della Famiglia del Massachusetts.

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justina-pelletier-pattiniSALUTE PEGGIORATA. Nel frattempo, tra l’altro, la salute di Justina è peggiorata. Due settimane fa la sorella ha dichiarato che le sue condizioni fisiche «sono spaventose». E il fatto che la 15enne, ora costretta in sedia a rotelle, fosse entrata in ospedale sulle proprie gambe aveva fatto credere ai Pelletier, ai loro avvocati e agli ex medici della ragazzina che il tribunale dei minori avrebbe dato ragione alla famiglia. Invece il giudice Johnston ha deciso che Justina non potrà tornare a casa. Non prima del compimento dei 18 anni.

«LA CONDOTTA NON ISPIRA». Quando a febbraio i coniugi Pelletier si erano sentiti accusare di «negligenza» nei confronti della figlia, avevano reagito male, minacciando di chiamare l’Fbi e definendo «nazisti» i medici dell’ospedale di Boston. E adesso il giudice minorile ha preso a pretesto anche questo per confermare l’allontanamento permanente di Justina, spiegando che «sfortunatamente non ci sono stati miglioramenti da parte dei genitori», i quali «continuano ad avere una condotta che non dà a questa corte nessuna fiducia». Per di più, imputando al padre di essersi rivolto a giornali e tv, il giudice ha sancito anche che «le visite fra Justina e i suoi familiari saranno sospese e trasferite in un’altra sede, perché i media trasmettevano servizi dall’ingresso del dipartimento negli orari di visita».

«MI SENTO IN PRIGIONE». La ragazzina non ha il permesso di accedere ai sacramenti né di ricevere, oltre alle cure adatte alla malattia contestata dal Boston Children’s Hospital, un’educazione. Il dipartimento della Famiglia del Massachusetts ha permesso ai genitori di farle visita solo un’ora alla settimana e sempre in presenza di un dipendente statale, impedendo loro di scattare foto. Durante l’ultima visita Justina è riuscita a dire alla famiglia: «Mi sento come in prigione».
Mat Staver, l’avvocato del Liberty Counsel che sta difendendo i Pelletier, ha dichiarato: «In tutti i miei anni di pratica non ho mai visto uno sbilanciamento simile da parte di un ente», mentre «la salute di una bambina e il suo benessere sono appesi a un filo. Non possiamo permettere al dipartimento di continuare a occuparsi di questa giovane ragazza, quando è evidente a tutti che la sua malattia è fisica e non psichiatrica». Nella sentenza, alla salute di Justina sono dedicate solo tre righe in cui il giudice spiega di credere alla tesi dell’ospedale. Ma Staver ha aggiunto: «Lo Stato del Massachusetts non può fare di Justina una prigioniera solo perché i suoi genitori seguivano i protocolli medici raccomandati da un altro istituto clinico rispettabile e responsabile della sua cura».

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Tags: bostonFamigliaJustina Pelletiermalattia mitocondrialemassachusettssanitàsentenza pelletierservizi socialistato
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